Docsity
Docsity

Prepare for your exams
Prepare for your exams

Study with the several resources on Docsity


Earn points to download
Earn points to download

Earn points by helping other students or get them with a premium plan


Guidelines and tips
Guidelines and tips

Cultura e civiltà Angloamericana - i miti, la frontiera, il sogno americano, Summaries of American literature

Nozioni, teorie e contenuti rielaborati tra il manuale "A. Dallmann, E. Boesenberg, M. Klepper, eds., Approaches to American Cultural Studies, London and New York, Routledge, 2016 (pp. 1-251)" ed ulteriori ricerche e annotazioni, in riferimento al corso di Cultura e Civiltà angloamericana di laurea triennale in lingue.

Typology: Summaries

2019/2020

Uploaded on 07/09/2020

Yulia40771
Yulia40771 🇷🇴

5

(1)

1 document

1 / 12

Toggle sidebar

This page cannot be seen from the preview

Don't miss anything!

bg1
Gli American Studies sono una disciplina che ha cominciato a fondare le sue basi intorno agli anni
30, un periodo molto importante per la storia mondiale, dove:
- in Europa vi era l’affermazione di stati nazionalisti e regimi totalitari,
- mentre l’America stava cercando di reagire alla Grande Crisi del 29.
Così, intorno agli anni 30, la proposta degli american studies si propongono di determinare cosa è
americano, e quindi cosa contraddistingue l’america dalle altre nazioni. Attraverso un approccio ed
una metodologia interdisciplinare, questi studi conducono alla definizione e all’elaborazione di miti
americani, che sono i simboli di quella che è la comunità.
Un mito può essere definito come una storia raccontata in maniera semplice, schematica,
omogenea, che raccoglie e proietta su di sé quelle che sono le caratteristiche e le peculiarità di un
popolo. Nel caso dell’America, quello che si cerca di fare è definire “the american exceptionalism”.
Tra i vari miti ne troviamo diversi, tutti parte integrante della cultura americana, e tutti in qualche
modo rielaborati nei testi significativi della letteratura, ed anche all’interno di film e testimonianze.
1- Il mito della terra promessa: l’America come la terra promessa, legata al fenomeno della
migrazione. Le migrazioni in America sono avvenute in diverse epoche storiche, interessando
gruppi culturali diversi e per ragioni ovviamente diverse. Se dopo la scoperta del nuovo continente i
nuovi colonizzatori arrivarono con lo scopo di sfruttare le terre e arricchirsi, i neri dell’Africa
arrivavano in contemporanea per far fronte alla forza lavoro. Ma soprattutto dopo l’affermazione
nazionale e la proclamazione della indipendenza, l’America è divenuta il sogno di riscatto per
quelle popolazioni che all’interno della propria società non trovavano possibilità (vedi mito
frontiera). Soprattutto a partire dall’Ottocento, le migrazioni da parte delle popolazioni (prima
Europee, poi orientali) crebbero in maniera sproporzionata, fino a raggiungere il FENOMENALE
numero di 30 milioni di immigrati (dal 1836 al 1914) ----→ 5 volte la popolazione italiana.
In particolar modo risulta interessante la migrazione da parte della popolazione ebraica
che, dall’Europa dell’est, a partire dal 1880, si sposta in America per motivi legati alle restrizioni
riscontrate nel loro paese di provenienza. Il mito della terra promessa proviene dal “the promised
Land” di Mary Antin del 1881, rappresenta il sogno di libertà e ricerca di riscatto degli ebrei, e
diviene così mito, in cui America è sinonimo di possibilità.
Tuttavia, c’è chi ha trovato destabilizzante il nuovo posto rispetto alla condizione del
loro paese d’origine, ed anche questo viene debitamente preso in analisi nell’ottica degli studi
culturali. Una scrittrice di origini ebraiche, Anzia Yezierskia, decide ad un certo punto della sua vita
di dedicarsi alla scrittura; dopo aver dato vita al suo romanzo più importante, Bread Givers el 1926,
ponendo l’accento sulla vita di una donna di o. e. che cerca giorno dopo giorno di ricostruirsi una
nuova identità e ricrearsi una vita migliore e più appagante, purtroppo, durante gli anni della Grande
Depressione, ella la sua visione di impregna di un forte pessimismo, in cui dà espressione ai limiti
che ella stessa, in quanto migrante, ha riscontrato in un paese che si, prometteva possibilità, ma che
le si opponeva spesso e volentieri (anche a livello etnico). Affermava infatti che non era possibile
per lei definirsi propriamente americana, e che questo sarebbe stato sicuramente più facile nel caso
di un “nativo”.
Anche lo scrittore Philip Roth evidenzia l’importanza dell’etnia all’interno della società americana
contemporanea, sostenendo che è proprio l’accento posto sulle etnie a rendere difficile
l’integrazione da parte dei migranti e conseguentemente una pacifica convivenza. I suoi scritti sono
quasi tutti autobiografici, alcuni contenenti un alter ego, altri con personaggi puramente inventati,
altri che riportano perfino il suo nome ma che narrano di altre storie non legate alla sua vita. Il tutto
perché egli voleva rappresentare diversi punti della sua società ponendo in analisi più aspetti.
Tra le sue opere più importanti vengono ricordate: Il grande romanzo americano (1973) in cui egli
utilizza la metafora del baseball per narrare la storia americana con tono comico; anche “Goodbye
Colombus and 5 stories”
pf3
pf4
pf5
pf8
pf9
pfa

Partial preview of the text

Download Cultura e civiltà Angloamericana - i miti, la frontiera, il sogno americano and more Summaries American literature in PDF only on Docsity!

