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Origine antropologia britannica
Typology: Lecture notes
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Si può dire che si sviluppa un sapere antropologico essenzialmente per ragioni politiche: gli statunitensi si devono occupare della questione indiana, i britannici e i francesi elaborano un sapere antropologico per occuparsi delle colonie. Questo non significa che gli antropologi fossero dei colonialisti. Ci sono tre grandi scuole internazionali di antropologia che si sviluppano nel corso del Novecento (ma già anche alla fine dell’Ottocento), noi per semplicità ci occupiamo della scuola britannica. Il primo studioso ad avere una cattedra di antropologia all’università è stato Taylor, che ha elaborato la prima definizione antropologica di cultura. Origine dell’antropologia britannica. Che cosa fanno gli evoluzionisti (Taylor) con la cultura? La immaginano come scomponibile in tratti: quindi avremo le credenze, l'arte, il diritto, una tecnologia, (tutti hanno una tecnologia, quindi la parola tecnologia non significa solo immaginare lo sviluppo dei microchip), quindi tutti hanno una tecnologia che nella prospettiva di studio degli evoluzionisti va ordinata in una sequenza dal semplice al complesso. All’epoca l'intenzione di questa prospettiva non era giudicare negativamente o gerarchizzare, era includere (punto importante). All'origine dell'antropologia c'è quindi uno sforzo inglobante. Unità psichica del genere umano e concezione progressiva:
Ritornando alla definizione di cultura: la cultura è un fenomeno sociale trasmesso e appreso e non ha a che fare con il sangue, per questo nella definizione di Taylor si utilizza il termine "acquisita", serve a tenere a distanza ogni tentazione razzialista. La cultura è un insieme complesso perché è scomponibile e ciascuna sottosezione della cultura viene analizzata attraverso lo schema evolutivo: vale per la tecnologia, per l’arte, per la religione e per la politica. Questo acquisire in quanto membro della società fa si che si riconosca l’incredibile variazione culturale esistente, tutte le culture hanno la stessa dignità e soprattutto fa uno spostamento: Taylor opera il passaggio dalla dimensione individuale della cultura alla dimensione collettiva. La dimensione individuale della cultura è quella che perseguiamo noi iscrivendoci all’università, quindi la cultura di chi ha un certo grado di istruzione, anche nel suo aspetto di prestigio e distinzione quindi, di elevazione. La cultura nel senso antropologico è un fenomeno collettivo, tipico di ogni società, ci caratterizza in quanto membri di una comunità (la cultura italiana, la cultura veneta ecc.). La religione e la politica non sono sganciate dalla cultura, sono specializzazioni tematiche. Non è difficile capire in che modo Taylor imposta la riflessione sulle religioni: se il mondo della cultura è un mondo in evoluzione e dobbiamo individuare degli stadi, la descrizione di ogni stadio passerà anche attraverso il modo in cui esso nasce. Nel caso della religione quindi la cosa più importante da fare è capire come nasce. Taylor ha creato una nozione che tutti utilizziamo con maggiore o minore consapevolezza: la concezione di animismo. Il concetto è stato coniato da Taylor: è la credenza nell'esistenza di un doppio spirituale attribuito a una serie di entità, che possono essere alberi, piante, animali, anche oggetti inanimati. Questa religione come nasce? Taylor ha in mente qualcuno che sta pensando, qualcuno che si deve dare una spiegazione. Egli infine la trova e inventa l'animismo. Deve trovare una spiegazione dell'esperienza onirica, nella teoria di Taylor l'uomo primitivo si interroga sul sogno. Si dà una spiegazione in termini di attività autonoma dell'anima, è una spiegazione primitiva. E questo è il primo passo, perché ovviamente Taylor ha in mente l'evoluzione di tutto questo: allora se io nel sogno faccio tutto questo attraverso l’anima e incontro delle figure, bene, allora anche quelle piante, animali, quelle cose che sono nel sogno hanno un'anima, quindi si parte dall’essere umano e poi si allarga, quindi l'anima viene attribuita a una serie infinita di entità. Inoltre, nel corso della storia avviene una razionalizzazione che prende la forma di un restringimento del campo delle entità alle quali si può attribuire l'anima. Quindi la religione contemporanea, le religioni monoteiste sono delle forme più evolute rispetto all’animismo in cui l'anima è soltanto dell'uomo. In realtà è una teoria totalmente congetturale, non abbiamo elementi per dire che le cose sono andate così, può sembrare soddisfacente ma è del tutto congetturale, e questo è importante per capire la crema principale dell’evoluzionismo, cioè tutto l'impianto evolutivo era in buona misura congetturale, ed è la ragione per cui che