








Study with the several resources on Docsity
Earn points by helping other students or get them with a premium plan
Prepare for your exams
Study with the several resources on Docsity
Earn points to download
Earn points by helping other students or get them with a premium plan
Community
Ask the community for help and clear up your study doubts
Discover the best universities in your country according to Docsity users
Free resources
Download our free guides on studying techniques, anxiety management strategies, and thesis advice from Docsity tutors
Il mito di Tieste e Pentoteia, una storia di vendetta e incesto tra due fratelli. Il mito inizia con Tieste, che si rifugia a Sicione dopo aver mangiato i figli di Atreo in un banchetto ingannoso. Per vendicarsi, Tieste decide di avere un figlio con sua figlia Pelopia, generando Egisto. Quando Egisto cresce, Atreo lo invia a cercare Tieste per eliminarlo, ma Egisto riconosce la spada di suo padre e lo salva. Infine, Egisto uccide Atreo e prende il trono di Argo. Il mito illustra il ruolo del destino e la vendetta tra famiglie.
Typology: Summaries
1 / 14
This page cannot be seen from the preview
Don't miss anything!
La storia della letteratura latina ha inizio intorno al 240 a.C., con la prima rappresentazione di una fabula per opera di Livio Andronico ( l’Odissea ), infatti, la letteratura latina nasce come traduzione di quella greca. Per i romani la traduzione era segno di trasformazione di un testo e significava passare ad un altro tipo di letteratura. LIVIO Nato a Taranto, fatto prigioniero durante la guerra contro Taranto. Inizia il suo percorso da “ GRAMMATICUS” (insegnava ai bambini). Scrisse soprattutto fabule cothurnate (tragedia latina con ambientazione ed argomentazione greca). Inoltre scrisse le palliate (commedia latina con argomentazione e ambientazione greca). Nel 207 a.C. venne istituita: “COLLEGIUM SCRIBARUM HISTRIONUMQUE” cioè collegio degli scrittori e degli attori che aveva anche funzioni religiose. Il fatto che scrisse probabilmente più tragedie che commedie potrebbe essere dovuto alla mancanza di familiarità con il latino colloquiale. Andronico, infatti, ebbe a che fare con la difficoltà dovuta alla creazione di uno stile letterario in una lingua non sua e che non aveva precedenti letterario in una lingua non sua, una lingua piuttosto rigida e pesante rispetto al greco. NEVIO Egli partecipò alla prima guerra punica. Fu il più importante poeta drammatico latino a Roma prima di Plauto. Scrisse il “Bellum Poenicum” è un poema epico e tratta della storia della prima guerra Punica. Nevio scrisse le “Fabule cothurnate”. A Nevio si attribuisce l’invenzione della “Fabula praetexta” (tragedia di argomento romano). Scrive anche “commedie palliate” (commedia con argomento greco, deriva da “Pallium” che è un mantello in uso presso i greci). Inoltre scrive “La commedia togata” è un tipo di rappresentazione teatrale latina, essa nasce come rappresentazione teatrale comica di argomento e ambientazione romana a differenza della fabula palliata, che invece proponeva ambientazioni greche e personaggi dai nomi greci. FABULA O COMMEDIA TOGATA e PALLIATA La “ fabula togata ” È un tipo di rappresentazione teatrale latina. Essa nasce come rappresentazione teatrale comica di argomento e ambientazione romana a differenza della “ fabula palliata ”, che invece proponeva ambientazioni greche e personaggi dai nomi greci. Nella “ togata ” l’abbigliamento tipico indossato dagli attori, tutti di sesso maschile, era la toga , abito tipico romano, mentre nelle “ palliate ” prendeva il nome da “ palio ” una sorta di mantello con cappuccio utilizzato in Grecia. PLAUTO Egli fu esponente del genere teatrale della “palliata”. Grazie a Varrone di Plauto abbiamo 21 opere autentiche. Plauto adattò commedie greche per il teatro romano. Spesso arrivò a fonderne due greche in una sola, mescolando le trame e giungendo delle volte a situazioni confuse. Altre volte, la trama è semplice. Gli intrecci delle opere hanno sempre dei modelli greci e trattano di donne che vengono vendute, servi, padri ecc... ma in questo caso Plauto