Gli American Studies sono una disciplina che ha cominciato a fondare le sue basi intorno agli anni

30, un periodo molto importante per la storia mondiale, dove:

- in Europa vi era l’affermazione di stati nazionalisti e regimi totalitari,

- mentre l’America stava cercando di reagire alla Grande Crisi del 29.

Così, intorno agli anni 30, la proposta degli american studies si propongono di determinare cosa è

americano, e quindi cosa contraddistingue l’america dalle altre nazioni. Attraverso un approccio ed

una metodologia interdisciplinare, questi studi conducono alla definizione e all’elaborazione di miti

americani, che sono i simboli di quella che è la comunità.

Un mito può essere definito come una storia raccontata in maniera semplice, schematica,

omogenea, che raccoglie e proietta su di sé quelle che sono le caratteristiche e le peculiarità di un

popolo. Nel caso dell’America, quello che si cerca di fare è definire “the american exceptionalism”.

Tra i vari miti ne troviamo diversi, tutti parte integrante della cultura americana, e tutti in qualche

modo rielaborati nei testi significativi della letteratura, ed anche all’interno di film e testimonianze.

1- Il mito della terra promessa : l’America come la terra promessa, legata al fenomeno della

migrazione. Le migrazioni in America sono avvenute in diverse epoche storiche, interessando

gruppi culturali diversi e per ragioni ovviamente diverse. Se dopo la scoperta del nuovo continente i

nuovi colonizzatori arrivarono con lo scopo di sfruttare le terre e arricchirsi, i neri dell’Africa

arrivavano in contemporanea per far fronte alla forza lavoro. Ma soprattutto dopo l’affermazione

nazionale e la proclamazione della indipendenza, l’America è divenuta il sogno di riscatto per

quelle popolazioni che all’interno della propria società non trovavano possibilità (vedi mito

frontiera). Soprattutto a partire dall’Ottocento, le migrazioni da parte delle popolazioni (prima

Europee, poi orientali) crebbero in maniera sproporzionata, fino a raggiungere il FENOMENALE

numero di 30 milioni di immigrati (dal 1836 al 1914) ----→ 5 volte la popolazione italiana.

In particolar modo risulta interessante la migrazione da parte della popolazione ebraica

che, dall’Europa dell’est, a partire dal 1880, si sposta in America per motivi legati alle restrizioni

riscontrate nel loro paese di provenienza. Il mito della terra promessa proviene dal “the promised

Land” di Mary Antin del 1881, rappresenta il sogno di libertà e ricerca di riscatto degli ebrei, e

diviene così mito, in cui America è sinonimo di possibilità.

Tuttavia, c’è chi ha trovato destabilizzante il nuovo posto rispetto alla condizione del

loro paese d’origine, ed anche questo viene debitamente preso in analisi nell’ottica degli studi

culturali. Una scrittrice di origini ebraiche, Anzia Yezierskia, decide ad un certo punto della sua vita

di dedicarsi alla scrittura; dopo aver dato vita al suo romanzo più importante, Bread Givers el 1926,

ponendo l’accento sulla vita di una donna di o. e. che cerca giorno dopo giorno di ricostruirsi una

nuova identità e ricrearsi una vita migliore e più appagante, purtroppo, durante gli anni della Grande

Depressione, ella la sua visione di impregna di un forte pessimismo, in cui dà espressione ai limiti

che ella stessa, in quanto migrante, ha riscontrato in un paese che si, prometteva possibilità, ma che

le si opponeva spesso e volentieri (anche a livello etnico). Affermava infatti che non era possibile

per lei definirsi propriamente americana, e che questo sarebbe stato sicuramente più facile nel caso

di un “nativo”.

Anche lo scrittore Philip Roth evidenzia l’importanza dell’etnia all’interno della società americana

contemporanea, sostenendo che è proprio l’accento posto sulle etnie a rendere difficile

l’integrazione da parte dei migranti e conseguentemente una pacifica convivenza. I suoi scritti sono

quasi tutti autobiografici, alcuni contenenti un alter ego, altri con personaggi puramente inventati,

altri che riportano perfino il suo nome ma che narrano di altre storie non legate alla sua vita. Il tutto

perché egli voleva rappresentare diversi punti della sua società ponendo in analisi più aspetti.

Tra le sue opere più importanti vengono ricordate: Il grande romanzo americano (1973) in cui egli

utilizza la metafora del baseball per narrare la storia americana con tono comico; anche “Goodbye

Colombus and 5 stories”

2- America come nuovo Eden , cioè paradiso terrestre. Un Eden che non è successivo al peccato

originale, ma antecedente, richiamando quindi una condizione pura e priva di peccato, una

condizione tipica di Adamo prima di divenire preda della tentazione e del peccato.

3- E’ così che prende forma anche il terzo mito della cultura Americana, quello dell’ Adamo

Americano , da cui è tratto un saggio dl 1953. Il mito dell’Adamo americano è il mito di un uomo

puro ed innocente, quasi virtuoso, che però viene schiacciato dalla società in cui vive e che è

costretto a perire, o a far emergere il male. E’ questo che succede al personaggio Billy Budd, un

marinaio di una nave mercantile britannica che, grazie alla sua tenacia riesce ad ottenere una

promozione da parte del capitano, notizia che però suscita l’invidia del suo antagonista che lo

ostacola e cerca di tentarlo al fine di provocare in lui una reazione spiacevole. Tutto ciò purtroppo

accade; e Billy, non riuscendo ad usare le parole per difendersi, uccide il suo oppositore. In tal

modo però, purtroppo, per poter mantenere l’ordine e ristabilire il controllo della nave, il

comandante è costretto ad uccidere Billy nonostante riconosca la sua innocenza.

