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Critica Reader Oriented, Lecture notes of Italian literature

CRITICA READER ORIENTED Già il termine deve predisporci a capire di cosa si tratta. Tutti gli indirizzi affrontati finora hanno enfatizzato o la prospettiva dell’autore e quindi il suo contesto storico, il suo vissuto biografico, le sue fissazioni o la prospettiva dell’opera, l’autonomia del testo e le sue ragioni come il formalismo, lo strutturalismo e per certi aspetti l’estetica che si sofferma su come un sentimento del mondo si traduca in immagini. Pochi sono i momenti in cui ci siamo soffermati sul terzo polo: il lettore

Typology: Lecture notes

2023/2024

Available from 01/15/2025

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CRITICA READER ORIENTED

Già il termine deve predisporci a capire di cosa si tratta. Tutti gli indirizzi affrontati finora hanno enfatizzato o la prospettiva dell’autore e quindi il suo contesto storico, il suo vissuto biografico, le sue fissazioni o la prospettiva dell’opera , l’autonomia del testo e le sue ragioni come il formalismo, lo strutturalismo e per certi aspetti l’estetica che si sofferma su come un sentimento del mondo si traduca in immagini. Pochi sono i momenti in cui ci siamo soffermati sul terzo polo: il lettore. La critica reader oriented fa proprio questo, giungendo alcune volte a conclusioni estreme, affermando ad esempio che è il lettore a fare il testo, per certi aspetti vero, perché un testo scritto che non ha lettori, non ha vita e una volta che l’autore ha licenziato il testo, la vita che esso avrà sarà quella che gli avranno dato i suoi lettori, i quali si accosteranno a quel testo con le loro conoscenze, con la loro sensibilità, con il loro mondo interiore, andando a dare significato a quel testo, a volte anche fraintendendolo ed andando a dare ad esso un significato diverso da quello conferitogli dall’autore. La CRITICA READER ORIENTED dà proprio questo terzo ruolo, cioè il lettore e si enfatizza l’esperienza della lettura. Ci sono indirizzi più moderati, in primis la fenomenologia , a metà strada si colloca l’ ermeneutica e poi ci sono indirizzi che si spingono oltre: teoria della ricezione e decostruzionismo. Tra tutti gli indirizzi quello reader oriented è quello con le basi scientifiche più deboli, ma non è sempre vero. Da questo modo di leggere i testi possiamo trarre informazioni interessanti.

La FENOMENOLOGIA

La fenomenologia parte dal principio che il testo è un fenomeno, a cui il lettore (anche la forma di lettore competente, cioè il critico) si accosta attraverso l’esperienza della lettura. Durante la lettura si accostano e dialogano due coscienze : la coscienza dell’autore e la coscienza del lettore.

EDMOND HUSSERL

Edmond Husserl (si legge ussel e non assel) da un lato evidenzia che il testo vive delle esperienze di lettura caratterizzate dal fatto che la coscienza del lettore si accosta al testo che gli parla; questo significa che c’è un margine di soggettività in quell’atto della lettura. -Husserl mantiene comunque l’idea che il testo abbia un suo statuto ontologico forte che resiste alla soggettività delle letture, tant’è che lui parla della fenomenologia come scienza soggettiva dell’oggettivo. È fondamentale parlare del concetto di oggettività intersoggettiva : un testo ha delle sue caratteristiche strutturali e semantiche che innegabilmente sono immanenti a quel testo e presenti in esso. Dunque posso accostarmi io a quel testo, o può farlo qualcun altro, e ognuno vedrà cose diverse, ma ci sono, invece gli aspetti fondanti di quel testo sopravvivono alle diverse interpretazioni. Al netto del fatto che ci sono elementi che finiranno con l’essere legati alla soggettività dell’interprete; c’è lo zoccolo duro, quell’ossatura che costituisce l’oggettività intersoggettiva, cioè quegli elementi oggettivi che saranno necessariamente colti a tutte le soggettività che rientrano in gioco. (Ad esempio: è impossibile non cogliere l’aspetto della Provvidenza nei Promessi sposi , sarebbe impossibile non coglierlo. Magari, invece ci sono degli spetti che un lettore può cogliere, che gli altri non colgono ( Ad esempio: Valesio vedeva nei Promessi Sposi una struttura digressiva, che gli altri non hanno visto).