divertiva il pubblico combinando la realtà ad esempio: il figlio insieme al servo prendeva in giro il padre. Nelle commedie Plautine le parti più divertenti venivano cantate. Lo scopo di Plato è realizzare un dialogo diretto con la società del suo tempo. COMMEDIA NUOVA GRECA La commedia nuova mette in scena vicende realistiche. I personaggi sono caratterizzati da un’autonomia etica e affettiva; vengono a mancare decisamente le invenzioni fantastiche. Ormai il pubblico è più interessato alle tematiche private e vuole vedere sé stesso rappresentato in ambito domestico. In quest’epoca il teatro non è più di massa ma diventa uno svago per pochi, visto che è stato abolito il contributo dato dal governo per permettere a tutti di andare a teatro. Il protagonista non è più l’eroe
comico dalle imprese straordinarie, ma una persona comune, nella sua sfera privata, con attimi intimi e motivazioni etiche. CARATTERE GENERALE DELLA TRAGEDIA ROMANA La tragedia romana è di carattere quasi esclusivamente derivato. Sembra che l’interesse non fosse rivolto alle qualità drammatiche essenziali, ma, agli effetti scenici esteriori. ENNIO (accennato) Ennio nasce nel 239 a.C. e sembra conoscere latino, greco e osco, ovvero le tre lingue del dramma antico. Dopo aver terminato il servizio militare si dedicò a una molteplice attività letteraria, dividendo tra insegnare e quella di drammaturgo; gli antichi però lo ricordavano come poeta epico. Ebbe successo come autore di tragedie, nel comporre tragedie si rifà ai modelli greci di Euripide, Eschilo e Sofocle. Nella traduzione di questi apporta sempre quell’elemento del patetico e dell’intensificazione per far sì che il pubblico possa meglio riconoscersi ed identificarsi. Ennio infine nelle scritture delle tragedie è molto attento alle critiche e per questo non usa uno stile molto innovativo. Le generazioni successive onorarono Ennio come poeta epico che come drammaturgo. CECIOLIO STAZIO Cecilio Stazio è stato un commediografo romano. Primo autore della letteratura latina di origine gallica (romano). Si specializzò nella composizione di “palliate” , ovvero commedie di ambientazione greca. Si dedicò esclusivamente alla composizione di “palliate”. LA FABULA ATELLANA L'atellana fu un genere di commedia dai toni farseschi (Una “farsa” è un genere di opera teatrale la cui struttura e trama sono basate su situazioni e personaggi stravaganti. I temi e i personaggi possono essere di fantasia, però devono risultare credibili e verosimili. La farsa è prevalentemente comica.) Caratteristica essenziale dell’ atellana era la presenza di personaggi fissi tradizionale. Dal momento che questi drammi venivano indicati come “atellaniolae” ("piccoli Atellani") si è pensato che fossero piuttosto brevi e che venissero messi in scena come “comiche finali” L’ORGANIZZAZIONE DEL TEATRO ROMANO L’impresario e manager di attori fungeva da intermediario tra il drammaturgo, il pubblico e il magistrato. Gli attori erano chiamati “histriones” ed erano raggruppati in troupe dette “grex”. La maggior parte delle commedie latine prevedeva un accompagnamento musicale; il musicista (il “tibicen”) aveva due flauti legati alla bocca da una benda che circondava il capo per suonare con uno la melodia e con l’altro l’accompagnamento. Il “praeco” (il banditore) invitava il pubblico al silenzio, il “dissignatore” accompagnava gli spettatori al loro posto; i “conquistores” metteva l’ordine. POSTI A SEDERE Il teatro consisteva in due parti principali: la “scena” per gli attori, la “cavea” per gli spettatori. GLI SPETTATORI Tutti i cittadini di tutte le cassi sociali potevano assistere alle rappresentazioni offerte dai magistrati. All’inizio non esistevano ancora i biglietti che indicassero i posti a sedere, per cui il primo arrivato prendeva il posto migliore. IL PALCOSCENICO E I CAMERINI Era costituito da una “scena o proscaenium” di legno alto non più di un metro e mezzo; tra esso e la prima fila di posti vi era uno spazio chiamato “orchestra”, collegato al palcoscenico con una scaletta. Alle spalle della scena vi erano i camerini, il cui muro anteriore formava il fondale fisso.