nell’antropologia degli anni successivi si eviterà di parlare di storia e si cercherà di stare sul presente, ti dico cosa è vero adesso perché di questo sono sicuro. Evidenziato questo, l'idea forte è che ci possa essere una forma primitiva di religione da cui derivano tutte le altre e che questa forma primitiva abbia l'essenza della religione, cioè che contenga un elemento comune a tutte le altre religioni. È quello che fa Durkheim nelle Forme elementari della vita religiosa in cui si cerca di individuare una forma primitiva di religione le cui caratteristiche devono essere condivise da tutte le altre religioni. La differenza tra D e T è che T individua questa forma primitiva nell’animismo e D la individua nel totemismo australiano. Poi non è affatto detto, questa è materia di libera riflessione, che per un fenomeno religioso l’elemento più interessante da individuare sia la sua origine, questo avveniva nel quadro degli evoluzionisti. Esempio dall’esperienza personale di Mangiameli sui rituali funebri in Sicilia: la Vanniata, vanniare significa urlare, sgridare nel senso di rimproverare, bandire nel senso del banditore, cioè di dare un annuncio e significa anche bandire come mettere al bando, come macchiare qualcuno o qualcosa, tutta questa polisemia è inclusa nel rituale, che ha a che fare con la situazione di agonia, cioè nel mondo rurale della Sicilia della prima metà del Novecento esisteva questo costume basato sulla credenza che se un uomo o una donna agonizza a lungo non può essere semplicemente di ordine biologico, ci deve essere un elemento culturale per spiegare una forma particolarmente dura di sofferenza, quindi se un uomo agonizza a lungo sta pagando una colpa, questa colpa
B. Poi principio di similarità --> individuo un elemento comune tra x e y, agisco su x per agire su y. Frazer apre uno scenario in cui l'operazione magica è una sorta di figura retorica agita, cioè è come se il mago mettesse in scena delle figure retoriche. Quindi dire semplicemente "forma abortita di scienza" è un po' un tradimento, può darsi che buona parte della storia dell'umanità, e forse anche il presente, abbia a che fare più che con l'intervento su qualcosa, con l'espressione della necessità di un intervento, espressione simbolica di un disagio o di un’altra emozione. Allora molte pratiche magiche sono figure retoriche agite, forme metonimiche. Questa citazione è emblematica e dà l’idea della complessità della transizione che stavano vivendo gli evoluzionisti: "Il futuro dell'umanità "si nasconde nella nebbia, nell'ombra, nel buio"" Tutto ciò su cui è basata questa fede del progresso è spiccatamente eurocentrico, cioè noi siamo stati nella nostra culla, comodi, a elaborare il nostro mondo, eventualmente sfruttando quello degli altri e adesso per ragioni nobili stiamo dicendo che l’umanità va allargata, nel momento in cui faccio questo allargamento cado in contraddizione nel momento in cui la prospettiva evoluzionista sta inglobando l'alterità. Cioè non sa più che cosa ne possa venire fuori. Parla di nebbia, ombra e buio perché le certezze vengono meno. I punti di vista saranno molteplici e non sappiamo più se riusciremo a controllare tutto questo. Quindi tutta quella certezza del progresso si scontra con se stessa, con le conseguenze dell’approccio stesso, questo è l’elemento di autocontraddizione. Evoluzione politica. Status e contratto --> evoluzione da società basate sullo status a società basate sul contratto oppure da società basate sull'ascrizione o società basate sull'acquisizione. Questo vuol dire che la mia condizione è determinata dalla mia nascita in modo definitivo, in B invece io sono artefice del mio destino, negoziando la mia posizione con gli altri. Questi concetti vanno considerati come "tipi ideali", poi ci sono tutte le situazioni ideali umane che sono poste tra l'uno e l'altro. Resta il fatto che tutt'ora questa distinzione potrebbe essere un modo comprensibile e condiviso da molti per distinguere la società arretrata dalla società moderna. Henry Maine (1822-1888) descrive il passaggio dallo status al contratto. "dissoluzione graduale della dipendenza familiare..." "la storia delle idee politiche comincia partendo dal presupposto che la parentela di tipo consanguineo è l’unico ed esclusivo fondamento sul quale la comunità si regge come complesso di funzioni politiche" e se invece "la storia dell'umanità non ha espresso..." concepisce il primo caso come organizzazione sociale e il secondo caso come organizzazione politica. Morgan è il pioniere dell'antropologia americana --> Lewis H. Morgan, La lega degli Irochesi. Egli si impegnò, da repubblicano, per tutelare i diritti degli Irochesi contro l'invasione dei loro territori da parte degli americani di importazione. Morgan esultò pubblicamente dopo la sconfitta americana contro gli indiani a little big horn.
