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ferrovie italiane dalla napoli
Typology: Essays (university)
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Salvatore Fergola, Inaugurazione della Ferrovia Napoli-Portici, 1839
Ponte sulla Laguna Veneta, 1846
1839-
DA STEPHENSON ALL’ELETTRICITÀ
Viaggiare nella storia delle ferrovie italiane è come ripercorrere la storia del nostro Paese dagli anni Trenta dell’Ottocento in poi. Gli Stati che componevano l’Italia prima dell’unificazione nazionale com- presero ben presto l’importanza strategica del trasporto ferroviario, inaugura- to nel 1825 in Inghilterra, e iniziarono ad avviare la costruzione di brevi tratti di strade ferrate. La prima linea fu la Napoli-Portici , realizzata nel Regno delle Due Sicilie da Ferdinando II di Borbone nel 1839 su progetto del francese Armand Bayard. Sette chilometri di binari bastarono ad aprire una nuova era, ancora oggi in continua e inarrestabile evoluzione. Grazie al successo dell’opera, dovuto an- che alla curiosità suscitata nel popolo dal treno, il nuovo mezzo di locomozio- ne, a Bayard fu poi affidata la realizzazione della linea Napoli-Caserta-Capua, completata nel 1844. Durante il processo risorgimentale, nell’ideale collettivo del nuovo Regno d’Italia la “strada ferrata” rappresentò un forte simbolo per il completamento dell’unità nazionale. La facilità di circolazione che il trasporto su rotaia assicu- rava alle merci e ai viaggiatori fu infatti considerata un elemento indispensa- bile per il percorso di costruzione dello Stato. In quegli anni, altre ferrovie avevano visto la luce. Nel Lombardo-Veneto, appartenente all’Austria, nel 1840 furono inaugurate la linea Milano-Monza, su progetto dell’ingegnere milanese Giulio Sarti, e nel 1846 la Venezia-Verona, con l’ardito ponte sulla laguna , lungo 3.603 metri e costruito con mattoni, pietra d’Istria e 750.000 pali di larice. Nel 1848 fu ultimata la Firenze-Livorno e un anno dopo la linea Siena-Empoli, volute da Leopoldo II di Asburgo-Lorena, sovrano del Granducato di Toscana. In questo periodo il maggiore impulso alla costruzione di linee ferroviarie si ebbe nel Regno di Sardegna, grazie soprattutto all’opera del primo ministro Cavour: il 20 febbraio del 1854, Vittorio Emanuele II inaugurò la prima linea a doppio binario che univa Torino a Genova attraverso il traforo del Giovi, una galleria di 3.250 metri scavata su forti pendenze, che implicò la soluzione di notevoli problemi tecnici. Il panorama di quei primi, eroici anni si completò con la realizzazione della
La rete ferroviaria in Italia nel 1860 e nel 1906
Galleria del Frejus, imbocco dal versante italiano, 1871
Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, avvenuta a Torino nel 1861, un nuovo e fondamentale impulso fu dato alla realizzazione di un programma organico del trasporto su rotaia. I più forti gruppi industriali dell’epoca, av- valendosi anche dell’apporto di finanziamenti stranieri (soprattutto francesi), investirono ingenti capitali su questa nuova attività e dettero vita ad una ven- tina di società concessionarie. Ben presto emerse però l’esigenza di ridurre il numero delle concessioni e di ridurre le complicazioni derivanti da tariffe e orari molto diversi tra loro. Una legge del 1865 assegnò quindi la gestione dell’intera rete ferroviaria na- zionale , suddividendola in quattro gruppi territoriali, ad altrettante società: Società per l’Alta Italia (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto e Emilia Roma- gna), Società per le Strade Ferrate Romane (Liguria, Toscana, Umbria, Lazio e Campania), Società delle Ferrovie Meridionali (Campania, Puglia, Abruzzo e Molise), Società Vittorio Emanuele (Calabria e Sicilia). Lo sviluppo del trasporto ferroviario si configurò, in quel periodo, come un volano capace di accelerare il processo di unificazione voluto da Cavour, tanto da far affermare agli storici del tempo che l’unione geografica d’Italia si era potuta verificare grazie all’espansione delle ferrovie: “… gli ingegneri, i co- struttori e gli operai - scriveva Giustino Fortunato su Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano, nel 1911 - valsero per l’unificazione della patria non meno dei martiri, degli statisti e dei soldati”.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quello che è stato definito “il secolo del vapore”, le reti ferroviarie iniziarono a diffondersi rapidamente in tutta Europa. Per non essere esclusa dalle opportunità di sviluppo economico garantite dal treno, nuovo simbolo di progresso, l’Italia si pose l’obiettivo di andare oltre i confini dei propri binari realizzando collegamenti internazionali con gli Stati limitrofi. Il primo grande traforo alpino, il Fréjus , fu aperto nel 1871 per mettere in comunicazione diretta il nostro Paese con la Francia. Per capire quanto questa nuova opera abbia rivoluzionato i rapporti com- merciali dell’epoca, basti pensare che i viaggiatori inglesi, prima costretti a raggiungere l’India attraverso Marsiglia e l’Egitto, attraversando in treno il no- stro territorio e imbarcandosi a Brindisi riuscirono a ridurre i tempi complessivi del viaggio da 100 ad appena 20 giorni.