In questo elogio si mette in risalto l’importanza della comunicazione e, come esempio, troviamo il testo di Terenzio, il punitore di se stesso , nel quale il protagonista (Cremete) tenta di dialogare con il suo vicino di casa (Menedemo). Il discorso si organizza su due livelli: uno di comunicazione (quello dei contenuti) ed uno di metacomunicazione (quello di relazione). Quest’ultimo livello è trasmesso soprattutto dal linguaggio (ad es. dal tono, dal ritmo, dalla velocità della voce, dai gesti, dalla mimica facciale etc.) questo livello viene utilizzato all’inizio della comunicazione tra Cremete e Menedemo. Il passaggio al dialogo richiede che venga superato il rischio della disconferma cioè che l’ascoltatore neghi ciò che dice l’altra persona, nel momento in cui il destinatario risponde, anche se per negare, avrà già accettato la relazione linguistica (conversazione). Solo a quel punto, una volta istaurato il dialogo, si passa ad ottenere il consenso sul contenuto della discussione stessa. I due livelli, in genere, non hanno un ordine temporale ma sono presenti contemporaneamente. A livello linguistico Cremete offre un livello di dialogo fra loro ( l’occupatio : L’oratore risponde a un’obiezione, anche prima che la l’oppositore ha la possibilità di obbiettare) e di contatto. In un primo momento il consenso di Menedemo scatta a livello di relazione (tono della voce, gesti etc.) mentre a livello dei contenuti arriverà dopo quando Menedemo acconsentirà alle richieste di Cremete anche se con una forma in cui si avverte un residuo di resistenza: “non lo dirò, ma ti verrà detto”. Cremete presenta schiettamente le sue obbiezioni e le sue richieste, improntando un tono di voce amichevole ma il rischio che corre Cremete è quello di essere indiscreto cioè un eccesso di comunicazione (di parlare di cose che non lo riguardano) infatti Menedemo lo rimprovera per questo, ma Cremete interviene con un concetto filosofico, e cioè che lui è uomo e dunque si interessa a tutto ciò che riguarda l’uomo. Ma anche Menedemo corre un rischio, quello di rifiutare una comunicazione che lo riguarda. Quindi all’ eccesso di comunicazione (di Cremete) si aggiunge il difetto di comunicazione (di Menedemo) che avrà luogo a livello di relazione col tacere e poi a livello di contenuto col negare, ma Menedemo accetta la conversazione e non corre il rischio del difetto di comunicazione. C. Levi-Strauss (antropologo) ha determinato i rapporti fra indiscrezione, malinteso e oblio , affermando che: l’indiscrezione, come eccesso di comunicazione , il malinteso come difetto di comunicazione. Si tratta di due poli comunicativi fra cui abbiamo visto oscillare tra Cremete e Menedemo: Cremete oscillava verso l’indiscrezione (eccesso di comunicazione), Menedemo oscillava verso il malinteso (difetto di comunicazione). Ora analizziamoli da più vicino, partiamo dall’indiscrezione: a livello di contenuto ci cade chi si occupa di cosa che lo riguarda (il rischio che corre Cremete a differenza di Lara che per non aver tenuto a freno la lingua, provoca l’ira di Giove e viene punita da lui col mutismo ). Ad un livello di relazione , l’eccesso di comunicazione ci cade chi avvia la comunicazione a sproposito in un momento in cui non avrebbe dovuto farlo (ad es. la storia di Eco: aveva trattenuto Giunone (moglie di Giove) con lunghi discorsi per dar tempo alle ninfe che amoreggiavano con Giove (dio supremo) di fuggire prima che la dea le sorprendesse, ciò che la dea le toglie è quindi la capacità di prendere l’iniziativa del discorso, l’essere soggetto attivo del discorso e quindi può solo rispondere alle parole dell’interlocutore). Mentre per quanto riguarda il difetto di comunicazione possiamo dire : a livello di contenuto quando la comunicazione viene recepita ma ritenuta non pertinente) e a livello di relazione (in cui ad es. l’ascoltatore non si lascia coinvolgere nella comunicazione). Il difetto di comunicazione spesso sfocia in un riso sarcastico con cui viene rifiutata la comunicazione, mentre, il difetto di comunicazione di Menedemo sfocia in un pianto. Nella cultura romana se si dovesse scegliere tra il parlare poco o il parlare molto , non si avrebbero dubbi. Ciò viene rappresentato anche da Ovidio il pericolo da combattere è il parlare troppo, dire cose che non bisogna dire o prendere a sproposito l’iniziativa della conversazione. È importante avere misura e discrezione nel parlare, ma anche importante evitare che l’altro non ascolti, quindi, parlare troppo e ascoltare poco è negativo, ma, parlare poco e ascoltare tanto non sembra essere pericoloso per la continuità della conversazione e, inoltre, avremo un atteggiamento linguistico poco aggressivo. La humanitas Terenziano è anche il coraggio dell’indiscrezione, in questo modo Cremete si fa portavoce di un modello culturale in cui si parla anche quando il codice tradizionale imporrebbe il silenzio.