Billy in questo caso può essere interpretato come una metafora della condizione umana e del

contrasto con la natura; il personaggio, sebbene radicalmente buono, è purtroppo incapace di vivere

in una società dominata dal male, e sarà quindi destinato a perire.

Lo stesso accade al personaggio de “Il Grande Gatsby”, anch’esso rappresntazione del mito

americano dell’Adamo.

4- Infine, il mito della wilderness , che secondo l’antica tradizione era delineato da una

connotazione negativa, in quanto stava ad indicare una terra non coltivata, non utilizzata, dove

l’uomo non sfrutta le sue proprietà e che, nella narrazione biblica, così come all’interno della divina

commedia dantesca, viene designata come uno spazio “oscuro” dove l’uomo vi si smarrisce poiché

non ne ha un controllo. Questo pregiudizio è giustificazione del comportamento dei primi

colonizzatori che, approdando in una terra selvaggia e non permanentemente abitata da una certa

popolazione, si sente in diritto di possederla e dichiarare la propria acquisizione.

L’incontaminazione e l’assenza di civiltà era dunque vista agli occhi degli europei come qualcosa

da combattere e da rimodellare secondo i canoni “giusti” della civiltà occidentale.

Sarà poi soltanto nell’Ottocento, a seguito dell’affermazione delle idee romantiche e della

rivalutazione della natura, che la wilderness sarà concepita in maniera diversa, ed, anzi, difesa e

ricercata; a questo proposito, quello che si intendeva fare era riportare la natura allo stadio primitivo

e selvatico antecedente all’arrivo degli europei.

All’interno della cultura americana, soprattutto dopo l’affermazione dello nazione e la

proclamazione della sua indipendenza, questa ricerca della natura e delle proprie origini accrescerà

l’interesse verso l’antica civiltà americana di popolazioni di nomadi che, miticizzati, sono stati

costretti, a seguito delle diverse colonizzazioni, a cedere ad una civiltà che, innanzitutto non

conoscevano, e che gli è stata imposta, rinunciando così alla loro natura nobile (così afferma

Cooper), ricercata adesso come “l’incanto perduto”.

5. Direttamente collegato al mito della wilderness è un altro mito: quello della terra vergine. L’idea

di una natura incontaminata e non posseduta dall’uomo darebbe alla wilderness un’accezione anche

politica se non culturale. In altre parole, ciò giustificherebbe l’azione europea di colonizzazione dei

territori non ufficialmente dichiarati come propri, in quanto al momento disabitati, e quindi, in tale

prospettiva priverebbero gli indigeni della loro identità ed, al contrario, la rinnegheranno nel vero

senso del termine nel momento in cui educheranno ed addomesticheranno gli indigeni, spinti dalla

loro visione ristretta nei confronti del diverso e dei “selvaggi”.

6- Un altro concetto importante da menzionare è quello della frontiera , la frontiera

convenzionalmente vista come una linea di confine che delimita due parti. In questo caso ci si

riferisce alla dualità all’interno del continente americano tra la società civilizzata ad ovest e la

Se osserviamo i miti americani secondo una prospettiva più ampia è possibile notare che nella

presentazione di questa visione omogenea e priva di contraddizioni in realtà si cela una mancata

attenzione nei confronti di determinati soggetti. Il concetto stesso di mito della wilderness, in cui

l’uomo, per far fronte alla natura selvaggia e pericolosa, deve essere dotato di forza, tenacia,

attenzione ed eventuali armi per fronteggiare i possibili nemici, privilegia in maniera velata ma

evidente la mascolinità, e soprattutto un certo tipo di essere umano: bianco ed occidentale.

Non si tratta dunque di un’imposizione voluta, ma di una egemonia raggiunta attraverso un

consenso popolare ed un’assolutizzazione di una classe che prevale sulle altre.

E’ per questo motivo infatti che i motivi degli American Studies sembrano non apparire più tanto

chiari alla riunione annuale del 1998 quando, Janice Radway fece notare che ad essere Americano

non è solo il modo in cui un popolo guarda alla propria cultura secondo uno schema omogeneo, ma

anche quello che effettivamente l’America è.

Si spinse perciò oltre l’analisi dei precedenti studiosi, ed evidenziò un fattore chiave importante: e

cioè la mancata attenzione alla multiculturalità di cui l’america è madre.

Nell’immaginario collettivo dunque, l’America viene sempre vista come una popolazione

omogenizzata in cui la visione mainstream dell’americano medio coinciderebbe con quella

dell’uomo bianco della classe dominante. In realtà niente viene citato a proposito delle altre culture,

delle altre etnie o differenze che determinano l’America; ed in sostanza nulla viene detto delle classi

sociali lasciate al margine e dimenticate da quella che si definisce “cultura americana”.

A questo proposito gli American Studies, intorno agli anni 60 si sono allotanati dalle vecchie idee

ristrette e limitate, per favorire invece i gruppi etnici dapprima esclusi, tra cui principalmente donne

e neri. Prendendo quindi in considerazione anche il punto di vista di coloro i quali non hanno avuto

voce in capitolo fino a quel momento, era possibile confermare o eventualmente ne

gare ciò che era stato definito un carattere identificativo della cultura nazionale. I moti per i diritti

civili di quei tempi hanno favorito l’attenzione nei confronti della pluralità, vedendo nella

diversificazione della popolazione americana un punto di forza anziché una debolezza.

