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Riassunto Pedagogia e diritti dei bambini. Uno sguardo storico, Summaries of Science education

Riassunto completo del libro, illustra i processi socio culturali che hanno caratterizzato le condizioni di crescita dei bambini. Il volume è diviso in due parti. (cap. 1-5; cap 6-10)

Typology: Summaries

2014/2015

Available from 04/24/2015

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Pedagogia e diritti dei bambini
Capitolo 1
La pedagogia dell’infanzia è quella scienza che si occupa di elaborare un sapere complesso sulle teorie, sui
modelli e sulle pratiche educative in rapporto al soggetto umano in quella età particolare della sua vita che lo
caratterizza come bambino. Il primo termine, pedagogia, indica il complesso teorico più ampio in cui questo
sapere specialistico si inserisce, è la dimensione teorica offerta dalla pedagogia generale come scienza che
riflette e indaga i fondamenti epistemologici dei saperi dell’educazione. La pedagogia generale è l’albero
della scienza che riflette sui temi portanti dell’educazione.
Nel tronco dell’albero vi sono molteplici rami, ciascuno specifico dell’ambito di riflessione. (Metafora di F.
Fabbroni)
Nella pedagogia dell’infanzia il soggetto che richiede di essere specificato e concretizzato è il bambino, il
soggetto coinvolte in questa età della vita.
La pedagogia dell’infanzia vuole costruire un sapere profondo su questo soggetto, affinché possa elaborare
idee educative e pratiche reazionali utili per il suo presente, la crescita ed il futuro. L’idea d’infanzia nasce in
un preciso contesto sociale e culturale, subisce poi mutamenti e modificazioni in rapporto al modificarsi
delle condizioni di vita, sociali, culturali della civiltà.
La nostra idea d’infanzia non è quella che circolava nelle epoche storiche precedenti a questa. L’interesse per
l’infanzia nasce molto tardi.
Dal 1500 al 1900 si realizza il percorso che caratterizza la nascita e la trasformazione della nostra idea
d’infanzia. Sorgono tre novità, la nascita di un sentimento dell’infanzia, che da il via a un inedito interesse
per il mondo del bambino. Dal sentimento all’interesse e infine alla scoperta: tra 800 e 900 il processo di
trasformazione della mentalità adulta nei confronti del bambino si compie intorno alla creazione e alla
diffusione di un’idea nuova, quella appunto d’infanzia intesa come noi la intendiamo oggi: un’età specifica
della vita umana. La scoperta dell’infanzia, di cui Philippe Ariès parla nel suo saggio più famoso, avviene
lentamente. La scoperta dell’infanzia è uno dei risultati di un processo di cambiamento storico che nell’arco
di quattro secoli ha modificato in maniera lenta ma radicale il sistema di vita nelle civiltà occidentali. Tra
otto e novecento ciò che avviene in questo periodo è la separazione dal mondo del bambino da quello adulto.
È possibile individuare un modello tradizionale d’infanzia che caratterizza la vita del bambino. Il bambino è
definito come il negativo dell’adulto. L’essenza di una idea d’infanzia comporta l’impossibilità di giungere a
una definizione del bambino. Se il bambino è infans, colui che non parla, allora di questo soggetto si coglie
non ciò che è, ma ciò che appare, e ciò che appare all’adulto è la differenza del bambino. Il bambino non è,
questa è la formula paradossale. Il bambino dev’essere ancora non in grado di parlare, dunque di pensare,
quindi di agire: è il negativo dell’uomo. La vita vera inizia solo con la fine dell’infanzia.
L’adultizzazione precoce dell’infanzia è conseguenza negativa dell’infanzia che spinge a mettere fine il
prima possibile a questo periodo. L’adultizzazione precoce si compie attraverso il rapido avviamento del
bambino ad attività di tipo economico: il lavoro. Bambini ed adulti vivono nello stesso mondo, l’infanzia non
ha alcun luogo protetto dove poter crescere, essi vivono la stessa realtà quotidiana degli adulti. Nel modello
dell’infanzia tradizionale, il filo rosso che tiene assieme questi fattori sono i contenuti di violenza che gli
adulti conducono nei confronti dei bambini. La violenza è denominatore comune degli atteggiamenti che il
mondo sa esprimere nei confronti dell’infanzia, la violenza che sta dentro all’incapacità di concepire l’essere
del bambino si esplicita in mille modi, nelle pratiche di allevamento, nei modelli educativi espressi dai
genitori, nei processi di precoce socializzazione attraverso il lavoro, il bambino perché è di troppo, perché è
d’impiccio.
Norbert Elias, sociologo tedesco, sostiene che più una civiltà progredisce nel suo processo storico di
civilizzazione, più osserviamo crescere al suo interno la distanza che separa il mondo dei bambini da quello
degli adulti. Come Philippe Ariès, Elias individua nel 16esimo secolo il momento storico in cui prende
l’avvio questo lento processo di separazione. Essa è dovuta alle caratteristiche, ai bisogni, alle esigenze ai
desideri propri del bambino. Ariès ed Elias giungono a offrire due tesi concordanti. Utilizzano linguaggi
differenti, la scoperta dell’infanzia evocata da Ariès è il momento dell’avvio del processo di separazione tra
mondi fino ad allora coincidenti di cui parla Elias. Ariès individua la molla che spinge in avanti questo
processo, è il riconoscimento del bambino in se per se che permette di prendere sempre più chiara coscienza
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Pedagogia e diritti dei bambini