Poulet (legato alla cosiddetta “critica d’identificazione”), il quale evidenzia come il movimento che il critico va a compiere è quasi di spossessione e appropriazione/identificazione. Spossessione significa che il critico si libera un po’ delle pastoglie della sua personalità e, nel processo di identificazione , arriva quasi a rivivere tutto quello che ha portato alla genesi di quell’opera d’arte, quindi rivive in sé l’atto creativo e questo è tipico dell’identificazione. Per fare questo è necessaria ovviamente una conoscenza elevatissima dell’autore (biografia, epistolari, bibliografia) perché devi spossessati della tua coscienza ed entrare in quella dell’autore. In questa direzione si mosse anche Jean Starobinski.

JEAN STAROBINSKI

Jean Starobinski ha applicato i suoi studi soprattutto alla letteratura francese ma anche a Petrarca. Anche lui applicava i suoi studi a figure ad alto tasso di egocentrismo, come Stendhal , soffermandosi ad esaminare un aspetto, che è quello dell’uso dello pseudonimo, interrogandosi sul perché si decida di utilizzarlo e cosa porta uno scrittore all’adozione di uno pseudonimo; perché l’adozione dello pseudonimo è quasi un voler, da un lato quasi perpetrare un’uccisione ideale del padre, cioè si rifiuta il cognome di tuo padre (stesso fece D’Annunzio o Saba, in conflitto con i padri) ma, soprattutto, nel caso di Stendhal si tratta di un rifiuto dell’identità provinciale, legata a Grenoble (Francia). Di fatto il cognome è per noi un a carta d’identità, che ci consegna agli altri dichiarando da chi siamo discendenti, da quale famiglia proveniamo. Il nostro cognome, in qualche modo, predispone a determinati rapporti con gli altri individui. Dunque una persona che rifiuta il proprio cognome, per assumere un nome d’arte alle volte può avere dietro di sé questa volontà (in alcuni casi per un aspetto meramente commerciale, legato al marketing, quindi tu scegli un nome che possa essere accattivante), ma in molti casi è quasi una volontà di consegnarsi ad un’altra identità possibile; è quasi un vivere altre vite e presentarsi in altre condizioni diverse da quelle che quelle legate alla nostra origine. Starobinski diceva che se l’operazione di lettura compiuta dal critico è stata un’operazione fertile, dovrebbe succedere che il critico ne ricavi un accrescimento di conoscenza. La critica, cioè deve aiutarci a conoscere meglio noi stessi. Cioè l’apprezzamento o il deprezzamento di un’opera può spingerci a chiederci “ma perché avviene questo?” e tutto ciò può portarci a conoscere meglio noi stessi. Può sembrare campata in aria ma non è così.

La FENOMENOLOGIA

Due grandi figure della fenomenologia italiana furono: Luciano Anceschi e Umberto Eco.

LUCIANO ANCESCHI

Luciano Anceschi , importante critico e direttore di un’importante rivista, Verri , dalla cui redazione mossero i primi passi alcuni esponenti della neoavanguardia. Della redazione del Verri faceva parte anche Giuseppe Pontigia, bravissimo critico e scrittore. Luciano Anceschi (che non va confuso con la neoavanguardia) è un critico di grande valore che va segnalato per due aspetti: 1 .l’idea che aveva di una critica integrale (discorso ripreso anche da Giuseppe Pontigia), ovvero letteraria, che mette in gioco tanti ambiti come l’attenzione alla letteratura, storia, cinema, musica, persino ad elementi legati alla psicanalisi, una critica che si porta avanti tenendo ben saldi e fermi autonomia ed eteronomia dell’arte (uno dei testi maggiori di Anceschi è “ Autonomia ed eteronomia

