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Riassunto del libro "La voce della pace viene dal mare"
Typology: Summaries
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L'educazione alla pace è considerata da alcuni autori sia una filosofia che un processo che comprende abilità differenti ed un comportamento adeguato e rispettoso dei diritti della persona. Essa non ha un significato univoco perché si pone in relazione ai differenti contesti. Un'altra interpretazione considera l'educazione alla pace come un progressivo sviluppo di competenze specifiche che creino la predisposizione alla gestione e alla risoluzione dei conflitti in modo non violento. Viene considerata la necessità di relazionarsi agli altri e soprattutto valutare e agire con comportamenti che siano orientati alla disponibilità al dialogo e all'incontro, in modo tale che i problemi possono essere risolti senza ricorrere alla violenza. In contesti dove c'è una forte diseguaglianza sociale e dove i processi di autonomia e di ricerca di indipendenza delle condizioni sociali locali generano ancora trasformazioni politiche, l'investimento maggiore è orientato sulle problematiche relative al rispetto dei diritti umani. In questi contesti, l'educazione di pace riguarda educare alla individuazione, al riconoscimento e alla garanzia dei diritti. Per i paesi che vivono una condizione economica di un certo standard, pur con la presenza di una parte di popolazione che vive in condizioni di povertà e con modelli politici di differente democrazia, l'educazione alla pace è collegata a movimenti pacifisti da una parte ed a problemi sociali rivolti al locale e al globale, dall'altra. Nel primo caso è possibile considerare la forte presenza di organizzazioni non governative impegnate a sostenere lo sviluppo umano ed economico in questi contesti a rischio di conflitto bellico interno, lotte civili, ed esterno, tra paesi belligeranti. All'interno di questi tipi di interventi la riflessione sull'educazione alla pace è soprattutto rivolta a fornire conoscenze e strumenti per la gestione delle risorse umane e per l'uso delle tecnologie nei luoghi depravati a livello sociale. I paesi con condizione economica più avvantaggiata, pongono l'accento sull'educazione alla pace in rapporto ai problemi ambientali-ecologici ed al dibattito intorno allo sviluppo sostenibile, all'impegno per il disarmo, attraverso una tentata campagna di informazione sulle responsabilità collettive allo sviluppo e al mantenimento di questa industria e ai costi che questa richiede. Il tema dell'educazione alla pace inoltre si collega direttamente anche con il bisogno della convivenza pacifica tra differenti culture da attivare soprattutto attraverso il dialogo e la conoscenza reciproca. L'UNESCO, la più importante organizzazione governativa internazionale impegnata su questi temi, sostiene che il suo obbiettivo è far si che l'educazione diventi una strategia, un mezzo, un impegno sociale fondamentale e necessario perché si possa aprire la strada della pace e perché siano studiati i modi e gli strumenti perché ciò avvenga nel rispetto delle differenze e della giustizia sociale. Il concetto di cultura di pace è stato formulato solo nel 1989, grazie anche alla caduta del muro di Berlino e fine della Guerra Fredda e alla dichiarazione dei diritti del bambino e dell'adolescente. La cultura di pace promuove inoltre la tolleranza e si adopera per prevenire i conflitti, affrontando le cause che li generano e individuano soluzioni possibili dove tutti sono attori protagonisti, tutti sono sullo stesso piano della discussione e della legittimità. Un altro elemento specifico della cultura di pace è la promozione del rispetto dei diritti umani, perché là dove domina la guerra e la violenza ogni diritto umano è cancellato e negato. Alla base di ogni cultura di pace c'è il principio di uguaglianza di parità di diritti e di partecipazione sociale tra uomini e donne, anche nei confronti di chi viene considerato il “nemico”. La cultura di pace promuove anche le azioni di comprensione, tolleranza e solidarietà. Solo apprendendo dalle differenze e nelle differenze è possibile costruire gli strumenti necessari per lo sviluppo del dialogo e della partecipazione attiva. Il tema della tolleranza, intesa come, la volontà di permettere idee o posizioni diverse da quelle personali o del gruppo di riferimento, può assumere una forma passiva quando viene svolta una azione in cui l'altro viene ignorato e non coinvolto, o ascoltato; oppure positiva che si esprime in forma attiva attraverso il supportare, sostenere e difendere il diritto dell'altra persona ad esprimere idee di pace e democrazia. Infine, per la promozione della pace e della sicurezza internazionale, è necessario rendere pubblico e diffondere ogni minimo impegno sociale e culturale orientato a fare crescere l'idea che la sicurezza umana non dipende dalla produzione di armi che la società produce, quanto piuttosto dalla capacità che la società stessa ha di crescere a livello sociale e culturale. In molti contesti di emergenza la scuola e i bisogni di attenzione ai bisogni dell'infanzia e dell'adolescenza rimangono in ombra rispetto alle necessità sociali che attivano subito l'interesse delle organizzazioni umanitarie. Per i bambini il diritto all'educazione formale non è garantito, in questo caso, l'intervento di educazione alla pace diventa una necessità per soddisfare il diritto all'apprendimento e al benessere dell'infanzia e dell'adolescenza. La scarsa attenzione per un tempestivo