Capitolo 1

La pedagogia dell’infanzia è quella scienza che si occupa di elaborare un sapere complesso sulle teorie, sui modelli e sulle pratiche educative in rapporto al soggetto umano in quella età particolare della sua vita che lo caratterizza come bambino. Il primo termine, pedagogia, indica il complesso teorico più ampio in cui questo sapere specialistico si inserisce, è la dimensione teorica offerta dalla pedagogia generale come scienza che riflette e indaga i fondamenti epistemologici dei saperi dell’educazione. La pedagogia generale è l’albero della scienza che riflette sui temi portanti dell’educazione. Nel tronco dell’albero vi sono molteplici rami, ciascuno specifico dell’ambito di riflessione. (Metafora di F. Fabbroni)

Nella pedagogia dell’infanzia il soggetto che richiede di essere specificato e concretizzato è il bambino, il soggetto coinvolte in questa età della vita.

La pedagogia dell’infanzia vuole costruire un sapere profondo su questo soggetto, affinché possa elaborare idee educative e pratiche reazionali utili per il suo presente, la crescita ed il futuro. L’idea d’infanzia nasce in un preciso contesto sociale e culturale, subisce poi mutamenti e modificazioni in rapporto al modificarsi delle condizioni di vita, sociali, culturali della civiltà. La nostra idea d’infanzia non è quella che circolava nelle epoche storiche precedenti a questa. L’interesse per l’infanzia nasce molto tardi. Dal 1500 al 1900 si realizza il percorso che caratterizza la nascita e la trasformazione della nostra idea d’infanzia. Sorgono tre novità, la nascita di un sentimento dell’infanzia, che da il via a un inedito interesse per il mondo del bambino. Dal sentimento all’interesse e infine alla scoperta: tra 800 e 900 il processo di trasformazione della mentalità adulta nei confronti del bambino si compie intorno alla creazione e alla diffusione di un’idea nuova, quella appunto d’infanzia intesa come noi la intendiamo oggi: un’età specifica della vita umana. La scoperta dell’infanzia, di cui Philippe Ariès parla nel suo saggio più famoso, avviene lentamente. La scoperta dell’infanzia è uno dei risultati di un processo di cambiamento storico che nell’arco di quattro secoli ha modificato in maniera lenta ma radicale il sistema di vita nelle civiltà occidentali. Tra otto e novecento ciò che avviene in questo periodo è la separazione dal mondo del bambino da quello adulto. È possibile individuare un modello tradizionale d’infanzia che caratterizza la vita del bambino. Il bambino è definito come il negativo dell’adulto. L’essenza di una idea d’infanzia comporta l’impossibilità di giungere a una definizione del bambino. Se il bambino è infans, colui che non parla, allora di questo soggetto si coglie non ciò che è, ma ciò che appare, e ciò che appare all’adulto è la differenza del bambino. Il bambino non è, questa è la formula paradossale. Il bambino dev’essere ancora non in grado di parlare, dunque di pensare, quindi di agire: è il negativo dell’uomo. La vita vera inizia solo con la fine dell’infanzia.

L’adultizzazione precoce dell’infanzia è conseguenza negativa dell’infanzia che spinge a mettere fine il prima possibile a questo periodo. L’adultizzazione precoce si compie attraverso il rapido avviamento del bambino ad attività di tipo economico: il lavoro. Bambini ed adulti vivono nello stesso mondo, l’infanzia non ha alcun luogo protetto dove poter crescere, essi vivono la stessa realtà quotidiana degli adulti. Nel modello dell’infanzia tradizionale, il filo rosso che tiene assieme questi fattori sono i contenuti di violenza che gli adulti conducono nei confronti dei bambini. La violenza è denominatore comune degli atteggiamenti che il mondo sa esprimere nei confronti dell’infanzia, la violenza che sta dentro all’incapacità di concepire l’essere del bambino si esplicita in mille modi, nelle pratiche di allevamento, nei modelli educativi espressi dai genitori, nei processi di precoce socializzazione attraverso il lavoro, il bambino perché è di troppo, perché è d’impiccio.

Norbert Elias, sociologo tedesco, sostiene che più una civiltà progredisce nel suo processo storico di civilizzazione, più osserviamo crescere al suo interno la distanza che separa il mondo dei bambini da quello degli adulti. Come Philippe Ariès, Elias individua nel 16esimo secolo il momento storico in cui prende l’avvio questo lento processo di separazione. Essa è dovuta alle caratteristiche, ai bisogni, alle esigenze ai desideri propri del bambino. Ariès ed Elias giungono a offrire due tesi concordanti. Utilizzano linguaggi differenti, la scoperta dell’infanzia evocata da Ariès è il momento dell’avvio del processo di separazione tra mondi fino ad allora coincidenti di cui parla Elias. Ariès individua la molla che spinge in avanti questo processo, è il riconoscimento del bambino in se per se che permette di prendere sempre più chiara coscienza