Seneca scrisse un gruppo di 12 trattati che si occupavano di vari argomenti. In età imperiale le tragedie diventano lo strumento privilegiato per esprimere il proprio disagio rispetto alle serie tiranniche. Seneca scrive le tragedie per esprimere le sue idee politiche ed educative, inoltre, non affronta le saghe mitiche. Tutte le storie mitiche di Seneca sono storie di potere. Il suo scopo era far riflettere sui conflitti che si aprono quando le passioni degli uomini si scontrano. Nelle sue tragedie non ci sono personaggi positivi e se ci sono non hanno un lieto fine, quindi possiamo dire che, le sue tragedie non sono tragedie della giustizia ma della vendetta. Dal punto di vista dello stile è una vera rivoluzione nella prosa latina. Lui scrive periodi brevi con frasi ricche di contenuto. Lo scrittore mira alla verità e a colpire le coscienze con parole che siano lo specchio del pensiero, per provocare riflessione. IL TEATRO DI SENECA OVVERO LA SCENA DI ADE: RETORICA E TEATRO Tra i filosofi classici sia affermò l’opinione che negava dignità drammaturgica alle fabule di Seneca e misero in rilievo i vari difetti del teatro Senecano: patetico, effetti stilistici ricercati, staticità dell’azione, cori giudicati “cantuccio lirico” dell’autore, cioè privi di rapporto con la vicenda mitica. Questo non è teatro, i critici pensano che quei drammi erano adatti alle sale di recitazione e non alla scena. Poco dopo una nuova visione del teatro di Seneca è stata discussa all’VII Congresso Internazionale di Studi sul Dramma Antico indetto a Siracusa nel 1981e che ebbe per tema “Seneca e il teatro”. Questo convegno ebbe o scopo di analizzare le tragedie di Seneca, avviando una riflessione che ancora oggi è in corso. Si deve tener conto che il ricorso al macabro, al grottesco, e tutto ciò che viene trattato sono tratti che caratterizzavano la tragedia latina arcaica; esso scrive in una tradizione letteraria che privilegia la retorica (intesa come l'arte del dire, del parlare) in tutti i suoi aspetti poiché concepisce l’opera teatrale come “spettacolo della parola”. TRADIZIONE MANOSCRITTA, PROBLEMI AUTENTICITA’ E CRONOLOGIA Le tragedie di Seneca sono gli unici testi che ci rimangono del teatro tragico latino, in cui troviamo grande interesse sul piano storico-culturale. Le fabule di Seneca ci sono pervenuti attraverso due rami della tradizione manoscritta: il primo è rappresentato dal codice “Etruscus” della fine dell’XI secolo e contiene tutte le tragedie ad eccezione dell’Octavia; il secondo, denominato dalla lettera A, è costituito dal consenso di tre codici: P e C (inizio XIII secolo) e S (seconda metà del XIII secolo) che contiene anche l’Octavia. Il primo poeta che menziona Seneca come autore di teatro è Sidonio Apollinare e successivamente avviene la riscoperta della diffusione dei testi di Seneca. Le tragedie che compaiono In E sono tutti testi di argomento greco e dunque possono essere classificate come “fabulae cothurnate”. Mentre in A troviamo una “fabulae praetexta”. Per quest’ultima è da escludere la paternità senecana: si tratta di una tragedia composta quasi sicuramente dopo la morte di Nerone. Non si può sapere con certezza il periodo in cui sono state composte queste tragedie a causa della mancanza di testimonianze e sterne. Potremmo ipotizzare che siano state scritte negli anni dell’esilio, nel periodo della vita a corte, etc. DESTINAZIONE E DESTINATARI Per un periodo le tragedie senecane furono considerate un esempio di scrittura scenica, pensiero che venne stroncato da Schlegel che le considerava inferiori a quelle greche. Il problema della destinazione delle tragedie di Seneca era: se fossero state scritte per metterle in scena o per le sale di recitazione. Qualunque fosse la destinazione, esse sono state scritte seguendo le regole e i modelli compositivi del genere tragico. Seneca decide di scrivere le tragedie per mettere in evidenza la natura tirannica del potere e le passioni che dominano il cuore dell’uomo. ADE E TERRA I protagonisti dei drammi senecani sono impegnati nella progettazione e nella realizzazione di un piano per ottenere una punizione a coloro che li hanno offesi ma non si limitano solo alla vendetta, ma al delitto perfetto facendo precipitare tutto nel caos. Il protagonista del dramma costruisce la propria identità eroica