L’antropologia è Vultiparadigmatica : nella sua storia si sono succedute e accompagnate tra di loro modalità differenti di concepire lo studioso. C’è una regola sull’uso dell’aggettivo antropologico: usato quasi sempre in maniera sbagliata! usato per definire qualcosa di fisso e fuori discussione, mentre noi intendiamo qualcosa di molto variabile e sfuggente, aperto a molte definizioni. Anche nei percorsi formativi di antropologi del passato si legge questa differenziazione. Ciò che antropologo scrive e comunica ha una pretesa di scientificità forte. Aspetto correlato a questa idea di sapere è una forma di oggettività: io conosco realtà attraverso una strumentalizzazione scientifica per cui ciò che ne risulta è oggettivo. Ma neutralità? Morgan non era neutrale però, per Tylor antropologia è la scienza del riformatore! idea di porsi politicamente rispetto alla società in cui si vive, no indifferenza e neutralità.
Morgan: schema evolutivo selvaggio, barbaro e civilizzato. Lui fa una distinzione tra sistemi classificatori e distintivi: sistemi di terminologia di parentela! io = ego (soggetto immaginario che si pone al centro della schema da cui si creano i legami di parentela). Ego chiama padre sia il padre che il fratello di questo nella cultura degli indiani d’America! sistema distintivo vede queste due figure distinte. Morgan si accorge della profondità di terminologie di parentela che sono un vero e proprio scheletro della società: utilizza come strumento scientifico questa terminologia di parentela, ovvero appartenenza ad un sistema o ad un altro. Il modo in cui segmentiamo l’insieme dei nostri parenti è qualcosa di molto profondo e duraturo. Morgan si poneva il problema dell’origine degli indiani d’America, e c’era ipotesi di origine asiatica che Morgan accetta e analizza su base di terminologia di parentela: parole cambiate, lingue hanno avuto evoluzione, ma struttura della terminologia di parentela è la stessa. Relativismo culturale: resistenza a desiderio e spinta di decifrare dall’esterno una qualsiasi situazione socio culturale, di leggere semplicemente con i nostri occhi senza preoccuparci del fatto che possa avere un altro senso all'interno di un contesto, considerare un altro punto di vista. Robert Carneiro (1927): “Una teoria sull’origine dello Stato”! parola origine è un segnale: atteggiamento riconducibile all’evoluzionismo in una delle sue forme. Lui ha una lettura neutrale e vuole trovare scientificamente una spiegazione sull’origine dello stato. Stato: unità politica che comprende e abbraccia diverse comunità, un territorio, un sistema centralizzato che esercita il potere ed esige un pagamento di tasse, può imporre lavori per interesse collettivo e può stabilire nuove regole. Stato primario nasce autonomamente, ma come? Carneiro non accetta spiegazioni di tipo accidentale o che evocano la superiorità dello spirito di un popolo, e nemmeno la guerra come elemento che da vita è una spiegazione, poiché è un fenomeno troppo diffuso che non può spiegare cose specifiche. Stati primari:
percorso evolutivo di essere umani e quindi non è separabile! concezione interattiva al posto che visione stratigrafica in cui cultura e natura sono fuse. e. Rifiuto dell’ordine temporale della visione stratigrafia e della gerarchizzazione (prima/dopo – base organica/sovrastruttura culturale! cultura non è solo ornamento). f. Il ruolo del cervello! manuale! linguaggio ricondotto a passaggio evolutivo che inizia dai piedi, il cervello è l’ultimo arrivato e per questo va abbandonata teoria del punto critico che separa un tipo di evoluzione da un’altra! Per Geertz uomini senza cultura sarebbero delle mostruosità. Il nostro cervello si è evoluto in un contesto che è cultuale e ha bisogno di quel contesto: cultura per uomo come acqua per i pesci.