delle caratteristiche reali dell’infanzia, espresse sotto forma di bisogni da soddisfare. Per soddisfare questi bisogni è necessario che il bambino viva all’interno del suo mondo. I cambiamenti che hanno luogo durante l’800 determinano le condizioni per permettere il diffondersi del nuovo modello di infanzia. Ciò avviene in virtù di due principali fattori, da un lato, il cambiamento che interessa la famiglia, dall’altro la diffusione della scolarizzazione obbligatoria. La famiglia borghese e la scuola pubblica, rappresentano la stessa risposta su due piani differenti, il bambino è bisognoso di protezioni speciali. Nella famiglia borghese si compie una rivoluzione, il bambino nelle vesti di figlio viene investito di attenzioni mai riservato. Egli diventa sempre più il centro intorno al quale vengono riorganizzate le attività. L’educazione e la formazione dei figli assume un significato esistenziale. Durante la sua prima età della vita il figlio sarà curato come bene più prezioso. Sul pano sociale con l’esigenza dello Stato di provvedere all’alfabetizzazione, viene introdotto l’obbligo scolastico. L’infanzia ottocentesca viene privatizzata all’interno della famiglia e istituzionalizzata attraverso la scuola. “Privatizzazione”: le pratiche che rimandano all’idea di bambino da completare in base al modello astratto di adulto, essendo il soggetto più facilmente plasmabile. Nel 900 passa l’idea di infanzia come età riconosciuta nella sua specificità e importanza. Nel 900 l’infanzia è caratterizzata in positivo dai saperi e dalle competenze che il bambino possiede. L’infanzia è per eccellenza l‘età dell’educazione, che ha 2 scopi: corrispondere a qui bisogni e alimentare quei saperi e quelle competenze. Nella seconda metà del 900 s rafforza l’idea che il bambino sia titolar di diritti fondamentali. Egli è un soggetto particolare e la sua particolarità è data dall’insieme di caratteristiche che lo rendono dipendente dall’adulto. L’idea che conclude il processo storico si fonda sul riconoscimento pieno di diritti, che sono in se paradossali a causa della condizione di vita di un soggetto ritenuto incompiuto dal punto di vista della sua crescita. Questo significa parlare del bambino come un cittadino al pari dell’adulto. Un soggetto che per poter esercitare i suoi di diritti ha bisogno dell’intervento dell’adulto. La convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dalle Nazioni Unite nel 1989 esprime una serie di principi culturali allo scopo di impegnare energie educative nella realizzazione dei percorsi di esercizio attivo e diretto dei diritti:

  • La prima fondamentale espressione di novità riguarda il concetto di protezione del bambino.
  • La dignità umana del bambino è riconosciuta in virtù di un altro principio che troviamo nella dichiarazione sui diritti dei bambini di New York del 1959, ma non nella dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, è il principio di non discriminazione non esteso al bambino. Ciò permetter di includere l’infanzia all’interno del discorso sui diritti umani fondamentali.
  • Il diritto del bambino a vivere nel presente, considerando l’infanzia come tempo della vita in cui il bambino appare incompiuto solo dalla prospettiva dell’adulto, è il diritto del bambino del bambino ad essere considerato importante per quello che è e non per quello che potrà diventare.
  • Il principio del migliore interesse del bambino indica il criterio di scelta che deve orientare le decisioni prese in suo nome dall’adulto.
  • L’immagine di un bambino capace di esercizio attivo, autonomo e competente di propri diritti al pari dell’adulto, il bambino è capace di agire esercitando le proprie facoltà.
  • (^) Il bambino è un cittadino: ha un posto all’interno della società con pari diritti di cittadinanza e avendo la possibilità d esprimere le sue idee e di essere ascoltato.

Capitolo 2 Dal punto di vista storiografico, l’infanzia si colloca in un territorio scoperto soltanto in tempi recenti dagli storici. Nell’ambito della storia sciale l’infanzia è uno dei soggetti più significativi. Questo interesse poteva svilupparsi solo all’interno di un profondo cambiamento. La storia sociale è quell’ambito della ricerca storiografica interessato a ricostruire gli aspetti della vita quotidiana dei soggetti, i quali non hanno compiuto gesta, ma che con il proprio lavoro hanno sorretto il divenire della storia. La storia sociale interessa la dimensione della vita familiare, del lavoro e della quotidianità. La ricostruzione del passato e l’interpretazione possono prendere in considerazione prospettive differenti. La realtà dell’uomo, o un aspetto di essa è la storia evenemenziale, una storia scritta attraverso i fatti, gli accadimenti. Accanto alla storia che predilige questa prospettiva è possibile scriverne molte altre, che non si basano sul racconto di eventi. Sono storie scritte dal basso. Questa è la storia sociale ed è la storia fatta non di grandi cambiamenti ma di lunghe