L’america, difatti, è sempre stato uno stato che ha vissuto innanzitutto il genocidio dei suoi nativi,

vedendo conseguentemente imporre una cultura ed una lingua che era stata importata dall’esterno,

rinunciando così alla cultura e a tutto ciò che di americano primordiale poteva esserci.

Quando l’America divenne uno stato nazionale e proclamò la sua indipendenza, venne ovviamente

a galla il problema della lingua nazionale, un problema a quei tempi risolto sulla base della classe

dominante, e cioè quella bianca e anglosassone. Quando poi però cominciarono ad insediarsi nuove

culture provenienti dall’europa, e nel momento in cui l’america divenne un vero e proprio melting

pot, questo problema riemerse, poiché veniva imposto, anche attraverso apposite leggi (1921→

inglese obbligatorio a scuola) una condizione a cui gli immigrati dovevano sottomettersi.

Grazie però a questa nuova prospettiva è stato possibile porre in analisi la tradizione letteraria

dapprima esclusa, e cioè quella appartenente a gruppi sociali che non rientrano nella omogeneità

della classe dirigente. A tal proposito sono numerose le testimonianze da parte di scrittori americani

di origini ebree, i quali mostrano e descrivono il processo di immigrazione nelle sue diverse fasi e

come questo non appartenere alla cultura, appartenerne in parte, e trovare un punto di incontro tra le

due tendenze culturali, sia in realtà una prospettiva interessante da tenere in considerazione per

meglio comprendere le sfumature di quella che è la vera società, vista anche dagli occhi di chi entra

a farne parte, confermando o negando le aspettative (successo o riscatto).

A tal proposito, Stuart Hall, un sociologo britannico, figura importante nella elaborazione dei

Cultural studies sostiene che sia possibile far fronte al multiculturalismo demografico e linguistico

attraverso una politica costruita sulla diversità, e quindi abbandonando l’idea di creare

un’omogenea identità culturale, ma piuttosto mantenendo l’ibrido che la caratterizza. Questa

diversità di culture tutte appartenenti ad uno stesso territorio risulterebbe più che un limite, come

un’occasione per confrontare le proprie e differenti prospettive, su cui nessuna, secondo Bachtin,

prevale. Si tratta infatti di una visione a volte dialettica della realtà, contrapposta, in cui i due punti

di vista non si mescolano ma neanche si negano, e che si oppongono, ma sono comunque elementi

fondanti della cultura stessa.

Uno dei risultati dell’analisi sulla identità nazionale americana è stato proprio il fatto che la costante

ricerca di un’identità è essa stessa una componente fondamentale dell’id. Naz. Americana.

Capitolo 3 → analisi sulla lotta degli afro-americani per l’autodefinizione.

Per meglio comprendere quello che intendiamo quando parliamo di cultura e linea di pensiero

dominante, bisogna andare alle origini dei rapporti di subordinazione in America. In particolar

modo, gli afro americani ne sono un esempio caratterizzante. A loro era stata imposta non solo una

pesante condizione di schiavitù, ma, in quanto considerati diversi, gli venne negata qualsiasi possibilità di

mantenere la loro cultura e tradizione, sostituita da quella dell'uomo bianco colonizzatore. Tutto quello che rimase della tradizione appartiene all'oralità, trasmessa attraverso storie e canti, e fu espressa solo successivamente, a partire dagli anni 60 e i movimenti per i diritti civili. Proprio in questo clima è opportuno ricordare James Baldwin, che ha dedicato la sua vita a scrivere e riflettere sulla condizione dei neri, l'identità americana, il rapporto bianco-nero, e tutto ciò che questo comportava. Sottolineando attraverso il suo pessimismo di fondo, di come l'unico posto nella società per i neri non era che quello deciso dai bianchi. E che il bianco abbia inventato il nero, e che le razze siano della costruzioni che il bianco, di fatto, ha inventato per giustificare una sua supremazia sono asserzioni baldwiniane elaborate anche dai cultural studies e dai post-colonial studies che hanno preso piede a partire dagli anni ’80. Importanti traguardi raggiunti grazie a questi movimenti includono il disegno di legge Civil Rights Act del 1964,[1] che vietò la discriminazione basata sulla razza, il colore della pelle, la religione, il sesso o le origini in ogni pratica di lavoro, per non parlare della fine della diseguale registrazione degli elettori e della segregazione nelle scuole, sul posto di lavoro e nelle aree pubbliche. L'anno seguente, nel 1965, fu approvato il Voting Rights Act , che restaurò la tutela del diritto di voto esteso a tutti i cittadini americani; dello stesso anno sono anche la legge sull'immigrazione, che ha aperto un ingente flusso di immigrati provenienti da diverse aree del Nord Europa e il Fair Housing Act del 1968 che vietò la discriminazione nella vendita o la locazione di abitazioni. Nonostante tali movimenti si siano registrati prevalentemente nel Sud, le proteste ispirarono i giovani di tutti gli Stati Uniti e del resto del mondo, guidando molte associazioni europee alle rivolte degli anni Sessanta. Molte rappresentazioni popolari del movimento sono incentrate sulla leadership e sulle predicazioni di Martin Luther King, Jr., che vinse il Premio Nobel per la Pace nel 1964 per il suo ruolo nel movimento e fu una guida ed una fonte di ispirazione per molti altri leader a venire.[2] Fino a quel momento, i gruppi sociali lasciati da sempre a margine e rinnegati, hanno comunque tentato di mantenere in salvo la loro tradizione e la cultura che erano stati costretti a sopprimere attraverso i canti e le preghiere, ma in particolare, la musica → componente fondamentale del processo di autoaffermazione, dal momento che utilizzavano un linguaggio ed una modalità “per uomini fino ad allora bianchi” ed impiegarli seguendo la propria prospettiva. I generi di jazz e blues, infatti, sono testimonianza pratica di questo forte desiderio di dar espressione alla propria identità individuale, ma anche collettiva di una certa comunità. Il jazz è una forma musicale che nacque tra gli anni venti come fenomeno sociale dagli schiavi afroamericani che trovavano conforto e speranza nelle loro anime improvvisando collettivamente ed individualmente canti. Il jazz viene riconosciuto come fenomeno musicale solo tra Ottocento e Novecento. Si sviluppa negli Stati Uniti, prima nelle piantagioni sud-americane e poi arriva con le jam session (improvvisazioni collettive di suonatori che componevano musica «ad orecchio»), gruppi di suonatori (massimo 3 strumenti) e con le jazz band a New Orleans, Louisiana. È nato come musica vocale perché si eseguiva durante il lavoro nelle piantagioni o durante costruzioni ferroviarie e delle strade, questo per ritmare e coordinare i movimenti del lavoro (infatti il ritmo era binario , deriva ad esempio dalla raccolta e rimessa del cotone nella cesta). Il jazz arriverà anche a Chicago con Louis Armstrong e poi anche in Europa dove avrà un successo