L’affermazione e lo sviluppo delle ferrovie imposero nuove soluzioni inge- gneristiche per consentire alle linee di superare i limiti naturali imposti dai fiumi o dalle montagne di cui è ricco il nostro Paese.
Alla metà degli anni ‘80 del XIX secolo si iniziarono a costruire grandi ponti con struttura in carpenteria metallica ad arco, magnifiche opere d’ingegneria civile in gran parte ammirabili ancora oggi. Il ponte di Paderno d’Adda , ad esempio, progettato dall’ingegnere svizzero Jules Röthlisberger e realizzato nel 1889 dalla Società Nazionale Officine di Savigliano, è lungo 266 metri e si eleva a 85 metri al di sopra del livello del fiume. Per le sue peculiarità tecniche, l’opera è considerata un capolavoro di archeologia industriale italiana, nonché una delle più notevoli strutture realizzate dall’ingegneria ottocentesca.
Nella progettazione dei trafori alpini e degli attraversamenti delle monta- gne di confine, l’Italia seguì la scuola di pensiero che prevedeva per tutti gli itinerari gallerie di oltre 10 km - per molto tempo in assoluto le più lunghe del mondo - diversamente dal modello austriaco, orientato a privilegiare linee tortuose per lo più allo scoperto.
I trafori alpini, nei quali si profusero i maggiori sforzi della ricerca tecnica, avviarono la serie dei primati nazionali, molto importanti per un’’Italia che am- biva ad inserirsi nel novero delle grandi potenze, dimostrando capacità e forza in ogni settore.
La seconda grande galleria fu quella del Gottardo, in territorio svizzero. Alla realizzazione del tunnel, lungo 15.552 metri, parteciparono 1.120 operai italiani, molti dei quali persero la vita per l’uso ancora troppo incauto della nitroglicerina, l’esplosivo necessario per abbattere gli strati di roccia, e per le numerose infezioni dovute alla totale assenza di norme igieniche nei cantieri. Nonostante ciò, nel 1882 venne inaugurata questa seconda, importante via di comunicazione, che metteva in contatto le città lombarde e il porto di Genova con la Germania.
L’ultima delle grandi gallerie alpine fu quella del Sempione, che collega l’Italia (Val d’Ossola) con la Svizzera (Alta Valle del Rodano), inaugurata da re Vittorio Emanuele III nel 1906. L’impresa del Sempione venne immortalata in un manifesto , considerato un capolavoro liberty, realizzato dal grafico Leo- poldo Metlicovitz per l’Esposizione Internazionale di Milano del 1906, dedica- ta ai trasporti. L’immagine mostra due diavoli sbucati dalle viscere della terra aggrappati alla locomotiva in uscita dalla galleria.
In oltre mezzo secolo di presenza nella società italiana, le ferrovie avevano lasciato interessanti tracce nella letteratura, nella poesia e nelle arti figurati- ve. Gli artisti celebrarono il treno identificando nella ferrovia l’immagine del
Leopoldo Metlicovitz, manifesto per l’apertura della galleria del Sempione, presentato all’Esposizione Internazionale di Milano, 1906
Jules Röthlisberger, progetto del ponte di Paterno d’Adda, 1889 Il ponte, attraversando una gola del fiume Adda, collega i paesi di Paderno, in provincia di Lecco, e Calusco, in provincia di Bergamo. Nella travata interna del viadotto passa tuttora la linea ferroviaria Seregno-Bergamo; nella parte superiore c’è la strada destinata al traffico leggero
La stazione di Roma Termini nel 1870 (facciata) e nel 1880 (binari)
del quadruplo del 1861, quando la lunghezza totale era solo di 2.370 km. Gli anni che intercorsero tra le due date videro una grande crescita del sistema ferroviario della penisola, che si sviluppò alla media di 340 km all’anno di nuo- ve linee.