Remotti e concetto di cultura (riprende lezione scorsa). Vignetta! si può pensare a un’invenzione della cultura, escludo alcuni tratti a beneficio di un discorso che può essere ideologico e che vuole rappresentare culture lontane come “esotiche”. Può darsi che l’antropologia venga vista così. Quando un antropologo sembra essere interessato a costumi vagamente esotici può essere che stia facendo etnografia d’urgenza. Questa è stata la chiave della ricerca sul campo nella prima metà del Novecento in maniera dichiarata e poi in maniera più celata anche successivamente. Significa descrivere la cultura facendolo sotto la pressione di un’urgenza, cioè i fenomeni culturali che ho davanti agli occhi potrebbero scomparire da un momento all’altro. Se non se ne occupano gli antropologi qualcosa scompare senza possibilità di recupero. Nella prima metà del 900 questa preoccupazione era esplicita, cioè si riteneva che la mondializzazione avrebbe comportato la scomparsa delle culture altre, poi in realtà questo non è accaduto, oppure non si è ancora dispiegato del tutto il processo che porta alla scomparsa di una parte della creazione umana. In Europa si riteneva anche che la secolarizzazione fosse un processo irreversibile, che le religioni fossero destinate a scomparire, anche questo però non è successo, ma è chiaro che quando ci confrontiamo con le religioni lo facciamo su un piano duplice. La sensazione è che ci possa essere una scomparsa, per questo vale la pena di discutere e ragionare su certi argomenti. L’economia però non sostiene questo tipo di ricerca. Ciò che sembra passatista, in realtà ha molto a che fare con la creatività, perché mettere in circolazione delle pratiche sconosciute, alimenta e stimola gli ascoltatori, potendo diventare strumento per inventare altre storie, per fare narrativa, per fare pedagogia, cinema ecc. Dal cosiddetto passatismo o esotismo si arriva molto velocemente alla creatività. (Esempio di Maramao perché sei morto? E dei meme) (libro di Ernesto di Martino, Morte e pianto rituale).
di alcuni milioni di anni noi siamo passati dall’uso delle mani come arti su cui appoggiarci siamo passati alla posizione attuale, questo ha comportato che quando eravamo impegnati ad usare le mani per appoggiarci usavamo la bocca per prendere le cose, quindi abbiamo liberato le mani, nel momento in cui abbiamo liberato le mani esse possono prendere degli oggetti e quindi liberano la bocca, che a quel punto si apre ad altri usi. Quindi questo ci induce a rifiutare la visione stratigrafica (prima la biologia e poi la cultura) e anche la gerarchizzazione, cultura come mero ornamento di un corpo già definito. La cultura può ornare ma non è stata solo questo. Anche il linguaggio viene ricondotto a questo passaggio evolutivo che inizia dai piedi, il cervello è l’ultimo arrivato e quindi per questo dobbiamo abbandonare la teoria del punto critico, che separa un tipo di evoluzione dall’altra, il punto critico non esiste, qua c’è la citazione di Clifford Geertz, Interpretazione di culture. La cultura è l’ambiente in cui il nostro cervello si è evoluto, il nostro cervello si è evoluto in un contesto che è culturale e ha bisogno di quel contesto. Diciamo che la cultura è più o meno ciò che è l’acqua per i pesci. “Il cervello è cresciuto in interazione con la cultura quindi è incapace di guidare il nostro comportamento senza la guida fornita dal sistema di simboli significanti”. Il sistema di simboli significanti è la cultura. Questo sistema di simboli deriva dall’incompletezza biologica dell’essere umano (ancora la cultura non è un ornamento ma è necessaria). Nel percorso evolutivo, questa incompletezza è come se fosse autocatalitica, cioè più andiamo avanti nel percorso evolutivo sulla base di questa incompletezza, più ne abbiamo bisogno. Più andiamo avanti più gli esseri umani sono dipendenti dalla cultura, e quindi non possiamo farne a meno in maniera crescente. Il modello interattivo rigetta le dicotomie di natura/cultura e individuo/società. Esattamente come non possiamo pensare all’uomo nudo, non possiamo pensare all’individuo formato che solo dopo entra a far parte della società, perché noi siamo necessariamente socializzati e culturalizzati molto prima, e lo siamo dentro il grembo materno. Perché viviamo l’impronta culturale, tipo mamma attenta alla nutrizione ed è radicalmente differente da qualcun altro. I simboli condivisi, che sono la cultura, ci guidano
consapevolezza e alla manipolazione sociale – da un lato il simbolo che si inabissa e diventa naturale, dall’altro la cultura si stacca, cosa che succede nella sovraumanizzazione – io singolo individuo non posso intervenire sulla bandiera, su un simbolo religioso, ho bisogno di un vastissimo movimento per modificare un simbolo di quella portata. Tutto questo si può chiamare entificazione, sostanzializzazione, autonomizzazione, reificazione. Sono intercambiabili. Il trucco della reificazione come caratteristica fondamentale della cultura: negazione del carattere sociale dei simboli condivisi. L’ “in più” culturale di Remotti: oltre il necessario, il funzionale, lo strumentale, ci porta alla precarietà. Molto brevemente: quando abbiamo a che fare con la sfera attuale nelle sue manifestazioni più varie, volendo assumere un atteggiamento molto distaccato e razionale percepiamo un eccesso, un surplus, cioè perché per fare un’operazione rituale è necessario investire tutte queste risorse, perdere tutto questo tempo, elaborare costumi, canti, tempo dedicato, persone coinvolte? Questo è l’eccesso. La proposta è questa: questo in più dipende dal fatto che la cultura, pur avendo le caratteristiche come tendenza alla reificazione, a scomparire dal controllo degli esseri umani, è in realtà profondamente precaria. La cultura è precaria nel senso che si può riassumere così: la danza c’è finché qualcuno danza. Se smettiamo di danzare non c’è più la danza, quindi la cultura, che sembra avere questa capacità di costringerci a fare delle cose, oltre a essere così potente è anche straordinariamente precaria. Ogni volta che eseguiamo un atto rituale o culturalmente determinato e definito, noi non stiamo semplicemente eseguendo qualcosa come se ci fosse un copione da eseguire, noi stiamo facendo la cultura, la stiamo mettendo a esistere, se noi non mettiamo a esistere la cultura, essa non c’è.