La segregazione razziale, che era stata fino ad allora la regola nelle orchestre di jazz così come nei locali, iniziò in quegli anni a perdere un po' della sua compattezza, grazie anche al coraggioso esempio di direttori d'orchestra come Goodman e Shaw che portarono in tournée gli artisti afroamericani Roy Eldridge e Billie Holiday. Le radici del blues sono da ricercare tra i canti delle comunità di schiavi afroamericani nelle piantagioni degli stati meridionali degli Stati Uniti d'America (la cosiddetta Cotton Belt ). A partire da queste umili origini, il blues crebbe fino a diventare la forma di musica popolare più registrata al mondo, finendo per influenzare fortemente, o addirittura a far nascere, molti degli stili della musica popolare moderna e diventando, a partire dagli anni 1960, uno dei fattori d'influenza dominanti nella musica pop.[2] Tra i generi che furono più direttamente influenzati dal blues, ricordiamo: bluegrass, rhythm and blues, talking blues, rock and roll, hard rock, heavy metal, hip-hop. Blues deriva dall'espressione "to have the blue devils" (letteralmente: avere i diavoli blu) col significato di "essere triste, agitato, depresso" → inizialmente sinonimo di ubriaco.

  • durante la guerra di secessione-> stato d'animo triste, malinconico, Uno dei più importanti antenati del blues è senz'altro lo spiritual, una forma di canto devozionale nato dalle riunioni di devoti durante il Grande risveglio [4] dei primi anni del XIX secolo. Di argomento malinconico e appassionato, rispetto al blues gli spiritual avevano accenti meno personali e rivolti alla persona del cantante, riferendosi spesso alla condizione dell'umanità in generale e al suo rapporto con Dio, e i testi erano corrispondentemente meno profani. Altri antenati del blues vanno cercati fra le work song (canzone di lavoro) degli schiavi di colore ( field hollers ) e di altra provenienza (canti dei portuali o stevedore ; canti dei manovali o roustabout ), che risuonavano in America all'epoca della Guerra di secessione (e anche negli anni successivi, in cui la condizione di soggezione e povertà degli afroamericani persistette nonostante l'abolizione della schiavitù) Anche l'hip hop ed il rap sono stati rappresentativi della cultura americana in fatto di musica, sorti e sviluppati in periodi diversi, ma comunque tutti parte di un processo continuo di ricerca e definizione dell'identità, ricca di simboli, valori, e forme di espressione. Per quanto concerne i film ed i romanzi: (vedi foglio posteriore “a puritan origin” scritto a matita)