Nel 1890 si introdusse la più importante innovazione nei trasporti pubblici su rotaia: l’utilizzazione dell’energia elettrica come forza motrice, che, a partire dal settore tramviario in pieno sviluppo, fornì le sue iniziali prove di efficienza.
Rispetto alle ferrovie, le tramvie non richiedevano una propria sede sepa- rata: i binari venivano posati sulle strade ordinarie, soprattutto in città, ed i tram procedevano a vista, senza richiedere particolari segnalamenti. Realizzati inizialmente con trazione a cavalli, poi trasformata in meccanica, i tram per le linee extraurbane erano in maggioranza a vapore, mentre nelle città si affermò subito la meno inquinante trazione elettrica, presentata dall’ingegnere tede- sco Ernst Werner von Siemens all’Esposizione di Berlino del 1879.
Le Ferrovie italiane, prime in Europa, a partire dai primi anni del Novecento sostituirono progressivamente la trazione a vapore con quella elettrica, con il duplice obiettivo di eliminare il fastidio che la polvere di carbone procurava ai viaggiatori e di usare energie alternative adatte a risolvere le difficoltà dovute alla carenza di carbon fossile.
Grazie a questa innovazione si avviò la seconda rivoluzione legata al treno e alle strade ferrate. I limiti delle vecchie locomotive a vapore vennero rapida- mente superati e si assistette ad un incremento notevole del traffico passeg- geri. Ma non solo: i nuovi propulsori, soprattutto nei percorsi con forti pen- denze, consentirono anche la realizzazione del trasporto di grandi quantità di merci, a vantaggio dell’industria e dell’economia nazionale.
A partire dagli anni ’30 e ’40 dell’Ottocento e ancor più nella seconda metà del secolo, le principali città subirono una svolta urbanistica favorita dalla co- struzione delle stazioni ferroviarie. In breve tempo questi nuovi edifici abbat- terono lo spazio chiuso cittadino ed avviarono l’espansione nelle campagne circostanti, diventando inoltre una vera e propria porta aperta verso il mondo. Una porta privilegiata, attraverso la quale viaggiatori, merci e idee partivano e arrivavano direttamente in città.
Nel secondo Ottocento, in un’Italia povera e storicamente condizionata dalla complessa orografia del terreno e dalle divisioni politiche appena supe- rate, il viaggio era spesso un’esperienza nuova. Uscire dai propri luoghi signi-
Angelo Morbelli, Stazione di Milano, 1889
Una locomotiva a vapore “691” per il servizio viaggiatori veloce, negli anni ‘20 del XX secolo
ficava allora varcare i confini della conoscenza per avventurarsi nell’ignoto, anche perché non vi era alcuna dimestichezza con le distanze e con le carte geografiche. Il treno collegava gli italiani e la presenza degli edifici ferroviari ridisegnò i contorni delle città. Le nuove piazze delle stazioni e le strade che le collegava- no al centro storico si trasformarono in centri di richiamo per locande, alber- ghi, abitazioni e attività commerciali. E per questo divennero quindi tra le aree più importanti dei centri urbani serviti. Dopo l’Unità d’Italia si costruirono numerose nuove stazioni: Milano Centrale nel 1864, Napoli Centrale nel 1866, Torino Porta Nuova nel 1868, Genova Piazza Principe e Roma Termini nel 1870, Bologna Centrale nel 1871, Palermo nel 1886. Dalle rudimentali stazioni pionieristiche si passò a fabbricati di monumentali dimensioni, le cui facciate, dal disegno classicheggiante, furono arricchite da grandi orologi, tanto utili quanto carichi di un forte valore simbolico. Costruiti con ampio uso del ferro, simbolo della rivoluzione industriale, nelle cancellate e soprattutto nelle pensiline, i fabbricati furono dotati al loro interno di vari servizi, tra cui il deposito bagagli e i rinomati “buffet” di stazione.