popolare. L’infanzia appartenente alle classi lavoratrici è diversa da quella privilegiata. Negli ambienti agricoli le famiglie sono organizzate secondo la forma gerarchica, l’infanzia continua a vivere una rapida adultizzazione verso il lavoro. L’altra infanzia popolare è impressa da il processo di industrializzazione e urbanizzazione: la fabbrica attira le famiglie che lasciano la povertà delle campagne e trovano l miseria della città e del lavoro sfruttato l’infanzia vive adultizzandosi in solitudine e segregata nei moderni stabilimenti impiegata nel nuovo lavoro industriale. Vige il vecchio principio del lavoro. I tratti in comune di queste due realtà, sono la precarietà esistenziale, le carenze alimentari e sanitarie, malattie, mortalità e condizioni di abbandono. Nel sistema della fabbrica, il lavoro subisce una trasformazione definitiva assumendo la forma dello sfruttamento economico. Si lavora per produrre ma il prodotto non è connesso al bisogno per cui si lavora. I bambini nascono, crescono e muoiono dentro la fabbrica. Nei campi il lavoro è altrettanto faticose nei compiti che richiede ma permette una partecipazione attiva, libera nella vita familiare che nella città è persa. Anche all0interno del contesto familiare e borghese vi sono ombre contenute di violenza, psicologica e moralmente giustificata attraverso motivazioni educative. Il modello borghese riguarda comunque una minoranza. L’idea di infanzia è caratterizzata dalla centralità attribuita ai bisogni di cura e amore da un lato, dall’altro dalla necessità di provvedere alla difesa delle minacce e dei pericoli. La parola chiave è privatizzazione: rimanda alla dimensione privata dei rapporti familiare; anche alla necessità di un controllo più stretto presente, non solo sul piano affettivo ma anche più in generale nei termini di un investimento da salvaguardare per il futuro benessere familiare, quindi privatizzazione come difesa dal mondo esterno, ritiro dell’infanzia all’interno della privacy. Tuttavia i pericoli da cui l’infanzia borghese deve essere protetta sono anche interni: rigide pratiche educative, repressione degli istinti, il controllo dei gesti e dei comportamenti attraverso figure caricate di sorvegliare. L’infanzia borghese è allontanata dall’adultizzazione precoce. È un infanzia viziata avendo genitori con tempo e disponibilità economica, è un investimento che richiede pianificazione attenta del futuro. Vi sono una schiera di figure preposte alla sua sorveglianza: balie e nutrici, medici, tutori, precettori, servi e domestici. È un infanzia di classe. Possiamo individuare 3 modelli di infanzia appartenenti alle 3 classi che compongono la società ottocentesca: infanzia borghese, infanzia proletaria, infanzia contadina.

Capitolo 4 Secondo Lloyd DeMause la storia dell’infanzia assomiglia ad un incubo, a giudicare dalle condizioni di vita dei bambini e delle bambine. L’idea di DeMause è che sia possibile rintracciare un filo conduttore che lega assieme a tutte le epoche. La VIOLENZA. DeMause vuole ricostruire l’evoluzione del rapporto tra genitori e figli, ritiene c sia possibile vedere emergere la natura violenta delle modalità relazionali espresse dal mondo adulto ni confronti dei bambini. Egli tenta di comporre una storia dell’infanzia alternativa che renda visibile l’evoluzione della capacità dei genitori di regredire all’età psichica dei figli per affrontare gli stati d’ansia generati dalla loro presenza nella vita quotidiana senza ricorre alla violenza per ricorrere alle difficoltà. La sua conclusione è che la violenza appare come la principale modalità per gestire il rapporto non i propri figli. Le pratiche violente rientrano nel modo degli adulti verso i bambini in ogni epoca storica. Nella storia la violenza è l’aspetto centrale dei rapporti genitori- figlio. Nel tempo mutano le forme ma non scompare mai. DeMause è d’accordo con Ariès nell’affermare che un fenomeno così lungo e complesso non possa essere spiegato ricorrendo ad un'unica causa; non si può pensare che alla radice dei fenomeni violenti vi sia la pura cattiveria, occorre pensare a una pluralità di fattori di diverso genere: cause di ordine materiale e psicologico:

  • (^) Cause materiali: condizioni economiche, sociali e culturali della popolazione, società in una perenne condizione di precarietà materiale.
  • Cause psicologiche: l’incapacità dell’adulto di vedere e riconoscere il bambino.

Manca la maturità emozionale, l’adulto è incapace di provare empatia con il diverso da se. DeMause raccoglie documenti storici utili a descrivere fenomeni scomodi. Uno di questi è l’infanticidio. La presenza dell’infanticidio nei racconti mitologici è la riprova indiretta della diffusione della pratica nell’antichità. Essa si mantiene durante l’epoca cristiana e per tutto il medioevo. La sua pratica è dovuta al concorso di una complessità di fattori. Vi sono cause disordine demografico, di natura culturale, vi è infine la lettura della disabilità, cause di ordine religiose o magico superstizioso di ordine psicosociale. Il figlio può esser accettato e riconosciuto oppure rifiutato o allontanato dall’esistenza. Occorre aspettare il 4° secolo per vedere