cap. 4. → RELIGIONE Il ruolo della fede e del pensiero religioso è di grande importanza per la comprensione della vita in America. Nel 1835, sosteneva Tacquville, non vi era alcun luogo al mondo al di fuori dell'america dove la religione fosse così influente, visto che il 90% credenti; 93% cattolici. Attualmente, tuttavia, l'america è un mosaico di religioni. Questo è divenuto possibile a seguito delle numerose migrazione sia dall'europa che dall'asia, che hanno portato con sé nuove culture e linee di pensiero a cui le generazioni successive che compongono oggi la popolazione americana hanno preso come punto di riferimento e diffuso. L'merica ha quindi smesso di dare il primato alla religione cristiana cristallizzandola nella cultura, proclamando invece la libertà di culto ed aprendosi a nuove visioni. Ciò che è importante nella religione non è tanto il credo e la fede professata, quanto i principi basilari su cui essa si fonda; ovvero l'obiettivo di vincere il male e far prevalere la luce nella vita degli uomini. Alle basi vi è la religione puritana cristiana, importata nel 1630 da John Wintrop che, non possedendo più alcun posto all'interno della società britannica, dove il re Enrico VIII per poter ricavarne vantaggi personali non di poco conto proclamò l'anglicanesimo. Fu per l'idea di america come promessa di possibilità e di un nuovo inizio che Wintrop partì assieme alla sua comunità puritana in America, allo scopo di fondare una società basata sul Dio cristiano, dove non vi era alcuna distinzione tra diritto e religiosità, ma era tutto parte di una stessa unica congregazione di uomini fedeli. Questa visione puritana cominciò però ben presto a cambiare, soprattutto nel Vecchio Mondo. In America la religione si collegava alle nuove speranze indotte dai condizionamenti esterni e dalle influenze illuministe, così, specie a partire dal 700 assorbe la comune speranza settecentesca di migliorare la propria vita attraverso la ragione e la scienza, e nell'800 di influire sul progresso al fine di migliorare la propria posizione rispetto al resto del mondo. A seguito della prima guerra mondiale però questa visione ottimista perde terreno e lascia spazio ad una disillusione che spinge le chiese americane a lanciare l'Interchurch world movement, che mirava a riconvertire le masse al cristianesimo. Nel 900 però l'america si presentava già abbastanza variegata nell'ambito di religioni e non si riuscì a rendere quella cristiana la più influente rispetto alle altre. Per questo si parla di processo di secolarizzazione. Occorre inoltre precisare che la compresenza di più religioni in uno stesso territorio conferisce sì maggiore libertà e di culto e la possibilità di scegliere a seconda della propria inclinazione; d'altro canto però riduce in categorizzazioni nette le classi sociali, in cui gli uomini si affidano ciecamente al loro credo ma negando terribilmente gli altri. Inoltre, gli apparati religiosi funzionando come delle vere e proprie strutture e aziende che offrono servizi agli uomini, propongono dei programmi di supporto per i propri membri, di terapia familiare, o programmi di disintossicazione, o ancora corsi di formazione. Lo scopo era quello di salvare il mondo dal pericolo e dall tumultuosità; motivo per il quale questa tendenza fu molto attiva durante gli anni 60 e 70 di movimenti progressisti, al fine di quietare l'animo ribelle dei movimenti di sinistra. Uno dei principali riferimenti della estrema destra cristiana è stato a tal proposito Jerry Falwell, che diede inizio ad una nuova generazione di pastori fondamentalisti che avevano lo scopo di salvare l'america dalle minacce della sinistra e che contribuì alle elezioni di Ronald Raegan. La proclamazione religiosa andava di pari passo con il progresso tecnologico, tanto è vero che la telecomunicazione ed in particolare la televisione erano mezzi essenziali per garantirsi il successo e la diffusione. Ben presto i fondamentalisti cominciano ad entrare in politica, e sarà Par Robertson a reclamarlo con il suo trattato “The new world Order”. Per quanto riguarda gli afroamericani, nonostante la loro posizione di subordinazione e di forzato adattamento a culture e norme non proprie, sono riusciti tuttavia a mantenere una propria unicità per quanto riguarda la religione. Le forme religiose dei Nativi americani hanno storicamente dimostrato una grande diversità e sono spesso

caratterizzate da Animismo o Panenteismo[110]. L'appartenenza nel XXI secolo comprende

all'incirca 9.000 persone[111].


cap 6 → la città americana Seppur è forte l'immagine stereotipata dell'america, vista come una grande e attraente città ricca di segreti da scoprire, è forte e molto diffuso il mistero che questo stereotipo suscita. E' un po' come leggere un testo a noi familiare, di cui però ci sfugge il significato. Questo pensiero deriva dal metodo post-strutturalista, in cui l'autore crea un testo che non ha un significato definito, che spetta al lettore cogliere ed interpretare. Vi sono diverse rappresentazioni della città Americana, sempre in relazione al contesto e all'autore che ha tentato di rappresentarla. Se prendiamo in riferimento il testo di John Winthrop del 1630, egli parla di una città costruita su di una collina davanti gli occhi di tutti, una città che funge da esempio e modello per chi si trova sotto. Al contrario, Jefferson ne offre una visione piuttosto tetra, definendola come pestilenziale per la morale, l'etica e la libertà dell'uomo, come un luogo in cui l'uomo perde se stesso. Questo stesso concetto vine poi ripreso anche dal reverendo Strong, il quale afferma che l'America è lo strumento di dio per redimere il mondo, ma che la città è il centro di una tempesta che impedisce la possibilità di redenzione. Allo stesso tempo però la città può anche essere dinamica e vitale (come l'interpretazione di William James), che vede il centro della tempesta come il cuore pulsante di una macchina (quindi soffermandosi sulle qualità dinamiche e sul potenziale della città. La città, in quanto luogo artificiale è interconnessa con l'uomo che la abita, la domina e quindi con i suoi desideri e le proiezioni dei suoi bisogni da soffisfare. E' luogo di possibilità, di dominio e successo, ma allos tesso tempo di minaccia. Nonostante infatti non si faccia altro che modificarla e cercare di dominarla, essa sfugge sempre al controllo dell'uomo e rimane così ambivalente e multidimensionale; sogno di libertà e riscatto e perdizione allo stesso tempo. Possiamo dunque dire che la città è un sistema illegibile che molti hanno provato e tutt'ora provano a rappresentare, ma che sfugge alle interpretazioni al contempo confermandole tutte. Un interessante contributo a proposito della vita all'interno della città è stato dato dallo scrittore Edgar Allan Poe, il quale all'interno del suo “The man of the crowd” ha offerto una visione della città dal punto di vista di un uomo che cammina tra la folla della città e che desidera scoprire e svelare i misteri che si celano all'interno di questa. Alo stesso modo anche Dupin scrute le strade davati a lui come se potesse seguire linee e colonne del mondo urbano per scoprire come leggerlo e comprenderlo. Tuttavia ogni sforzo di comprensione della città risulta essere vano e rappresenta il dilemma su cui gran parte della letteratura americana si fonda e si propone di produrre. Esempi classici possono essere Manhattan e Il grande Gatsby. E' piuttosto la problematicità e la diversità la chiave che compone una città e non tanto la somiglianza tra i suoi elementi. Il problema della vita nelle città è cominciato ad essere presente già a partire dal secolo dell'800, a seguito dello sviluppo industriale e del conseguente aumento della popolazione. L'uomo non è più un individuo con una sua propria identità, ma piuttosto uno tra tanti, che perde se stesso e anche qualunque altro possibile contatto con gli altri, visto che tutti vanno di fretta, tutti inseguono i loro sogni di possibilità infinite, e tutti, nel frattempo si perdono la vita che hanno davanti gli occhi. Alcuni di questi uomini addirittura cedono al male e al peccato pur di raggiungere i loro sogni di successo. E' quello che racconta il primo romanzo del giornalista, drammaturgo e sceneggiatore Dreisen, Sister Carrie, in cui si narra la storia di una ragazza che si trasferisce dalla campagna alla città di Chicago con lo scopo di realizzare il suo sogno americano, ma che si vede costretta a vendersi pur di riuscire ad ascendere nella scala sociale. E' stato un romanzo che racconta crudemente di come la gente che ambisce al successo è pronta a scommettere e perdere tutto, perfino la morale, e per questo è stato definito scandaloso. Eppure sembra rendere bene quel che succede all'interno della città che annienta,