1901-
DALLA NAZIONALIZZAZIONE A VITTORIO VENETO
La convinzione che la gestione privata fosse del tutto inadeguata alla con- duzione del traffico merci e passeggeri, anche per il crescente costo delle sovvenzioni dello Stato, portò nel 1905 ad una legge che sanciva la naziona- lizzazione di tutta la rete ferroviaria. Lo Stato si accingeva così ad affrontare ingenti spese con l’obiettivo di razionalizzare gli interventi di manutenzione e di progettazione di nuove linee. La dotazione della neonata Ferrovie dello Stato poteva contare su 2.769 locomotive, 6.985 carrozze viaggiatori e 52. carri merci. Il primo direttore generale fu l’ingegner Riccardo Bianchi, già apprezzato amministratore delle ferrovie siciliane. Bianchi intraprese l’opera di rinnova- mento delle Ferrovie dello Stato, ordinando fra l’altro una grande quantità di materiale rotabile, cioè i treni e i vagoni, a imprese italiane, tra le quali spicca- vano i nomi dell’Ansaldo e della Breda. Notevoli migliorie vennero apportate alle carrozze viaggiatori, furono studiate nuove tariffe per i viaggi, e si dette nuovo impulso all’elettrificazione della rete.
Un gruppo di tecnici studia il tracciato della linea
La Brigata Ferrovieri, al comando del Maggiore Giuseppe Fassini, nell’ottobre 1910 diventa il Reggimento Genio Ferrovieri. Durante il 1° conflitto mondiale il Reggimento fornisce una partecipazione imponente con la costruzione di 147 km di linee ferroviarie complete di opere d’arte, 600 km di linee smontabili a scartamento ridotto, nel ripristino di 144 ponti e nel trasporto nei diversi settori del fronte. Per la Seconda Guerra mondiale il Reggimento Genio Ferrovieri mobilita 13 battaglioni di lavoro e 3 gruppi di esercizio linee su 5 sezioni ciascuno. I reparti vengono impegnati su tutti i fronti, dall’Africa alla Russia, dalla Jugoslavia alla Francia alla Grecia
Subito dopo la nazionalizzazione delle ferrovie e una serie di fallimenti da parte dei lavoratori che tentavano di raggiungere accordi soddisfacenti per tutte le categorie, il movimento operaio sentì la necessità di creare un fronte unico e, finalmente, dopo molte polemiche, si riuscì a raggiungere, nel 1907, la fusione di tutti i lavoratori in un’unica organizzazione, quella del Sindacato Ferrovieri Italiani, lo SFI. Frutto delle caratteristiche del lavoro in ferrovia, quali la responsabilità, l’at- taccamento al mestiere e lo spirito di corpo, il sindacato dei ferrovieri divenne nel primo Novecento un modello per le altre organizzazioni di lavoratori. Uno sciopero dei ferrovieri si trasformava in una vera sciagura molto temuta dai governi, poiché allora tutto arrivava in treno, dai giornali, ai generi di prima necessità, alle forze di polizia. Lo Stato venne così più volte a patti coi ferrovie- ri, che nel tempo conquistarono molti benefici.
Gli ingegneri italiani si distinsero già allora per il contributo allo sviluppo delle motrici e per le soluzioni più avanzate applicate ai sistemi di trazione. In modo particolare, per le locomotive, è famosa la soluzione del “carrello italia- no”, costituito da un carrello anteriore di guida mobile rispetto al telaio. Que- sta soluzione consentiva una marcia ottimale perché dei due assi solo quello anteriore non era collegato alle bielle, mentre il secondo era collegato alla trasmissione, collaborando allo sforzo di trazione. Il secondo importante contributo fu il brevetto della distribuzione a valvole del vapore ai cilindri, il sistema ‘’Caprotti’, ideato ’per ottenere un rendimento complessivo migliore rispetto ai sistemi classici. Il terzo brevetto italiano, infine, riguardò i pre-riscaldatori dell’acqua che, sfruttando il calore ottenuto con i gas di scarico, consentivano un risparmio nei consumi di carburante fino al 25 per cento; tale sistema venne definito ‘’Franco-Crosti’’, dai nomi degli ingegneri che lo progettarono.