Tieste e lo abbandonò sulle montagne. Qui fu rinvenuto da alcuni pastori che si presero cura di lui e lo nutrirono. Atreo, una volta saputa la storia da Pelopia, decise di recuperare il bambino (chiamato Egisto) e allevarlo, poiché era convinto che egli fosse in realtà figlio suo. Quando Egisto divenne adulto, Atreo lo incaricò di andare a cercare Tieste, poiché aveva deciso di eliminarlo. Egisto eseguì l'ordine, rintracciò Tieste e lo riportò ad Argo, dove ricevette da Atreo l'ordine di ucciderlo. Quando già Egisto si apprestava a compiere l'atto, però, Tieste riconobbe quella che anni prima era stata la sua spada. Chiese a Egisto come se la fosse procurata e questi rispose che era una spada di sua madre. Allora Tieste supplicò di far convocare quella donna, poiché aveva capito essere sua figlia Pelopia, e rivelò ai presenti il segreto della nascita di Egisto. In seguito a queste notizie, Pelopia si tolse la vita, avendo scoperto di essere una madre incestuosa, mentre Egisto decise di uccidere Atreo, e così fece, mettendo al suo posto Tieste come sovrano di Argo. Si avverò così la profezia dell'oracolo, che aveva visto in Egisto, figlio incestuoso, colui che avrebbe vendicato Tieste. 1 ATTO: OBRA DI TANTALO Il primo atto vede comparire dagli inferi, davanti il palazzo di Micene il fantasma di Tantalo. Il dramma inizia con un monologo dell’ombra di Tantalo, evocato dalla furia e trascinato contro la sua volontà per un giorno sulla terra, perché assista al banchetto imbandito da Atreo per il fratello Tieste. In realtà Tantalo non assisterà al banchetto, ma sarà la coppa che Tieste accosterà alle labbra per bene il vino mescolato al sangue dei figli. In questi primi versi Tantalo chiede, chi lo tira fuori dagli inferi e ricorda il banchetto del figlio. Egli chiede se si è trovata una pena peggiore della sete e della fame. Comincia a parlare degli alti dannati come ad esempio: Sisifo (che deve spingere un masso su per un pendio e una volta arrivati in cima ricade in basso), etc. Viene menzionato Minosse (trasportava i dannati agli inferi), poi menziona il custode (cane a tre teste posto accanto al fiume dei dannati). FURIA Dopo la comparsa dell’ombra, assistiamo al dialogo tra l’ombra e la furia, una sorta di doppio Tantalo. Questo dialogo si svolge sotto forma di competizione. In realtà l’ombra di tantalo e la furia sono unicamente tantalo, diviso fra furor (rabbia) e apparenza di mens bona (saggezza). Le furie sono simili alle erinni della mitologia greca sono le personificazioni femminili della vendetta ed erano ricordai per i delitti familiari. Si ripete il banchetto che Tantalo fece cucinando il figlio. Adesso, sono i nipoti, figli di Tieste ad essere cucinati da Atreo. Il discorso con la furia si manifesta a tantalo perché ecciti alla vendetta i membri della sua famiglia. Nel 1 atto si introducono i temi fondamentali della tragedia: oltre al tema dell’avidità e della sazietà del cibo come metafora della fame di potere, emergono anche: la trasgressione dei normali rapporti di parentela e la distruzione delle leggi divine e umane, il tema dell’odio tra fratelli e il motivo del regnum (fame di governo dalla quale …). Alla fine del primo atto vediamo un Tantalo ormai stanco e sottomesso alla Furia anche se Tantalo sembra inizialmente ribellarsi alla furia, poiché vorrebbe che le pene siano impartite solo a lui anziché alla sua discendenza. La Furia dinanzi a tutto ciò non sembra intimidirsi e rinfaccia a Tantalo tutti i mali commessi che ricadranno sui figli (come ad esempio la fame di potere). La figura di Tantalo può essere paragonabile a quella del nipote Atreo. Atreo per i tradimenti ricevuti dal fratello e per avergli rubato la moglie, si sente così solo che è preso dal dolore, che sfocia nel furore, il quale gli fa commettere un brutale gesto.