dell’arte ”). L’autonomia dell’arte è l’arte che trova in sé le sue leggi (lo stesso diceva Croce), cioè l’arte non deve essere asservita a nessun fine particolare, perché nel momento in cui c’è quel fine particolare l’artisticità si dissolve in esso. L’ eteronomia dell’arte significa che l’arte entra e risente di tutti i settori della vita, dunque l’arte non è una cattedrale nel deserto, ma è inserita nella vita e vive di tutto ciò che è vita, quindi non bisogna essere considerata solo nella sua autonomia. Dunque bisogna salvaguardarne l’autonomia, ma bisogna anche vederla in tutti i settori e gli ambiti della vita. In questa direzione andava il lavoro del Verri. Luciano Anceschi è stato in Italia uno di quelli che hanno rivalutato il barocco e scrisse parecchi articoli sul Verri (tutti raccolti in un volume). Lui diceva una cosa importante, creava un’analogia tra barocco e novecento. La svogliatura dell’uomo del barocco è in fin dei conti la reazione di chi ha perduto tutti i punti di riferimento dal punto di vista gnoseologico e qualcosa del genere è accaduto anche all’uomo del Novecento. L’inquietudine dell’uomo del Novecento è per molti aspetti analoga a quella dell’uomo del barocco e una delle ragioni alla base di questa analogia è proprio la perdita di punti di rifermento solidi. Spesso si è superficialmente bollata la letteratura barocca come vuota o nulla ma diceva Anceschi che semmai essa è “ la letteratura del vuoto e del nulla ”, cioè dà espressione al senso del vuoto e del nulla. In questo indirizzo vanno inseriti alcuni scritti di Eco.

UMBERTO ECO

Eco si accosta all’orientamento fenomenologico, soprattutto quando indaga sulla presenza di intentio auctoris , intentio operis e intentio lettoris.

  • La prima è l’ intenzione dell’autore , legata a quello che l’autore inconsapevolmente ha introdotto nella sua opera.
  • La seconda è l’ intenzione dell’opera , ovvero gli elementi dell’opera presenti involontariamente, perché l’autore non li ha introdotti coscientemente ma perché appartengono a elementi che si sono stratificati automaticamente nella sua coscienza e quindi riafÏorano.
  • La terza è l’ intenzione del leGore , ovvero ciò che il lettore vede nell’opera. Ci possono essere casi in cui il lettore vede cose che l’autore non sapeva ci fossero. Eco prende come esempio il suo romanzo Il pendolo di Foucault , laddove Foucault sta per Leon Foucault, il fisico e inventore del pendolo e non il filosofo e critico letterario Michel Foucault (Miscel). Eco dichiara “ Foucault con la mia intenzione d’autore non c’entrava nulla ed ero pure convinto che qualcuno (i lettori incolti) avrebbe messo in mezzo Michel Foucault ” Il Foucault filosofo non c’entrava niente con le intenzioni letterarie di Eco, ma lui era convinto che qualche lettore incolto lo avrebbe messo in mezzo e così è accaduto. Infatti, un critico letterario americano aveva letto il romanzo alla luce delle quattro forme di un’analogia presenti in un’opera di Michael Foucault filosofo, individuando precisi rimandi alle teorie di Michael Foucault nel romanzo di Eco. Eco afferma che quel libro a cui il critico faceva riferimento, lui l’aveva letto, conosceva la teoria, perciò non esclude che possano essere