Accezioni di cultura: classica e moderna. Le evidenze delle scienze fisiche ci dicono che l’uomo ha iniziato a costruire, a utilizzare oggetti, a fare cultura, a sviluppare un mondo extraorganico quando ancora il cervello non era formato e il corpo continuava a modificarsi. (libro Gertz – Interpretazione di culture) Quell’insieme che chiamiamo cultura sfugge dalla nostra presa sia dal basso che dall’alto. Dal basso: tutto ciò che diamo per scontato, ciò che è risultato di adattamento culturale e ciò di cui ci accorgiamo quando qualcuno viola le norme più ovvie. “Non ci interroghiamo sul terreno su cui camminiamo a meno che non ci siano crepe”. Poi l’altra strategia è la sovra-umanizzazione, che riguarda gli aspetti più macroscopici, quindi i grandi simboli (bandiere ecc.). Non significa che i grandi simboli non si possano arricchire o impoverire. Possiamo rendere sempre più familiare una certa derivazione semantica di un simbolo. Naturalizzazione da un lato e sovraumanizzazione dall’altro. “In più culturale”! la cultura esiste finché qualcuno la pratica, la cultura è agita, attualizzata, praticata, è viva nelle pratiche stesse di attualizzazione, come la lingua. La lingua c’è finché la parliamo. La precarietà del simbolico ci fa pensare a un lavoro continuo di presentificazione della cultura. Quindi nell’atto culturale, facendo qualcosa in un certo modo manteniamo in vita qualcosa che esiste nella pratica stessa. Questo “in più” culturale è il sovraccarico, quello che percepiamo come un surplus, il fatto che la cultura sembra che esageri, che punti su qualcosa di non necessario. Questo “non necessario” non è altro che una risposta alla precarietà, è la cultura che parla di se stessa, per questo si parla di un livello meta-culturale. Robert Hertz (1882-1915) – Famoso per un saggio, il Contributo allo studio sulla rappresentazione collettiva della morte (1907). La prima informazione importante è il carattere cruciale, nelle culture, della società come fenomeno perenne, che va sostenuto. La società è perenne, in realtà non lo è e quindi la dobbiamo sostenere
evolutivo che si dipana in termini più lenti rispetto all’evoluzione culturale ma strutturalmente la questione è la stessa: la cultura è praticata, la specie è nel processo di passaggio della generazione della forma anno dopo anno, generazione dopo generazione e la lingua uguale, è nella sua esecuzione. Remotti sintetizza dicendo che “la radice della precarietà è in sostanza la socialità della cultura, e il carattere insuperabile della precarietà è dovuto…ecc.”. In chiusura Remotti parla di dilatazione e sconfinamenti, la cultura che si dilata, che sconfina. Prima abbiamo cercato di capire, ci siamo detti che cos’è la cultura come se volessimo sconfinarla ma in chiusura del capitolo Remotti fa vedere come in realtà la cultura si muova contaminandosi con altri concetti. Il primo interlocutore è la ragione.