intervento a sostegno della garanzia dell'educazione è dovuta al fatto che storicamente l'istruzione è stata vista come parte di un interventi che interessa un periodo della vita. L'educazione nelle situazioni di emergenza può essere un set di attività progettuali che consentono e favoriscono lo sviluppo di apprendimenti strutturati rivolti alla costruzione di condizioni di vita migliori e pacifiche. Gli effetti dei disastri e dei conflitti, durano in genere molti anni, e questo implica che i bambini rimangano fuori dalla possibilità di riprendere il loro naturale e adatto spazio educative. Gli interventi per attivare percorsi educativi e scolastici deve rappresentare una priorità perché mette le persone in situazioni di ignoranza e di vulnerabilità e quindi di una possibile emarginazione sociale che non permette loro di contribuire ai cambiamenti sociali. Nelle situazioni di crisi i bambini sono i primi ad essere colpiti, sono contesti in cui è facile perdere i familiari, rimanere soli e dove si perdono i punti di riferimento importanti per la crescita e lo sviluppo
i rischi di essere coinvolti in esperienze ancora più traumatiche sono molto alti. In queste situazioni è necessario operare velocemente attraverso forme educative dirette e indirette. Le prime sono rivolte direttamente ai bambini per evitare l'aggravio del trauma e della vulnerabilità, le seconde a prevenire situazioni di ulteriore aggravio delle condizioni di difficoltà dei bambini. In questi contesti l'educazione può sia salvare la vita di coloro che sono coinvolti nel disastro, che sostenere la vita fornendo protezione fisica. Nelle emergenze deve essere data priorità al ritorno dei bambini a scuola dopo il disastro, o appena superato il momento acuto del conflitto, questo può facilitare a ritrovare un senso di routine e normalità contribuendo ad individuare nuovi spazi di interazione sociale e di supporto. Il Network INEE ( Inter-Agency Network for Education Emergencies) ha considerato prioritario lavorare per fornire un'istruzione di qualità comprendente quindi gli aspetti di sviluppo cognitivo ed affettivo-emotivo come quelli del benessere fisico e della protezione psicosociale, perché questo rappresenta un importante investimento per la salvaguardia della vita delle persone. Le persone sono infatti coinvolte direttamente e responsabilmente di fronte agli eventi, si impegnano per un futuro diverso e non rimangono passive e dipendenti dagli eventi. Quando un bambino è in un ambiente di apprendimento sicuro e stimolante ha meno probabilità di essere sessualmente o economicamente sfruttato o esposto ad altri rischi che colpiscono con facilità le popolazioni escluse e/o svantaggiate. L'educazione alla pace rappresenta un'occasione importante per supportare il cambiamento sociale attraverso la revisione dei curricola, attraverso lo sviluppo delle differenti forme partecipative ed un investimento diretto nella formazione di qualità di educatori e insegnanti. L'educazione alla pace rappresenta una proposta innovativa nei contesti di emergenza in quanto può fornire assistenza ai programmi scolastici innovativi, modificare processi interni di istruzione, stereotipati dalle ostilità sociali e dalle forme di esclusione sociale e aumentare e completare la partecipazione di tutti i bambini a beneficiare del sistema scolastico. È necessario lavorare sempre coinvolgendo tutta la comunità interessata perché è essenziale che sia diffusa e compresa a tutti l'opportunità e la possibilità di costruire nuovi sistemi di istruzione per migliorare la qualità di vita. L'impegno ottimistico dell'educazione permette anche di vedere che le crisi possono diventare un'occasione di cambiamento, aiuta ad insegnare ai membri di una comunità nuove competenze e valori, come l'importanza dell'integrazione. Per i bambini che vivono, da soli o con le famiglie, in situazioni di rifugiati o di profughi l'istruzione deve rappresentare una componente fondamentale per l a protezione e la salvaguardia dello sviluppo dei bambini. L'organizzazione internazionale UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees) è l'organismo responsabile di gestire gli interventi per la realizzazione di situazioni educative di qualità durante la forzata permanenza dei bambini nei campi. Le prime attenzioni nei confronti di questo problema sono iniziate ne 1951 a seguito della definizione di una convenzione. Viene considerato un rifugiato colui che “è fuggito dal suo paese” per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione,nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. La realtà dei rifugiati è caratterizzata da esperienze di spostamento forzato e dalla perdita della casa e dei luoghi familiari. Gli aspetti fondamentali che l'educazione alla pace svolge in questo ambito sono rivolti al mantenimento del riferimento con le proprie radici culturali di provenienza e comunità di appartenenza. La condizione di rifugiati rende in molti casi problematica la possibilità per i bambini di frequentare regolarmente una scuola. Gli interventi internazionali, pongono come obbiettivo essenziale che i bambini che vivono in tale condizione possano frequentare regolarmente la scuola primaria. Gli interventi in questo contesto richiedono un primario impegno nella formazione di insegnanti ed educatori in grado di rispondere alle differenti problematicità e bisogni dei bambini. La formazione degli insegnanti non ha ancora raggiunto un livello di priorità tale che possa assicurare il successo delle migliori politiche umanitarie e sociali.