della madre di famiglia che si prende cura dei figli, era l'unico a cui la donna era sempre stata abituata. Tuttavia grazie all'azione della Grimkie cominciarono a venir messe in evidenza altre importanti qualità che la donna possedeva ma che purtroppo non poteva esprimere proprio per la mancanza di una posizione sociale non suborinata. Fu Kate Chopin che, con la pubblicazione del suo scandaloso romanzo Awakening, getta l'input per far risvegliare la donna e renderla cosciente della sua individualità; ma purtroppo l'america non era ancora pronta per cambiamenti del genere. Vi furono altri romanzi pseudo femministi, ad esempio Piccole Donne, dove viene posto l'accento nella vita di queste sorelle che continuano a vivere entro questa gabbia limitante della società patriarcale, da cui però Jo cerca di fuggire. L'america del Dopoguerra comunque cercherà di recuperare la tradizione e di conseguenza di rimettere nel posto preassegnato le donne e il loro ruolo sociale. Di questo periodo è infatti un altro importante romanzo pubblicato da Silvya Path, The Bell Jar, il cui titolo già è segno di questa storia in cui una donna è costretta a vivere in una campagna di vetro, prestabilita dalla società, dalla famiglia, dagli insegnanti e da cui non può sottrarsi. La protagonista infatti si trova in conflitto tra quello che la società le impone di essere, e quello che lei in realtà vorrebbe essere. Per poter esprimersi, ella necessita di far affidamento alla lingua maschile, ma in realtà vive il sogno destinato a condurla al suicidio, di emancipazione. Il romanzo di Silvya Path è direttamente collegato alla lott interna del femminismo stesso. La Esther di Path scope se stessa liberandosi dal colonialismo maschile operato nel corpo delle donne; e la scrittura è un modo per dare voce al corpo. Così il tutto si collega alla diversa maniera di intendere la sessualità, a seconda se si parla di uomo o donna; l'uomo l'ha sempre vissuta in maniera attiva, la donna passiva. Questo fu il punto di partenza per il dibattito di genere anche in ambito di orientamento sessuale, in quanto si proponeva di rigettare le convenzioni sociali riguardanti le questioni di famiglia, figli e riproduzione. Il legame tra sesualità e società è esplorato già a partire dagli anni 50, in cui la visione si amplia e ci si libera di preconcetti. In “a boy's own tstory” di White, si parla di omosessualità in contrasto con la società di quei tempi. Come Esther, il ragazzo vuole vivere ed esprimere se stesso liberamente ma gli viene detto che il suo modo di essere diverso è una malattia che può essere curata. Così, allo stesso modo di Esther, deve affrontare un doloroso processo per poter acquisire un certo potere. La questione omosessuale diventa sempre più mainstream mano mano che la comunità è spinta sempre di più a prendere parte attiva. L'AIDS e l'ondata di morti che ha causato, ha rappresentato un importante momento per la storia dell'attivismo gay La nascita del movimento gay e lesbico americano risale alla rivolta, del giugno 1969, di Stonewall Inn quando la comunità omosessuale del Greenwich Village insorse contro la chiusura , da parte della polizia di New York City, di un locale gay. Vi furono tre giorni di scontri che divennero un vero e proprio simbolo di resistenza organizzata. Il movimento gay e lesbico non si riteneva un movimento per i diritti civili di una particolare minoranza, ma un movimento di lotta rivoluzionaria per liberare l‟omosessuale dalle sue “oppressioni” e cambiare le convenzioni sociali che confinavano la sessualità alle famiglie monogame eterosessuali. Per il movimento omosessuale non vi era una “ perversa” o “normale” sessualità ma solo un mondo in cui le “possibilità” sessuali erano classificate secondo il “repressivo” ordine del matrimonio e gli “obblighi” eterosessuali. Ognuno era libero di esprimere la propria sessualità distruggendo i “confini” tra eterosessualità ed omosessualità, in modo tale che queste false differenze avrebbero fatto aumentare in ogni persona il desiderio di dare alla propria vita una piena soddisfazione. relazioni tra lesbismo e femminismo. Ciò fu fondamentale per il cambiamento del movimento gay e lesbico. Rita Mae Brown pubblicò nel 1972 un saggio intitolato The shape of things to come, in cui esprimeva il punto di vista lesbico-femminista: “Il lesbismo, politicamente organizzato, è la più grande minaccia esistente alla supremazia maschile…Esso è il primo passo concreto verso la fine della comune oppressione. Se non riusciamo a trovare in noi stesse l‟amore per un‟altra donna, e ciò include anche l‟amore fisico, come possiamo affermare che ci stiamo occupando della liberazione delle donne