un livello scientifico quindi il rituale ha ruolo di regolazione. Alla fine del festival di macellazione dei maiali, vengono invitati gli alleati, si mangia la carne di maiale, dopo di che si va in guerra. Attaccano i loro nemici, è una ritualizzazione delle attività belliche: quando si fa il festival poi si fa la guerra. Allora io dico che voglio il sostegno degli antenati ma in realtà sto creando alleanze per la guerra. Allora succede che dopo la fase di dispersione dell’accampamento, la fase in cui le donne sono state a rischio, fase in cui non ci sono più le forze per produrre di più, si ritorna al punto precedente: si fa la guerra e si ritorna a vivere tutti insieme. C’è una sorta di orologio gestito dal basso in cui, ci fa notare Rappaport non senza ironia, la vera variabile determinante è il numero di donne che fanno pressione sui mariti perché sono arrivate al limite di sopportazione. Questa pressione viene portata nelle assemblee dove gli uomini decidono cosa fare, quindi si arriva alla guerra che serve anche a rivendicare le violenze sulle donne. Alla fine, c’è corrispondenza tra questo ciclo e la capacità di carico dell’ecosistema. Quindi gli zembaga si comportano in maniera perfettamente ragionevole per ragioni prive di senso. Le motivazioni per fare qualcosa sono simboliche, quindi insensate, ma in realtà tutta la procedura ha senso. Questo è un modo molto contorto e difficile da registrare per conferire carattere di ragionevolezza a una pratica culturale che è apparentemente folle. Inoltre, dopo il festival, c’è un primo scontro che ha le sue regole rituali: nella tarda nottata le truppe si riuniscono e mangiano una quantità enorme di carne salatissima, dopodiché vanno in un luogo dove c’è l’appuntamento e hanno il divieto assoluto di bere acqua; le ostilità si interrompono se il cielo smette di essere sereno; le ostilità si interrompono non appena qualcuno dichiara di avere sete e si dispongono attraverso uno schieramento in cui tutti hanno uno scudo e hanno tutti frecce rigorosamente storte. Che senso ha tutto questo? È una maniera per scongiurare la guerra, si chiama la battaglia da niente, quindi si spera che ci sia qualcuno da una parte che ha un rapporto di parentela con qualcuno della controparte, quindi quella è l’occasione per dire “basta, non facciamoci del male”. Quindi ha anche un’altra funzione: scongiurare lo scontro violento. Succede che arriviamo a degli obiettivi perseguendone altri. Sconfinamento cultura – ragione: la cultura, nel suo aspetto colorito, irrazionale, folle, in realtà rivendica attraverso l’antropologia culturale elementi importanti di ragionevolezza, di senso, di brillantezza. C’è anche un percorso inverso in realtà, ed è la ragione culturalizzata; la ragione che deve moderare le proprie pretese, la ragione come forma più prestigiosa, anche della cultura accademica. La ragione degli europei che deve accettare di essere cultura, cioè di essere una tra le tante, o di essere addirittura credenza. La parola credenza veicola spesso un pregiudizio, cioè sottintendo che non è reale, che è un’illusione. Negli ultimi 30 anni almeno la funzione principale dell’antropologia è stata da un lato fa vedere che i mondi lontani non sono privi di ragione e dall’altro relativizzare la nostra posizione: stare dentro al mondo invece di autoescluderci su un piano superiore e guardare gli altri come poveri illusi prigionieri del folclore. Negli ultimi tempi un terreno su cui questa offensiva che viene dal resto del mondo, questo carico di dignità delle altre culture, tocchi la questione della produzione, dell’ambiente, della sostenibilità, cioè potremmo parlare delle idee sullo sviluppo, sulla crescita economica, sulla crescita illimitata come delle credenze. La crescita illimitata come illusione di un certo periodo con un certo contesto culturale che potremmo chiamare vagamente occidentale contro cui arriva un altro modo di situare l’azione umana in cui aumentare la produzione non è necessariamente una cosa nobile ma limitare le pretese è caratterizzato da una certa forma di saggezza. Molti antropologi raccontano da che punto di vista la cultura x può fornire un’indicazione di tipo ecologista. In questo senso possiamo relativizzare i nostri modelli per pensare la produzione.