Dopo la morte di Atreo, i suoi due figli Agamennone e Menelao furono esiliati. Qui i due figli di Atreo si sposarono. Agamennone sposò Clitennestra. A quel punto Agamennone, poté marciare su Argo e riprendersi il trono, dove regnò insieme alla moglie Clitennestra, cacciando Tieste ed Egisto. Ebbe tre figlie, Elettra, Ifigenia e Crisotemi, e un figlio, Oreste. Tornato a Micene dopo la spedizione vittoriosa per Troia, il sovrano Agamennone trova tutto cambiato. Infatti egli si aspettava un'accoglienza trionfale e calorosa, invece nel buio della notte il popolo della città lo saluta in silenzio, come se avesse paura di un evento funesto. Agamennone , esitando perché teme qualcosa, entra con la regina negli appartamenti reali trascinandosi con sé la schiava Cassandra. Clitennestra non ha mai perdonato al marito il tradimento con La schiava; infatti ora sta progettando assieme all'amante Egisto un accordo segreto per punirlo. Durante quella stessa notte, Clitennestra invita il marito a cenare con lei e durante il banchetto gli fa dono di una veste. Questa, una volta indossata, impedisce al marito ogni libero movimento del capo e delle mani, permettendo alla moglie di infierire su di lui inerme prima con un colpo al fianco, e poi con una bipenne, con la quale gli viene staccata la testa. Dopo l'assassinio (che viene raccontato da Cassandra) Elettra (figlia di Agamennone e Clitennestra ) inorridita fugge via dal palazzo portando con sé il piccolo Oreste (fratello), che affiderà a Strofio , mettendolo così al sicuro per il successivo compito di vendetta che gli spetterà. Ritornata al palazzo affronta l'ira della madre assassina, che le chiede di rivelare dove si trova il fratello. Elettra rifiuta di rivelare dove si trova il fratello, preferendo la morte. Clitemnestra ordina allora la sua reclusione (pena temporale che le vieta la libertà). Dieci anni dopo l'omicidio del padre, Oreste, ormai divenuto adulto, ricevette l'ordine dal dio Apollo di tornare ad Argo insieme a Pilade, per vendicare la morte di Agamennone uccidendo i suoi assassini. Travestito, Oreste riuscì a introdursi con l'inganno nel palazzo dove vivevano Egisto e Clitemnestra e li uccise entrambi. Invano la donna si scoprì il seno, ricordandogli di essere colei che gli aveva dato la vita TRAMA DEL PROLOGO Il prologo inizia con l‘ombra di Tieste che dall’ade (regno delle anime greche e latine), si ritrova sulla terra, lui odia il luogo dal quale arriva ma anche quello in cui si trova. La sua anima prova paura e questa paura lo paralizza ma al tempo stesso lo aiuta ad andare avanti (infatti dice “ scuote le mie membri ”). L’ombra è uscita dall’ade e arriva sulla terra ma capisce che sarebbe meglio tornare indietro (verso 13). Successivamente l’ombra inizia a nominare grandi peccatori come ad es. Tantalo (vv. 16). Questo elenco serve per introdurre un’altra scena (questo riferimento a Tantalo lo fa concentrare su sé stesso). Allora Tieste si analizza e dice che anche lui ha commesso delle azioni orrende, ha mangiato i figli e come se non bastasse è stato costretto ad avere un rapporto con l’unica figlia femmina senza restarne impaurito e per questo lui si dà un enorme colpa perché lui ha mescolato il ruolo del padre con quello del nonno, il ruolo dei nipoti con quello dei figli, il marito con il padre. Tieste, inoltre, prevede l’orrore che stava per capitare infatti dice: “Agamennone è tornato solo per offrire la gola a sua moglie! Fra un momento la reggia nuoterà nel sangue […]”. Nel prologo leggeremo:” si prepara un banchetto: ecco, viene colui che (Agamennone) è stato lo scopo e ragione della tua nascita”; infatti qui Tieste si rivolge direttamente a Egisto e gli dice che lui è nato per far sì che Tieste si possa vendicare di Atreo. Ma Egisto si mostra impaurito, infatti, possiamo leggere:” perché la mano destra ondeggia e trema non essendo il progetto sicuro, perché ti consulti con te stesso, ti tormenti, ti poni la domanda se questo atto ti addica?”. Il prologo da noi studiato si conclude con Tieste, che riferendosi a Egisto, gli dice:” Ma perché all’improvviso la notte estiva non vuol cedere al giorno e con lungo indugio sembra voler protrarre la sua durata, come fosse d’inverno? Che cosa trattiene in cielo le stelle già prossime a tramontare? Son io forse a fare da ostacolo a Febo? E allora restituisci al mondo la luce del giorno” come per dire che una volta compiuto l’omicidio Tieste potrà andare e il sole ritornerà.