La Brigata Genio Ferrovieri fu costituita a Torino il 1° luglio 1885. Nel 1910 venne trasformata in Reggimento e partecipò sia alla prima che alla Seconda Guerra mondiale, guadagnandosi due medaglie al valor militare. Durante il primo conflitto, il Reggimento costruì 147 chilometri di linee fer- roviarie e fu determinante nei trasporti strategici di truppe e materiale bellico, tanto da meritarsi l’appellativo di “Sesta armata combattente”.
Treno armato VIII, posizionamento ed ancoraggio (Ancona, 1916)
Equipaggio e crocerossine del Treno Ospedale XVII della Croce Rossa Italiana
Negli anni di guerra circolarono quasi un milione di treni che trasportarono 35 milioni di soldati e circa due milioni tra feriti e prigionieri, mentre i materiali trasportati furono 22 milioni di tonnellate.
I Treni Ospedale della Croce Rossa, nel corso del conflitto, svolsero nei paesi belligeranti un’imponente opera di trasferimento di feriti e di malati.
In totale, i treni militari percorsero 30 milioni di chilometri e il personale impiegato raggiunse la cifra record di 240.000 addetti. Furono attrezzati treni- armati con mitraglie e cannoni di grande calibro utilizzati dall’Esercito e dalla Marina, schierati soprattutto lungo la linea adriatica per la difesa delle coste.
Di fronte allo sfacelo verificatosi in seguito alla disfatta di Caporetto (oggi Kobarid, in Slovenia), le ferrovie italiane dimostrarono ancora una volta di es- sere all’altezza della situazione, riuscendo a contenere la perdita di materiale rotabile a solo 10 carrozze delle 200 impiegate. Le stazioni da ricostruire furo- no una trentina, quasi 1.000 i km di linea fuori uso, decine i ponti e le gallerie da ripristinare.
I ferrovieri caduti per cause belliche furono 1.196, mentre 1.281 vennero decorati al valore.
Il sostegno fornito dalle Ferrovie per la grande e vittoriosa offensiva di Vit- torio Veneto fu, a detta degli storici, risolutivo.
1920-
DALLA MARCIA SU ROMA ALLA SECONDA GUERRA
MONDIALE
Quando nell’ottobre del 1922 Mussolini ordinò la marcia su Roma, con lo scopo dichiarato di dimostrare che poteva riportare in Italia l’ordine e guada- gnarsi il rispetto delle altre nazioni, la maggioranza dei 26.000 fascisti che si mossero dalla provincia italiana utilizzò il treno.
Lo stesso Mussolini, convocato dal re Vittorio Emanuele III, arrivò a Roma due giorni dopo la “marcia”, prendendo un vagone letto del “direttissimo 17” in partenza da Milano alle 20.30 del 29 ottobre.
Il re, a Roma, gli affidò l’incarico di formare il governo e in Italia iniziò così il regime fascista.
“Littorina”. Automotrice FS ALn 556, 1938
Elettromotrice FS ALe 883, 1940
Il Ministero delle Comunicazioni, alla cui guida fu chiamato Costanzo Cia- no, affrontò, tra i primi problemi, quello dell’elettrificazione del sistema ferro- viario.
Negli anni ‘30 la trazione a vapore venne quasi ovunque soppiantata da quella elettrica trifase, ma fu il 1933 l’anno della svolta decisiva per l’evolu- zione del sistema ferroviario italiano, con l’adozione della trazione a corrente continua a 3000 volt al posto di quella trifase. Oltre a svincolare l’Italia dall’ob- bligo di approvvigionarsi di carbone dall’estero, la trazione elettrica consentì di aumentare considerevolmente la velocità dei convogli, che cominciarono ad assumere un profilo sempre più aerodinamico.
Nel 1939 l’Italia, leader in Europa, possedeva circa 5.000 chilometri di linee elettrificate, a fronte degli 800 realizzati alla fine della Prima Guerra mondiale. Importanti lavori furono quelli attuati per le cosiddette “direttissime”, intese come linee di scorrimento veloce, che collegavano due località con percorsi abbreviati e un aumento delle potenzialità di traffico, per i migliori tracciati ottenuti grazie alle più moderne opere d’ingegneria. La prima “direttissima”, terminata nel 1927, fu la Roma-Napoli, la seconda fu la Bologna-Firenze (1934), con la grande galleria dell’Appennino lunga 20 km.