costruito da un ambiente che non lo è? Sono tutte domande utili a mettere in moto dei ragionamenti, non dobbiamo per forza rispondere. Tutto è presente nel saggio di Ingold. Egli fa tre esempi significativi:
interpretazione caritatevole, in base alla nostra ostilità ideologica. Quindi evoluzionismo e diffusionismo sono due forme estreme che utilizzano comunque la comparazione ma in un caso c’è un’indifferenza totale per il contesto, anzi l’evoluzionismo decontestualizza per definizione mentre il diffusionismo ha bisogno del contesto. Domanda: che cos’è una casa? Cosa ci deve essere necessariamente? Gli esseri umani mangiano, quindi c’è da porsi il problema se abbiamo bisogno di uno spazio per cucinare in casa oppure no. Anche per il bagno si fa lo stesso discorso. Tutto questo perché questo esercizio è porsi in un’ottica di costruzione di categorie che possono servire a scopo comparativo, per dire a che stadio è la casa di qualcuno che io ho qui di fronte. Come si evolve il concetto di casa? Quando compaiono certi comfort rispetto ad altri? Andando avanti, eravamo passati a Taylor e a questo si collega l’idea di sopravvivenza. L’idea di sopravvivenza per esempio, fenomeno culturale apparentemente sganciato dal presente in cui si trova, magari lo incrociamo quotidianamente senza accorgercene. Ad esempio, la mano davanti alla bocca quando si sbadiglia, cioè non necessariamente è un esempio di sopravvivenza ma nel quadro degli evoluzionisti lo sarebbe stato, perché secondo una teoria di sapore evoluzionista la mano davanti alla bocca è legata alla credenza dell’anima, che in quanto principio etereo e sfuggente possa uscire dagli orifizi e lasciarci senza; quindi quando sbadiglio mi proteggo. Questa credenza si traduce in una pratica che poi diventa norma di galateo e poi resta norma di galateo senza il suo significato fondante, di cui noi non sappiamo nulla e pensiamo sia semplicemente più educato così non facciamo vedere l’interno della nostra bocca. Poi abbiamo visto Frazer: il suo comparativismo si è inserito nel quadro evolutivo ma aveva una base analogica e per questa via diventa repertorio disponibile per le avanguardie artistiche, il fatto di mettere accanto a una pratica decine e centinaia di altre pratiche, in ogni luogo e in ogni epoca, diventa il modo di allargare il senso di qualcosa, di creare associazioni. (come dicevamo ieri). Ora passiamo a Marcel Mauss (pronunciato “MOSS”), sociologo antropologo francese della scuola etnosociologica francese, della scuola di Durkheim, che è stato il principale allievo ma anche il nipote (la mamma era la sorella di Durkheim). Egli scrive un saggio fondamentale che si chiama “Saggio sul dono” che esce nel 1925. Mauss faceva ricerche sul campo? No, prende materiali scritti da altri. (Malinowski scrive sul kula , Boas sulla base di ricerche sul campo sul potlach e numerosi resoconti dalla polinesia parleranno di hau ). Lui non faceva lavoro sul campo quindi Mauss legge produzioni altrui, alcune testimonianze di prima mano, lettere, epistole, altre cose vengono dalle pubblicazioni. Il saggio di Malinowski esce nel ’22, pensate a che impatto deve aver avuto questo libro se già nel ’25 usciva un saggio importantissimo da parte di uno studioso francese. Il kula è una forma di scambio che avviene nelle isole Trobriand, un arcipelago nel Pacifico di isole poste più o meno a cerchio, di dimensioni dell’Italia circa, quindi abbastanza grande, in cui gli argonauti, i trobriandesi si muovono da un’isola all’altra sulle loro imbarcazioni in senso orario oppure in senso antiorario e quando si muovono di qua o di là scambiano un genere di oggetti di cui un genere gira solo in senso orario e l’altro in senso antiorario. Si tratta di beni di grande prestigio quasi privi di valore d’uso, non servono a nulla e a volte non venivano neanche indossati. Il prestigio deriva dal possesso temporaneo, è una nozione che sfida le nostre certezze, il possesso è tale proprio perché non è temporaneo, invece nello scambio kula il possesso è connesso alla temporaneità. Questo è un primo caso che ha a che fare con il dono, con i legami che gli uomini costruiscono attraverso atti che possono non essere collegati alla strumentalità, faccio qualcosa che apparentemente non ha un valore economico. Non è vero che la razionalità economica è un principio che può spiegare tutto quello che gli esseri umani fanno. Il potlach è un’usanza diffusa in varie forme in Nord America presso varie popolazioni native. Boas ha l’occasione di assistere, di fare un’etnografia del potlach. Si tratta di una operazione competitiva. Nel territorio ci sono due antagonisti che vogliono primeggiare, che vogliono essere considerati leader e lo si fa inserendosi in una spirale competitiva in cui io che ho un bene molto importante lo distruggo, l’altro allora,