nel fatto che noi con l’arte facciamo venir fuori qualcosa. Questo qualcosa è il mondo, quindi apertura, ciò che viene fuori\ ciò che viene alla luce; ma ad opporsi a questo processo “di articolazione” c’è la terra definita “ custodente proteggente ”, come se la terra fosse ciò che tende a ricondurre, ciò che su di essa sorge nel proprio grembo protettivo, nel proprio nascondimento. In ogni opera d’arte è come se ci fosse un movimento tra qualcosa che deve sorgere e venire alla luce, deve essere articolato e qualcosa che deve restare nascosto. La contesa tra terra e mondo ( erde e welt ) porta al fatto che in un’opera d’arte si potrebbe veder prevalere o la terra, dunque si tratta di quelle opere ermetiche, complesse, in cui c’è tanto che non si riesce a cogliere, perché tanto è rimasto nascosto e quello che viene alla luce e viene svelato (mondo). L’opera d’arte dovrebbe raggiungere un equilibrio tra i due elementi, altrimenti (se non lo raggiunge) il rischio è che l’opera d’arte possa fallire o per eccesso di nascondimento (non la si riesce a leggere, si ha l’impressione di un feto abortito), oppure per eccesso di articolazione, cioè troppo viene detto, si perde quello che dev’essere lasciato alla terra e quell’effetto di mistero.

HANS GEORG GADAMER

Nell’ermeneutica abbiamo una serie di studiosi che si pongono proprio su questa linea di decrittazione e analisi dei testi complessi arrivando a negare una stabilità deontologia del testo. In questo il più moderato è Hans Georg Gadamer (si legge Gheor ). La sua opera più importante è Verità e metodo , in cui riprende il concetto heideggeriano. H. parlava di precomprensione, lui parla molto di pregiudizio in maniera netta. Evidenzia però che non è qualcosa necessariamente di negativo così come non lo sono né come non sono necessariamente negativi né il senso dell’autorità né il senso della tradizione. L’importante è che l’ interprete sappia concepirsi storicamente come figura concreta, individuabile e individuata. Cioè quando mi pongo in ascolto e in dialogo con un’opera letteraria devo cercare di acquisire consapevolezza di chi sono io e di quelli che sono i miei pregiudizi. Infatti, soltanto il lettore che riesce a individuarsi storicamente con la propria personalità, pregiudizi e tutto ciò che gli riguarda potrà porsi in dialogo con l’opera, il rischio altrimenti è che i suoi pregiudizi abbiano la meglio. Quando questo avviene, cioè quando il lettore, consapevole dei suoi pregiudizi, si pone in ascolto dell’alterità del testo, allora nelle soluzioni migliori si verifica la pulsione degli orizzonti. La pulsione degli orizzonti consiste nel fatto che la verità del testo viene a coincidere con quella del critico, cioè gli orizzonti del testo si incontrano con gli orizzonti del critico o dello scrittore.

MICHAIL BACHTIN

Altra figura da ricordare è Michail Bachtin, studioso russo molto attento agli aspetti antropologici della letteratura; lui infatti, ha studiato gli aspetti della carnevalizzazione in letteratura, gli aspetti della farsa popolare, gli aspetti del riso, del comico, dei saturnali). Tuttavia, la nozione da non perdere di vista è quella del romanzo polifonico , uno dei suoi lasciti più importanti. Lui distingue in letteratura un orizzonte monologico e un orizzonte polifonico:

  • L’orizzonte monologico è quello di Tolstoj, nella cui opera c’è una tendenza per cui i personaggi sono subordinati alla voce e tesi dell’autore. Dunque la psiche dei personaggi è psiche reificata che riflette la volontà e il pensiero dell’autore che l’ha creata. A questo tipo di romanzo lui contrappone: -Il romanzo polifonico è inventato e realizzato da Dostoevskij (in realtà un’opera polifonica era già il Furioso o la Liberata ) e consiste nel fatto che i personaggi sono portatori di ideologemi e filosofemi che sono autonomi rispetto alla voce dell’autore e che hanno lo stesso diritto di cittadinanza del pensiero dell’autore. Ciò significa che i personaggi di Dostoevskij non sono una proiezione del suo pensiero. Per ognuno di loro, egli costruisce una coscienza, una ideologia, un pensiero che non necessariamente sono i propri e non sottomette queste singole voci alla propria voce. Dunque tu hai l’impressione di una polifonia, cioè di tante voci che coesistono e non sono soffocate dall’autore. (la polifonia può concorrere allo straniamento, ma non necessariamente la polifonia è solo straniamento). Ricordiamo due figure che rappresentano un po’ il lato anarchico dell’ermeneutica: Susan Sontag e Hans Magnus Enzensberger.