Mentre le ferrovie trovavano nuovo impulso grazie all’elettricità, un altro mezzo di trasporto si andava imponendo: l’automobile. Tanto che in pochi anni, dal 1931al 1933, la quota dell’autotrasporto passò dal 3 al 20 per cento.
Alla costante perdita del trasporto delle merci a vantaggio di quello su gomma, l’amministrazione delle FS rispose incentivando il settore passeggeri, anche in risposta alla crescente domanda della popolazione di usufruire del treno per scopi turistici. I “treni popolari” furono una delle contromisure adot- tate a questo proposito. Il primo servizio fu inaugurato nell’estate del 1931 e prevedeva sconti che arrivavano fino all’80 per cento nelle giornate festive e per le comitive. Un’offerta veramente speciale, che ottenne un alto gradimen- to da parte del pubblico.
Il progetto delle automotrici leggere dette littorine venne avviato all’inizio degli anni ’30. L’obiettivo fu quello di realizzare un veicolo destinato alle linee secondarie, capace di fornire buone prestazioni di velocità e di economia di esercizio, sia per fronteggiare la concorrenza automobilistica sia per dare un segno di modernizzazione dove l’elettrificazione non sarebbe mai giunta.
L’ETR 200 (ElettroTreno Rapido) è il progenitore dei treni ad alta velocità italiani. Dimostrò nei fatti la possibilità per un convoglio elettrico, di costruzione italiana, di viaggiare a 200 km/h nel 1939, epoca in cui la maggior parte dei treni era ancora a vapore.
L’unità che effettuò il record mondiale di velocità, nella foto, ristrutturata, oggi è conservata nella Rimessa Ferroviaria di Pistoia
Si trattava, infatti, di carrozze Fiat, Ansaldo e Breda dotate di motore a ben- zina o a gasolio o addirittura a vapore o a metano, dotate di una caratteristica e rivoluzionaria testata aerodinamica. Vestiti di una livrea marrone, colore allo- ra in voga, questi treni potevano correre a una velocità massima di 110 km/h e disponevano di una cabina di guida a ciascuna estremità che permetteva loro di viaggiare indifferentemente in un senso o nell’altro. Il nome “littorina” fu scelto in onore della città di Littoria (oggi Latina), fon- data nella pianura pontina nel 1932, lungo la quale una di queste automotrici effettuò la prima corsa proprio per l’inaugurazione della città. Con un orgo- glioso Mussolini ritratto dal cinegiornale Luce mentre ‘’conduceva’’ il moderno mezzo, vanto del regime, nelle terre appena bonificate. Il notevole successo riportato dalle littorine spinse a progettare rotabili simili ma con motore elettrico, anche perché le restrizioni all’approvvigiona- mento di carburante imposte dalle Nazioni Unite dal 1935, in seguito all’in- vasione dell’Etiopia da parte dell’Italia, rendevano necessario rafforzare l’effi- cienza “autarchica” del regime. Per questo nuovo sistema i tecnici delle Ferrovie dello Stato e della Bre- da idearono un elettrotreno aerodinamico dal frontale penetrante, con fine- strini fissi complanari alle pareti esterne per evitare turbolenze e l’aerazione interna dotata di impianto di condizionamento. Nacque così l’ ETR 200 , un tre- no all’avanguardia, che nel 1939 conquistò il record di velocità media sulla lunga distanza viaggiando a 203 km/k tra Pontenure e Piacenza, sulla Milano- Firenze. Tutti questi elementi furono considerati rivoluzionari per le motrici dell’epo- ca, che ottennero riconoscimenti in campo internazionale. Anche negli Stati Uniti: un elettrotreno, un’automotrice diesel e un’elettromotrice, vanto della tecnologia italiana, furono infatti imbarcate sul transatlantico Rex per essere esposte alla Fiera della Tecnologia di New York nel 1939.
L’Europa, alla fine degli anni ‘30, ripiombò nell’incubo della guerra. Negli anni del conflitto, le ferrovie divennero il principale mezzo di trasporto a causa della crescente mancanza di carburante per l’autotrasporto. Le strade ferrate e le stazioni furono l’obiettivo principale dei bombarda- menti aerei degli alleati, degli atti di sabotaggio dei partigiani e delle distru- zioni operate dall’esercito tedesco che, in questo modo, cercava di proteggersi la ritirata.