che non può tollerare questo, prende un altro oggetto di valore uguale e distrugge questo oggetto. Cosa che va avanti all’infinito, si continua sempre a sfidarsi, è un’operazione di distruzione competitiva allo scopo di ottenere prestigio. Infine, la parola hau significa nella lingua dei maori “spirito della cosa donata”. Io regalo qualcosa e lo spirito controlla questo legame, la conseguenza è che tu prima o poi dovrai ricambiare. Innanzitutto, devi accettare il dono e successivamente devi ricambiare. Cosa succede se tu non ricambi? Disgrazie, malattie, ecc. Lo spirito colpisce ed eventualmente porta alla morte. Però ciò che nei termini locali è la morte, malattia, sofferenza, in termini sociologici o antropologici è la sofferenza o la malattia della persona sociale, cioè il suo prestigio, la sua reputazione. Mauss sta facendo una comparazione che ha una natura e uno scopo che sono differenti, lui non sta dicendo che per esempio il kula e il potlach sono la stessa cosa, sono due pratiche molto lontane, Mauss sta creando un oggetto virtuale che non c’è, un campo problematico, questo oggetto virtuale è il campo del dono. Questa nozione così semplice diventa un fenomeno con mille sfaccettature, ma in nessun caso che noi conosciamo tutte queste sfaccettature si presentano concretamente nella realtà. Il dono di cui parla Mauss non esiste nella realtà, esiste solo nella costruzione scientifica del momento. Ma il potlach col dono cosa c’entra? Non è il potlach che c’entra col dono, è la distruzione insensata che può essere coinvolta nell’azione donatrice. Allora il kula insegna che si può acquisire prestigio anche dal possesso temporaneo di qualcosa, il potlach ci insegna che si può acquisire prestigio anche dalla distruzione di qualcosa che si ritiene molto importante e quindi donando in maniera sproporzionata si acquisisce prestigio. Immaginiamo un elastico in cui dentro c’è una matita, io metto accanto alla matita altri oggetti con forme differenti dalla matita e costringe l’elastico ad allargarsi, questo insieme prende un nome che in questo caso può essere modello del dono, ma l’aggregazione che ho creato non è un fenomeno che appartiene alla realtà: questi oggetti tutti insieme non si presentano mai, a Mauss interessa far vedere questa rete. In questa maniera ha individuato questo principio fondamentale e strutturale che si incarna nello hau: obbligo di dare, di ricevere e ricambiare! questi tre elementi costituiscono il principio di reciprocità. In una fase precedente al saggio sul dono, cambia il modo di lavorare degli antropologi. Gente come Boas e successivamente Malinowski e Radcliffe-Brown iniziano a lavorare su metodi, contesti delimitati. Boas lavora sul particolarismo storico, dice che può esaminare scambi, influenze tra quella società e le società circostanti oppure società lontane con la quale però c’è una connessione attraverso i viaggi. La comparazione diventa qualcosa da costruire all’interno di un contesto, il contesto diventa caratterizzante per l’antropologia, questo da Boas in poi quindi anche per Malinowski e Brown. Il contesto si costituisce esaminando i movimenti, le traiettorie, sono i movimenti degli esseri umani stessi a delimitare il contesto. Il contesto è quello della circolazione delle imbarcazioni (Malinowski). Ci stiamo avvicinando al punto di vista del nativo progressivamente nel corso del Novecento. Quando faccio questa mossa, quella del contesto, sono portato a una rappresentazione olistica; si pensi ancora da “la religione primitiva nel mondo”, da “saggio sul dono” a “la cultura della popolazione x”, idealmente come titoli dei volumi, quindi non si attraversa più tutta la variabilità che riesco a riscontrare su un tema ma mi fermo su un’area e descrivo tutti gli aspetti socioculturali rivelanti dentro quell’area delimitata. C’è il tentativo di restituire al lettore tutte le dimensioni della vita sociale in un certo contesto, mentre prima si sceglieva una dimensione e la si studiava attraverso la variabilità universale. Nel momento in cui faccio questo assume senso, diventa tangibile il problema del relativismo. Io mi colloco dentro quella rappresentazione olistica, mi proietto a essere come l’altro e cerco di assumere il suo punto di vista, cerco di capire che senso possano avere alcune pratiche dal suo punto di vista. E questo succede soprattutto negli Stati Uniti, si insiste molto sul determinismo culturale. Si fa un salto, determinismo culturale in questo contesto, in quel momento, nella prima metà del 900 acquisisce una valenza fondamentale soprattutto per gli antropologi statunitensi e oggi ha quasi una connotazione negativa, perché oggi viene visto come un modo per costruire stereotipi. Quindi tutti sembrano robot con un programma comune condiviso che è quello del determinismo culturale, questo può essere un eccesso, una banalizzazione, è un rischio che esiste. Ma nel momento in cui Boas e i suoi discepoli stanno lavorando al