Personaggio della mitologia greca, figlio di Eagro, e di una delle Muse, cantore che controllava gli animali e tutta la natura. I due miti salienti legati alla sua figura sono quello della katàbasis (discesa agli inferi) che egli compie per riportare in vita la sposa morta, Euridice, e quello della morte avvenuta per sbranamento da parte delle mènadi. Attorno ad Orfeo troviamo l’amore, la morte e il fascino. Egli non era un eroe della guerra ma un eroe culturale. Della sua vita l’episodio più celebre sarà una vicenda amorosa che tratta della moglie Euridice. (Aristeo, eroe culturale, famoso per l’allevamento api, egli si innamora di Euridice ma lei scappa calpesta un serpente e muore). Orfeo per riportarla in vita scende negli inferi e con il suo canto gli viene concesso di portarla via ma gli viene proibito di voltarsi verso la moglie fino a quando non sarebbero arrivati fuori, ma, ad un passo dalla soglia la guardò ed Euridice sparì per sempre. Nella versione di Ovidio dopo la sua perdita Orfeo non volle più saperne di amori e fu lui che introdusse l’omosessualità e per questo che fu ucciso. LE METAMORFOSI DI OVIDIO L’opera è composta da 15 libri che comprendevano 250 storie di personaggi mitici e storici che hanno in comune il tema metamorfosi. Ovidio descrive la metamorfosi nel loro divenire. I primi 77 versi del 10 libro racconta la storia di Orfeo, mentre nell’11 libro racconta il dopo. Orfeo in un tratto del 10 libro racconta egli stesso la situazione quindi diventa narratore onnisciente (Il narratore onnisciente, conosce alla perfezione situazioni del presente, passato e futuro, conosce la psicologia dei personaggi, ciò che pensano, come agiscono, perché agiscono). La scena si apre con il dio Imeneo. Orfeo chiama Imeneo perché intende celebrare le nozze con Euridice. Imeneo lo segue ma le fiaccole (Imeneo era rappresentato come un adolescente bellissimo, con in mano la fiaccola nuziale. Ad Argo era oggetto di culto. Imeneo è invocato in segno di buon augurio nei matrimoni e i suoi attributi consueti sono la fiaccola, una corona di fiori e talvolta un flauto) si spensero e gli cercò di far capire a Orfeo che sarebbe stato un evento luttuoso da qui si passa direttamente alla parte in cui Euridice venne morsa da un serpente. Subito dopo si passa alla narrazione del momento in cui Orfeo scende nell’oltretomba e qui trovò tante anime in attesa di una degna sepoltura. Orfeo inizia a cantare la ragione per il quale si trova lì e cioè, non per visitare l’oltretomba ma per trovare sua moglie. Orfeo dice che non c’è vita senza la sua amata, questo canto fece commuovere le furie e chiamarono Euridice che si trova tra le ombre che sono arrivate da poco, quando arrivò da lui, si presero per mano e le furie gli diedero l’ordine di non potersi girare per guardala prima che non fossero usciti dagli inferi, ma lui per la paura di non vederla più si girò e la perse per sempre. Viene sottolineato che Euridice non può essere arrabbiata poiché il gesto compiuto dal marito è stato un ennesimo gesto d’amore. Dopo una settimana di disperazione nell’oltretomba senza cibo si ritirò su un monte. E nel frattempo lui non ebbe nessun contato con altre donne e fu proprio lui che iniziò i popoli di tracia a rivolgere l’amore sui teneri maschi. XI LIBRO Orfeo si ritrovò nella selva attaccato dalle donne che aveva rifiutato e fu ucciso da esse. Tutti piansero la sua morte ma lui felice si ritrovò negli inferi, con la sua amata Euridice.
Virgilio impiegò molto tempo nella stesura di questo poema. I testi narrano della terra, ma il progetto originale non era quello. Questo poema si conclude con l’episodio di Orfeo ed Euridice con un collegamento ad Aristeo colui che si occupava dell’allevamento delle api, che ad un certo punto vide morire tutte le sue api. Ovidio affronta tanti miti già trattati da altri scrittori, lui li riprende per ricucire tutti i legamenti delle versioni precedenti. Virgilio invece segue una narrazione desultore (il tutto non è connesso). Il IV libro delle georgiche diventa un Epillio (L'epillio è un breve componimento a carattere epico (Un poema epico è un componimento letterario che narra le gesta, storiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo)) quando Euridice scappa da Aristeo che voleva violentarla, lei muore e Orfeo che voleva compiere un cesto eroico per salvarla. Ci sono due tipo di narrazione: momenti in cui lo scrittore si immedesima nel suo personaggio e momenti in cui lo scrittore si trova a commiserare il destino dei personaggi e proprio per questo si tratta di narrazione desultore. IV LIBRO Le georgiche sono un’opera che riguarda la vita in campagna. È divisa in 4 libri. La