comparire nella legislazione imperiale il termine omicidio associato all’uccisione del figlio. È sorprendente la sporadicità dei casi giudiziari riguardanti il reato di infanticidio, come il numero modesto di nascite illegittime registrate nei documenti ufficiali. Non sempre alla base della morte del figlio vi sono comportamenti intenzionali. Può risiedere in credenze di ordine magico superstizioso che mettono in atto pratiche salutari per il bambino. La speranza della sua sopravvivenza nei primi 5 anni di vita è nelle mani del fato o della sorte. Le contro misure per scongiurare la morte prematura del figlio sono tanto vaste quanto lo sono i rischi che il bambino corre. Talvolta i rimedi sono più dannosi del male che intendono curare. L’abbandono è una pratica altrettanto diffusa rispetto all’infanticidio. È un infanticidio indiretto come sostiene DeMause. Il mito suggerisce la pervasività di una pratica tollerata e accettata come normale a livello sociale. John Boswll in un suo studio avanza la tesi secondo la quale fino al 4° secolo la maggioranza delle donne che avevano cresciuto più di un figlio ne avevano abbandonato più di uno. Sosteneva che nei primi 3 secolo dc tra il 20 e il 40% di tutti i neonati fosse stato abbandonato. Il numero di neonati bambini che sono stati vittima di abbandono è elevato, una molto esigua minoranza di questi potrebbe essere sopravvissuta “ragazzi selvaggi”: che fanno rientro in società dopo aver trascorso una parte più o meno lunga della loro infanzia in isolamento. Fino dall’epoca romana è stato destinato uno spazio pubblico cittadino all’abbondono dei figli allo scopo di evitarne la morte e dare la possibilità di adottare un figlio abbandonato da altri. Quella dell’affidamento ad orfanotrofi è una forma di abbandono istituzionalizzata. Rientrano in questa categoria la vendita del figlio a terzi, la cessione in pegno, o in affitto come forma di pagamento di debiti, ma anche l’invito dei figli a servizio presso altre famiglie ed infine anche la pratica del baliatico: l’esercizio della funzione di bàlia, dietro corresponsione di un compenso. La storia dell’infanzia è un incubo dal quale l’umanità si è poco risvegliata. DeMause propone una periodizzazione della storia dell’infanzia che ha il pregio di dare ordine all’oggetto di studio ma il difetto di semplificare la complessità del divenire. Interessante è il tentativo di ricostruire l’avvicinamento empatico tra genitori e figli. Mutano le condizioni di vita materiali delle famiglie, evolve la qualità delle relazioni tra adulti e bambini; nella fase attuale i genitori si sforzano di corrispondere alle richieste dei propri figli attraverso attenzioni e pratiche di cura astenendosi dall’esercizio della violenza fisica e psicologica. Storicamente i contenuti di violenta rivolti al bambino si ritrovano all’interno delle pratiche di adultizzazione precoce attraverso il lavoro. È una verità naturale che i bambini vadano picchiati per disciplinarli; diffusa è l’idea che il corpo del bambino sia uno strumento per provocare il divertimento ludico o sessuale dei grandi.

Capitolo 5 L’800 è il momento in cui sorge una forma di attenzione sociale nei confronti dell’infanzia: la TUTELA. La società assume nuove responsabilità, si rivolge a coloro che soffrono condizioni di vita dure e difficili. Nella seconda metà dell’800 l’ottica della tutela e della protezione si impone come la prospettiva attraverso la quale gli stati guardano all’infanzia. Vi è da un lato la consapevolezza dei bisogni fondamentali connessi allo sviluppo e alla crescita dei bambini e dall’altro l’esigenza di provvedere a tali bisogni. Proteggere l’infanzia significa rinforzare la salute della società stessa, poter contare su un popolo maturo e meglio governabile. Il fenomeno della povertà infantile e dell’abbandono si mantengono vive anche durante l’800. Le prime istituzioni per il ricovero dell’infanzia si erano sviluppate anche in Europa nel 12° secolo. Nasce un nuovo soggetto nel campo della protezione dell’infanzia: il governo dello stato nazionale. Nei secoli le autorità municipali e religiose si dedicavano al soccorso dell’infanzia: per la salvezza dell’anima del bambino. Per i filantropi occorre salvare il bambino povero dalle minacce che lo espongono a pericoli maggiori. Le autorità civiche si preoccupano pensando all’adulto che potrà diventare se scamperà alla morte precoce. Questi principi restano validi nell’800. Un terzo: salvare i bambini affinché possano godere della loro infanzia è il principio novecentesco. Nel 19° secolo vengono messe a punto politiche per l’assistenza dell’infanzia. L’attenzione pubblica alle condizioni di vita dei bambini diventa punto centrale per i governi europei. Nel nostro paese lo stato nazionale unitario si interessa dei problemi dell’infanzia popolare. Lo stato può farsi carico dei principali problemi. Il governo italiano si concentra attorno a 3 emergenze sociali:

  • Analfabetismo.
  • Sfruttamento economico.
  • Violenze familiari.

condizioni di vita dei bambini e delle bambine Ellen K. Non utilizza il gergo giuridico ma anticipa alcuni principali fondamentali dei documenti internazionali. 3 principi fondamentali:

  • Il diritto di essere desiderato, è il diritto del bambino non ancora nato che individua nell’amore l’unico motivo della sua futura nascita. Ogni bambino ha il diritto di venire al mondo perché voluto dai propri genitori, il bambino ha il diritto a essere desiderato dalla società. La società per dimostrare di voler bene ad ogni bambino nato allarga all’infanzia la sfera dei diritti economici e sociali.
  • (^) Il diritto di scegliere saggiamente i propri genitori, si tratta del diritto del bambino a non dover scontare i vizi dei propri genitori, ereditando i mali che discendono dai loro comportamenti.
  • Il diritto di essere cattivo, è il diritto del bambino alla propria libertà e a un’educazione che consenta di esprimere la propria personalità e le proprie inclinazioni, il bambino deve avere rispettato il diritto a non piacere agli adulti che si occupano della sua educazione. Il bambino cattivo è spesso solo un bambino che si comporta in maniera spontanea e libera. Occorre rinnovar i modelli educativi, centrarli sul bambino e sui suoi bisogni. Il diritto del bambino alla propria personalità e il dovere dell’educatore di astenersi dall’esercitare la propria autorità troverà piena espressione nella carta internazionale dei diritti del fanciullo. L’educazione nuova muove dai bisogni dei bambini e non dalle aspettative degli adulti, i contenuti gli obiettivi saranno calibrati in rapporto dal mondo di vita del bambino reale. Sempre di più il rinnovamento dell’educazione tenderà a voler conoscere l’umanità del bambino.

Janusz K. In alcuni scritti autobiografici vi è l’enunciazione di alcuni fondamentali diritti dei bambini, il tutto si condensa nell’opera più nota Il diritto del bambino al rispetto (1929). Questi principi si ritroveranno nella convenzione dell’89 della quale fu uno dei padri spirituali.

  • (^) Il diritto di essere preso sul serio, è la condizione principale per garantire il diritto al ripeto del bambino, è la disponibilità dell’adulto a prendere con serietà ciò che riguarda la sua vita quotidiana. È irrazionale dividere l’esistenza umana in 2 età nella quale la vita assume un valore diverso: scarso/ infanzia, pieno/età adulta. L’adulto quindi sminuisce le occupazioni del bambino: è l’origine della mancanza di rispetto verso di lui. Sarebbe più giusto sostenere che abbiamo esseri umani con esperienze atteggiamenti e reazioni diversi nei confronti della realtà e della vita, la serietà con cui gli uni e gli altri si rapportano alla realtà è umanamente la stessa. Lo sforzo più difficile che l’adulto deve compiere è quello di abbassarsi al livello del bambino mentre ascolta le sue domande e rispondendo prendendolo molto sul serio.
  • Il diritto di essere ascoltato, sul piano pedagogico significa cogliere i bisogni che stanno al disotto delle parole. È sbagliato pensare che le preoccupazioni, le speranze, le curiosità acquistino intensità con l’ingresso nell’età adulta e che durante l’infanzia siano manifestazioni dell’immaturità del bambino. Sminuire il bambino dimostra che l’educatore non ha la pazienza e la disponibilità per permettere al bambino di partecipare esprimendo il proprio punto di vista. Diritto al rispetto e disponibilità al dialogo e diritto di parola: solo quando le parole sono prese sul serio è concretamente realizzato. Quindi il diritto all’ascolto è intrecciato con il diritto a essere preso sul serio, vuole dire permettergli di esprimere i propri pensieri e concedergli la facoltà di fare domande. Ma anche riconoscergli il diritto di tacere se non ha voglia, il diritto di restare in silenzio.
  • Il diritto alla propria morte condensa due principi fondamentali: da un lato è l’appello a non cadere vittima dell’eccesso di protezione nei confronti dei bambini (il bambino deve fare liberamente esperienze della vita e del mondo). Il bambino ha diritto di fare errori e anche di farsi male, l’adulto iperprotettivo priva il bambino di elementi importanti. Gli interventi dell’adulto che rimuove gli ostacoli per il bambino ottengono l’esito opposto. L’esercizio della libertà è la preoccupazione maggiore dell’adulto poiché il bambino conquista la propria indipendenza. Il secondo principio è pedagogico; è un invito a correre rischi in educazione. In educazione occorre provocare la morte dell’idea di infanzia: occorre dare morte all’infanzia idolatrata. Solo dopo lo sguardo dell’educatore potrà incontrar il bambino reale.

Il terzo contributo che segna l’apertura pedagogica al tema dei diritti dei bambini è quello di Maria M., una delle voci più autorevoli della pedagogia contemporanea. Maria M. assume l’idea di un riconoscimento pieno dei diritti fondamentali all’infanzia, uno di questi si trova nell’opera del 1916 L’autoeducazione nelle scuole elementari. Nella prima parte intitolata “uno sguardo alla vita del bambino”, vi è una riflessione sulla libertà del bambino, il progresso delle conoscenze scientifiche hanno fornito ciò che serve a liberare il bambino dal peso dei problemi di lunga durata che hanno inciso sulla qualità di vita. Ciò che serve per l piena liberazione dei bambin9 è il riconoscimento del loro diritti civili. Dovere della società è farsi carico dei costi. La società democratica deve provvedere alle esigenze. Il livello di attenzione nei confronti dell’infanzia non può essere misurato tenendo conto dei bambini che hanno la fortuna di nascere e crescere in famiglie privilegiate. L’amore dei genitori è condizione necessaria ma non sufficiente per garantire ciò di cui hanno bisogno. La famiglia non può esser lasciata sola nella cura e protezione dei bambini, d’altra parte i diritti dei bambini non sono completamente assorbiti all’interno dei diritti della famiglia, ne riassunti nello status di figlio, è importante il riconoscimento come categoria speciale di interlocutori.