cap. 8 → la gioventù La gioventù nella cultura americana è un concetto multiforme e complesso, rappresentato in contesti e spazi diversi. E' innanzitutto molto affine e vicino al mito americano, poiché L'america, che si oppone al vecchio mondo, rappresenta una novità che offre infinite possibilità ancora da scoprire; stessa cosa vale per i giovani che sono ancora in un momento in cui hanno la possibilità di farsi valere e scoprire se stessi. Il discorso però diventa contraddittorio e quasi emblematico all'interno delle diverse rappresentazioni. In rebel without a cause, Ray narra la storia di tre giovani che trovano un rifugio in una casa abbandonata in cui ricreano un nucleo familiare che esclude al suo interno adulti e bambini. I giovani quindi si chiudono in questo spazio aperto al di là della sfera pubblica come ad allontanarsi dalla propria casa, simbolo di ordine sociale paterno dominante e perciò insopportabile. Anche nel film Smooth Talk la casa rappresenta il centro di controllo degli adulti, e la protagonista vede i genitori come un impaccio per i suoi sogni; cos anche come i Badland, dove la casa è il luogo in cui un giovane delinquente (kit) uccide il padre della sua ragazza Holly (che rappresenta la flsità). In altre parole il luogo privato domestico degli adulti, cioè la casa, rappresenterebbe per i giovani un forte ostacolo che impedirebbe loro di esprimersi, e che, addirittura tende a limitarli. La gioventù americana è rappresentata da Holden, che avverte il mondo circostante come costruito e artificioso, soprattutto considerato il consumismo del dopoguerra ed il forzato recupero della tradizione. Al contrario Holden vorrebbe attenersi ad altri valori come quello della sincerità, onestà e decenza, in contrasto con la doppiezza degli adulti. Il suo sogno, a tal propoito è quello di salvare i bambini dalle grinfie degli adulti che non rappresenterebbero un buon esempio morale per loro. Questa tendenza è riscontrabile anche in The Outsider, dove l protagonista sogna una famiglia atipica senza genitori, dove i ragazzi sono liberi, e semplicemente si esprimono come meglio credono. I giovani dunque, su queste fondamenta basano la loro tendenza alla ribellione, come a dimostrare di essere autosufficienti ed abbastanza maturi da saper vivere senza genitori, ed al contempo di essere ancora puri e privi di quella frivolezza di cui gli adulti, e i genitori in particolare, sono schiavi. Questo atteggiamento di ricerca di un luogo che possa riscattarli ed al contempo rappresentarli è fortemente riscontrabile nella musica rock, e punk degli anni 70 e la resistenza degli yuppie degli anni 80. Dagli anni 90 in poi sembrano emergere nuove correnti: l'opera di Coupland “Generation x”, ad es. L’ambiente in cui vivono è rappresentato dai cosiddetti “non luoghi”, anonimi spazi artificiali che vedono in prima fila i tristi centri commerciali così spesso ricordati nel testo. Una generazione, quella descritta, in cerca di un’identità, in cerca di qualcosa in cui credere, di quell’appagamento che sembra molto più difficile da ottenere rispetto ai tempi passati. I protagonisti sono tre amici, Andy, Dug e Claire, che si ritrovano in California in fuga dalla alienante normalità, a svolgere per scelta lavori mal pagati e ben al di sotto delle proprie capacità e cultura. Questi impieghi però li fanno sentire meno vincolati e più aperti a possibili cambiamenti di vita, ed in questo modo hanno anche più tempo per vivere davvero o quantomeno l’illusione che ciò accada. Ai tre amici piace in particolare raccontarsi bizzarre storie che inventano loro stessi, una sorta di fiabe per adulti attraverso le quali si cerca di dare significato alle mutevoli realtà da cui si sentono circondati, una realtà che in fondo fa paura e questa paura è rappresentata inequivocabilmente dall’ombra di una catastrofe atomica che incombe inesorabile nei pensieri dei tre. Altro aspetto che si ritrova nel libro è il difficile rapporto comunicativo fra la generazione X e le generazioni precedenti, descritto chiaramente dalla relazione di Claire con la propria famiglia nonché dall’episodio del provvisorio ritorno di Andy dai genitori durante il periodo natalizio. Occorre notare inoltre che seppur a tratti grottesche, le vite dei protagonisti sono percepite costantemente immerse in un ambiente soffocante, come se una spessa coltre fumosa impedisse di intravedere un orizzonte che si sa esistere ma non si riesce a scorgere.