SUSAN SONTAG

Susan Sontag è stata una studiosa, critico letterario e scrittrice che ha combattuto anche una battaglia di carattere femminista e LGBT. Lei era per un’ermeneutica quasi erotica, cioè non accademica, ma che andasse all’essenza dei testi anche aggredendone la struttura, guardando gli aspetti emotivi dei testi stessi. Di lei segnaliamo MalatÝa come metafora in cui va a decostruire tutte quelle che sono le metafore abitualmente legate all’immaginario della malattia, essendo lei malata di leucemia. Lei notava come alla malattia si leghi spesso l’immaginario della battaglia per cui il malato diventa un combattente che lotta e, se muore, soccombe. Si creano così incrostazioni rispetto alla malattia che non dovrebbero esserci. La malattia non dovrebbe mai essere vista come una battaglia, perché così si finisce per considerare chi guarisce migliore rispetto a chi appunto cede alla sua malattia e non vince quella battaglia. Cerca di disincrostare queste dinamiche e lo fa dalla prospettiva di chi aveva sentito su di sé il peso di quelle che sono le considerazioni che la gente fa sulle persone malate.

HANS MAGNUS ENZENSBERGER

Hans Magnus Enzensberger (si legge magh-nus) è un critico ma anche poeta tedesco. È un negatore della teoria dell’ interpretazione giusta , lui rivendica la lettura come atto anarchico. Il lettore ha il diritto di leggere il libro non consequenzialmente, ha il diritto di saltare pagine, di strapparlo e di buttarlo via e bisogna resistere a questo feticismo dell’interpretazione giusta. Lui ce l’aveva con le prassi didattiche della letteratura. In un passaggio simpaticissimo de “ La figlia del macellaio” lui riesamina una disavventura che aveva avuto. Una sua poesia era stata assegnata per un’esercitazione di tedesco alla figlia del suo macellaio che poi aveva presso quattro all’interpretazione di questa poesia di H.M.H. La madre della ragazza, quando lui era andato a comprare la carne nella loro macelleria, gli aveva messo davanti il testo della figlia con questo quattro e poi dice scherzando che le aveva dato una bistecca più dura del solito. Questo episodio spinge il critico a riflettere sul fatto che la didattica della letteratura parte da principi sbagliati