Capitolo 7 Dalla metà del 19°secolo il bambino deve essere salvato dal lavoro, occorre che il lavoro dei bambini diventi inutile perché possa cambiare anche la percezione del sociale. Il passaggio definitivo avviene quando si passa dalla protezione del bambino che lavora, alla protezione del bambino dal lavoro. Esistono 2 fasi: nella prima viene affermato il loro diritto di lavorare a certe condizioni, protetti dallo sfruttamento, se il lavoro è necessario per il sostentamento del bambino, deve essere garantito il suo diritto di poter lavorare; nella seconda alla fine degli anni ’50 con la dichiarazione di New York il bambino non deve lavorare deve essere assolutamente protetto dal lavoro. L’idea di una dichiarazione dei diritti dei bambini circola alla fine degli anni ’10. La prima bozza è la dichiarazione dei diritti del bambino, non arrivò mai alla luce, fu presentata a Mosca nel 1918. Si tratta di una dichiarazione non ufficiale, sostiene l’idea del diritto dei bambini al lavoro sociale. La convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989 attualmente in vigore, è costituito dall’assenza di considerare l’opinione dei bambini, i diritti umani universali non hanno riguardo a coloro che ancora non hanno compiuto l’età della ragione cosi quando si iscriverà la specifica carta dei diritti dell’infanzia i bambini non verranno ne coinvolti ne consultati. La dichiarazione di Ginevra è ratificata dalla Società delle Nazioni nel 1924. Il tema del lavoro minorile era già stato posto all’interno del dibattito internazionale del 1919, anno in cu venne fondato L’ILO che si è occupata dei problemi connessi allo sfruttamento economico dell’infanzia e della adolescenza. Tra le rime convenzioni approvate ve ne sono 2 in particolare.

  • Convenzione n°5, concerne l’età minima
  • -convenzione n°6 che sancisce il divieto dei minori nei lavori industriali notturni.

Nel 1927 compaiono altri documenti importanti, la Carta dei bambini del International Council Of Woman organizzazione che rappresenta un punto di riferimento per i movimenti femministi. La Dichiarazione dei diritti dell’adolescente promossa dall’unione internazionale delle organizzazioni giovanili socialiste. Al centro della carta ICW vi è l’intreccio dei diritti dei bambino con quello della madri, i temi sono la promozione dell’educazione, dell’igiene sessuale per i genitori da insegnanti specializzati con lo scopo di diminuire la diffusione delle malattie veneree che hanno conseguenze sulla salute dei nascituri. Il documento esorta al riconoscimento dell’età minima a 14 anni e alla proibizione del lavoro notturno come stabilito dalle convenzioni 5-6 dell’ILO. Tutta la 4° sezione del documento è riservata ai bambini che lavorano. In questo documento vengono affrontati morti temi che non vi erano nell’ILO: il riconoscimento di un orario giornaliero ridotto, periodi di vacanza retribuiti. Il lavoro minorile, diventa sempre meno redditizio. Nella prima fase dell’elaborazione novecentesca lavoro e scuola non sono concepiti come due realtà che si escludono a vicenda ma come dimensioni che possono essere integrate. La dichiarazione dei diritti dell’adolescente si incentra sulla difesa del diritto al lavoro durante questa età. Rilanciando 2 obiettivi: l’estensione a tutti lavoratori minori di età delle stesse garanzie, tutele e diritti riconosciuti ai lavoratori adulti; e il rafforzamento della protezione speciale in rapporta all’età del lavoratori, attraverso la rivendicazione dei diritti fondamentali all’istruzione.

obietti più alti dell’educazione. Mass media e informazione: è necessario un filtro che permetta la protezione ai bambini dai materiai violenti. Protezione dalla violenza e dallo sfruttamento: gli stati assumono tutte le misure legislative per tutelare i bambini contro qualsiasi forma di violenza. Handicap fanciulli mentalmente o fisicamente handicappati, riconosce il diritto a condurre una vita piena. Diritti sociali e protezioni speciali pacchetto di diritti di seconda generazione riguardano l’inclusione sociale, le tutele economiche e l’accesso alla cultura.