struttura dell’opera procede per coppie di libri: i primi due libri riguardano la natura inanimata, il terzo e il quarto riguardano gli animali. Il quarto libro è diviso in due parti. La prima parte è dedicata all’allevamento delle api, la seconda parte è legata alla favola di Aristeo intrecciata alla storia di amore e di morte di Orfeo ed Euridice. Virgilio incastra due vicende mitologiche, attraverso un espediente retorico (Ekfrasis): quella di Aristeo che perde le api per una pestilenza e quella di Orfeo che aveva perso l’amata Euridice. Aristeo è infatti informato da proteo di essere la causa involontaria della morte della giovane avvelenata da un morso di un serpente mentre lui la inseguiva. Aristeo era un apicoltore ma il suo sciame di api si era estinto all'improvviso. Recatosi presso il vecchio del mare Proteo, riesce a scoprire la causa: in passato aveva importunato la ninfa Euridice e questa, per sfuggire alle sue attenzioni, era stata morsa da un serpente. Il cantore Orfeo, promesso sposo della ninfa, disperato per l’accaduto, era sceso negli Inferi dove, grazie alla dolcezza della sua musica, era riuscito a convincere i sovrani infernali a restituirgli l’amata. Solo una era la condizione richiesta: Orfeo, mentre tornava sui suoi passi, non si sarebbe dovuto voltare fino a quando non avesse raggiunto il regno dei vivi. Ovviamente Orfeo rompe questo patto perdendo per sempre la sua Euridice. Dopo questo lungo flashback, la storia torna su Aristeo, punito per la morte di Euridice con la perdita delle sue api: per riaverle indietro avrebbe dovuto sacrificare un bue e farlo marcire. Dalla sua carne putrefatta sarebbe ricomparso un nuovo sciame d’api. All'interno di questa storia, la vicenda di Orfeo si inserisce in diretta contrapposizione con Aristeo. Mentre l'apicoltore riconosce i propri errori e rispetta il volere degli dei compiendo i dovuti sacrifici, Orfeo vìola i confini che gli sono stati assegnati: egli quindi miseramente fallisce per la sua mancanza di rispetto per gli ordini degli dei. Mentre Aristeo viene premiato e riottiene indietro quello che aveva perso, il cantore precipita in un abisso di solitudine e muore di morte violenta. (Orfeo si ritrova solo e l’unica consolazione è il canto. L’amore viene definito da segni negativi, pazzie, etc. nelle Georgiche l’amore che cantava Orfeo era improduttivo, serviva per sfogarsi momentaneamente, dopo ritornava l’angoscia.) Virgilio vuole sottolineare l'importanza dell'agricoltura e perciò del lavoro, esortando i concittadini a ritornare alla tradizione, agli antichi mores (abitudini)
Le Odi, in latino Carmina, sono una raccolta di oltre cento componimenti in differenti metri lirici pubblicati da Orazio in due momenti diversi della sua vita: i primi ottantotto carmi, suddivisi in tre libri, sono editi nel 23 a.C. e costituiscono un gruppo omogeneo così concepito dal poeta; gli altri quindici invece, raggruppati sempre da Orazio in un quarto libro, sono aggiunti alla raccolta ben dieci anni più tardi. Le Odi non vanno lette in base a un parametro cronologico, ma secondo il criterio della varietà formale e contenutistica: la differente lunghezza delle poesie, i numerosi destinatari dei carmi, l’alternanza di temi politici e privati inducono a pensare che il lettore dovesse assaporare questa complessità proprio leggendo uno dopo l’altro componimenti tanto diversi. Per altro, Orazio colloca in alcune posizioni privilegiate (come all’inizio e alla fine di ogni libro) componimenti che sviluppano lo stesso tema; così, il primo testo di ogni libro sviluppa questioni di stile e poetica, mentre l’ultimo contiene note autobiografiche, strettamente connesse però con la propria fama di grande poeta. I temi affrontati da Orazio nelle Odi sono molteplici: c’è spazio per la meditazione filosofica sulla saggezza e sul trascorrere del tempo, per gli affetti della vita privata (amore, amicizia…), per una poesia impegnata dal punto di vista civile, che oscilla tra la celebrazione - che non è però pura propaganda - degli ideali augustei e l’orgogliosa consapevolezza del valore della propria poesia. Nelle Odi, la cui struttura è progettata in maniera chiara e unitaria sia dal punto di vista delle relazioni tra componimenti sia all’interno del singolo carme, Orazio impiega uno stile raffinato, in cui fa uso di parole apparentemente semplici, che assumono però un significato non scontato grazie all’accostamento con altri termini. In entrambi le Odi da noi studiati Orfeo viene solo citato nulla di più ODI 24 LIBRO 1 Parla della morte di quintilio. Inizialmente si rivolge a Melpomene rimproverandola, poi, a metà si rivolge a Virgilio consolandolo. ODI 12 LIBRO 1