rispetto al contenuto di verità, più alto rispetto alla scrittura, perché quello che si dice a voce investe la presenza dell’individuo ed ha maggiore vicinanza con l’anima stessa dell’individuo. Derrida sostiene questo anche basandosi su tutta una tradizione che ha pregiudizi verso la scrittura, e che parte da Platone, passa a Rousseau e arriva a De Saussure. Derrida diceva persino che De Saussure, che è il padre della linguistica moderna, aveva dei pregiudizi sulla scrittura. D.S scriveva che la scrittura offusca la visione del linguaggio, non veste ma traveste, la scrittura è usurpatrice. Alcuni sostenitori di questo pregiudizio sostenevano che fosse assurdo che si dicesse che OI si leggesse UA, in riferimento a ciò che diceva Rosseau e al francese (Voila -> Vuala). Dunque addirittura questi scrittori parlavano di usurpazione della scrittura. Derrida ribalta del tutto questo principio e chiede di smettere di pensare all’esistenza di un logos che indica l’essere come presenza; di smettere di pensare alla superiorità dell’oralità superiore alla scrittura e di prendere in considerazione altre ipotesi. Lui ribaltava la questione ponendo all’origine non l’oralità ma l’ archi-scrittura , una scrittura originaria in cui noi possiamo trovare tracce dell’essere, ma di un essere che non va inteso non come presenza ma come differenza. Poniamo invece l’idea che la vera maniera di concepire l’essere è solo nella scrittura ma come traccia e non come presenza. La traccia di qualcosa è la presenza che segnala che c’è stato qualcosa che ora però non c’è. La traccia intesa non come presenza, ma si pone in una posizione ambigua rispetto ai due concetti di assenza e presenza, perché la traccia di qualcosa non è una presenza, ma non è neanche un’assenza. Derrida diceva che è “ assenza della presenza e presenza dell’assenza ”. La traccia è una presenza che segnala che c’è stato qualcosa che in quel momento non c’è, però noi ne troviamo traccia. Quindi la traccia è “l’assenza della presenza” perché quella cosa in quel momento non è presente, ma sappiamo che c’è stata. La traccia rispetto ai due poli di assenza- presenza non è la sintesi, ma è una decostruzione di quella opposizione, cioè non è un negare quella opposizione, ma darne un funzionamento diverso. Allora nella scrittura noi troviamo tracce dell’essere, ma non è un essere da concepire come presenza, ma come differenza. Lui la scrive “différance”, diversamente da come si doveva scrivere in francese “différence”, perché giocava su due significati del latino differre il quale è “differire da” \ “essere diverso da”, infatti noi spesso non riusciamo a definire le cose per quello che sono, perché l’essenza delle cose ci sfugge, ma le definiamo per ciò che differisce un essere dalle altre cose. Cioè noi, di solito, definiamo qualcosa in relazione ad altre cose e spesso dicendo che quella cosa è diversa da un’altra, cioè è la differenza tra gli elementi che ci fa conoscere quello che gli eleomenti in parte sono. Ma sappiamo anche che differire è anche “rimandare”, quindi nella scrittura ci sono tracce dell’essere, ma inteso come differenza, nel senso che quello che è stato scritto continua a parlarci e ci parla in differito. Detto questo, quindi il decostruzionismo come legge i testi? (1:21) Va a cercare le smagliature, le contraddizioni, gli anelli che non tengono, cioè quei momenti in cui il testo differisce da sé stesso. (es: nel caso di De Saussure lui decostruisce la mistique generale, proprio partendo dal paradosso che il padre della linguistica moderna ha dei pregiudizi sulla scrittura). Dunque va a cercare nei testi delle incrinature, cioè dei momenti in cui il testo sembra quasi contraddirsi. È chiaro che questo metodo ha prodotto i risultati migliori quando si parla di filosofia (Freud, De Saussure) e non di letteratura.

Interessante è l’applicazione che si è fatta del decostruzionismo presso l’Università di Yale (si legge Ieil) di cui segnaliamo Paul De Man. De Man decostruisce i testi facendo collidere il significato letterale con il significato figurato/metaforico. In un testo di William Butler Yeats ci si chiede “ how can we know the dancer from the dance ?”, cioè “come possiamo distinguere il ballerino dalla danza?”. Questo testo o si può leggere in maniera figurata e la maggior parte lo legge così, cioè la ballerina che diventa un tutt’uno con la danza al punto che non si riesce più a distingue lei dall’arte che professa. Ma c’è anche il significato letterale , quindi vedendo il movimento della ballerina si tenta di distinguere la sua figura della danzatrice dal movimento che sta compiendo. Il senso letterale è forse anche più profondo e interessante rispetto a quello metaforico, è come se il testo letterale ci dicesse che la danzatrice e la danza non sono la stessa cosa e De Man le vuole distinguere. Sonsan e bergher