Capitolo 9 L’idea dei diritti dell’infanzia vuole suggerire un superamento della concezione di bambino come un cittadino dimezzato, solo attraverso questo riconoscimento il bambino potrà godere della pienezza dei diritti. Aldo Moro si è occupato dei diritti dei minori in Italia, in particolare di adozione, di devianza minorile, del rapporto tra mass media e violenza minorile. Il bambini è visto come un soggetto incompiuto, cittadino di domani. I diritti sono la traduzione in positivo dei bisogni. Dire che il bambino sarà il cittadino di domani, significa che non lo è oggi. Il bambino continua ad essere un corpo da proteggere. Questo è il paradosso dell’idea dei diritti dell’infanzia sono un complesso di diritti che solo l’intervento di un altro soggetto può rendere disponibili. L’adulto permette ai bambini di esercitare i diritti. A prima parte del cammino storico si conclude nel 1989 con l’approvazione della Convenzione, da qui si apre una seconda fase che condurrà alla trasformazione delle condizioni di vita. Nel 1979 la commissione per i diritti decise di istituire un gruppo di lavoro che elaborasse una bozza di convenzione sui diritti dell’infanzia. I rappresenta tanti delle organizzazioni non governative come Save the Children saranno ammessi come osservatori. I lavori cominceranno nel 1980 per finire 7 anni dopo. La prospettiva proposta è innovativa perché viene promosso un approccio onnicomprensivo ai diritti dei bambini. Tra i diritti civili vi è il diritto a non essere discriminato alla vita alla vita al nome, dell’identità. Tra i diritti politici troviamo le libertà con eccezione del diritto al voto. Tra i diritti economici 2 articoli riguardano gli obblighi degli stati a proibire lo sfruttamento. Tra i diritti sociali, il diritto alla salute, alla sicurezza sciale, all’educazione. Tra i diritti culturali c’è il diritto al riposo, al gioco, alla partecipazione, alla vita artistica. I diritti dell’infanzia hanno 3 finalità:

  • L’autodeterminazione del bambino
  • (^) Protezione del bambino
  • Individuazione dei diritti specifici dell’infanzia e la divisione delle tre P, cioè quei diritti che garantiscono l’accesso ai beni della vita, quei diritti che meritano speciale protezione dell’infanzia, quei diritti che rendono il bambino un soggetto attivo.

Le convenzioni sono strumenti Hard Law, legge dura e solida (Aldo Moro) il significato della CRC secondo Aldo Moro è quello di autentica pedagogia dello sviluppo umano, una complessiva strategia educativa. L’idea del bambino portatore dei diritti è considerata una cornice capace di dare significati pedagogici.

Capitolo 10 Il coinvolgimento dei minori nei conflitti armati, lo sfruttamento sessuale del bambino problemi come il lavoro, il compromesso raggiunto dalla convenzione appare insufficiente per dare risposta a emergenze, con l’entrata in vigore con la CRC il dibattito prosegue. Sui primi due punti vengono ratificati 2 protocolli il 1° è il protocollo sul coinvolgimento dei bambino sui conflitti armati, alza i 18 anni l’età prevista per l’arruolamento. Il 2° è il protocollo sulla vendita dei bambini, prostituzione e pornografia infantile, per stroncare il fenomeno globale della tratta dei minori e per lo sfruttamento per fini sessuali.

I due protocolli aggiuntivi, sono opzionali e quindi lo stato può decidere di non fermarli. Sul tema del lavoro minorile la convenzione è carente perché i diritti dei minori rispetto al lavoro sono già codificati all’interno delle convenzioni. La prima convenzione ILO n° 138 del 1973 sull’età lavorativa fissa la soglia al disotto della quale è illegale impiegare un minore. Fissa a 15 anni l’età minima. Può scendere a 13 per i lavori leggeri, scende a 14 per i lavori in generale e a 12 anni per i lavori leggeri. l’Italia ha ratificato la convenzione n°138 del 81 che non impedisce che il pese possa innalzare l’età minima lavorativa. La 2° convenzione ILO n° 182 del 99 sulle peggiori forme del lavoro minorile, analizza e comprende i lavori che coinvolgono i minori, stabilisce una progressione di obbiettivi per contrastare questo fenomeno. Il 1° obiettivo è troncare lo sfruttamento economico quello sessuale, lavori che mettono a rischio la vita, la salute,

l mortalità dei bambini; accanto a ciò si trova l’obbiettivo di eliminare le forme di lavoro inaccettabili, lavoro intensivo, a tempo pieno; il terzo obietto determina un miglioramento delle condizioni economiche dei paesi in difficoltà per far si che i bambini non lavorino. Il programma IPEC elaborato da ILO contiene il quadro delle azioni internazionali finalizzate all’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile. L’8 settembre del 2000 si concludeva l’assemblea ONU del millennio con la proclamazione della dichiarazione del millennio, si intendevano riaffermare i principi e i lavori basilari che avevano ispirato l’enunciazione e la promozione dei diritti fondamentali durante la seconda metà del ‘900. Sono 8 gli obiettivi fondamentali è fissato un traguardo minimo da raggiungere entro una scadenza ritenuta realistica. Il comitato ONU ha segnalato i seguenti unti critici:

  • Accesso alla cittadinanza per i minori di origine straniera.
  • Punizioni fisiche in ambito familiare.
  • (^) Presenza nelle carceri italiane di bambini detenuti con le proprie madri.
  • Minori stranieri non accompagnati.
  • Adozione.
  • Minori a rischio di povertà o di esclusione sociale.
  • Dispersione scolastica formativa.
  • (^) Minori nei conflitti armati.
  • Minori in stato di detenzione.
  • Lavoro minorile illegale.