Molti studi a partire da quelli di Galtung, approfondiscono il tema dell'educazione alla pace dal punto di vista teorico. Con Galtung sono iniziati i moderni studi sulla pace che considerano i cambiamenti sociali e i rapporti internazionali, definitesi a partire dal Secondo Dopoguerra, ed i nuovi bisogni culturali che si sono andati determinando con il diffondersi di nuove tecnologie e con le differenti forme di comunicazione e relazione. Le sue ricerche hanno messo in luce molti aspetti oscuri del rapporto pace/guerra, in particolare, possono essere ricordati gli studi sulla trasformazione pacifica dei conflitti, la riconciliazione, le relazioni internazionali, i diritti umani, la teoria della civiltà, lo studio sui bisogni umani, l'idologia, le religioni, le metodologie delle scienze sociali, la comunicazione, l'economia e la globalizzazione. Centrale per questi tipi di analisi è il tema della violenza e delle sue differenti forme di manifestazione, per Galtung la prima definizione di essa ha un orientamento violento, nel senso che la pace viene spiegata attraverso la sua negazione, perché per conoscere la pace è necessario ricorrere alla conoscenza della violenza e delle sue forme. La seconda definizione è collegata al conflitto e alle modalità con cui i conflitti vengono risolti. La violenza presente nella cultura rappresenta il contesto attraverso cui si possono legittimare le altre due forme di violenza: quella strutturale e quella diretta. La violenza culturale dovrebbe essere compresa in riferimento a quegli aspetti che la stessa cultura utilizza
Nel primo caso il potere della mediazione è dato alle parti coinvolte e la figura del mediatore è vista come un ruolo di facilitatone tra le parti. Nell'altra ipotesi, viene messa in evidenza la capacità del mediatore di promuovere lo sviluppo di nuove competenze per un accrescimento generale delle persone coinvolte. La mediazione trasformativa, non porta ad individuare una soluzione immediata al problema. Essa si concentra soprattutto sull'individuazione delle possibili soluzioni che a differenti livelli si possono attivare trovando una partecipazione alla ricerca che responsabilizzi i dati interessati. L'ultimo passaggio indicato per la costruzione di possibili situazioni di convivenza pacifica, è quello della progettazione -creatività: questo implica il trascendere nel futuro gli aspetti trasformativi della mediazione. Galtung considera la differenza tra creatività individuale e creatività collettiva. La prima può emergere come lavoro che viene svolto dalle operazioni mentali della comparazione e della ricerca di analogia tra gli elementi posti in analisi. La creatività collettiva viene attraverso l'uso del brainstorming e delle differenti modalità nelle quali è possibile esprimere il proprio pensiero. La sua forza sta nella circolazione di queste idee, in modo tale che tutto il gruppo possa beneficiare delle produzioni di tutti. Ogni processo sociale deve essere considerato come elemento di costruzione della pace, solo partendo dall'incontro dei bisogni delle persone e degli sviluppi delle opportunità di contatto e di benessere si può aprire il mondo della condivisione pacifica.
Ogni intervento che si voglia pensare per la realizzazione della pace, deve iniziare da se stessi. La prima ricerca della pace è quindi personale, ma nessuno può dire che esistono formule specifiche, tempi adatti e risultati chiari. Il lavoro personale è un progress continuo, il rispetto dei tempi di maturazione, di consapevolezze e trasformazioni , è parte fondamentale di ogni lavoro sulla pace. Nel lavoro di educatori deve essere compreso che quello che viene condiviso con gli altri e può essere dato agli altri è ciò che la persona stessa possiede ma allo stesso tempo non è il tutto della persona. Il nostro modo di pensare, sentire e comportarci sia verso noi stessi che verso gli altri è ricco di conseguenze e responsabilità per il benessere sociale; la responsabilità individuale non si perde nell'esperienza collettiva, ma ne è parte diretta e attiva. Oltre all'impegno e alla responsabilità personale, educare alla pace significa anche cercare la strada per appagare il desiderio umano della pace. L'educazione alla pace si propone di investire il tutto per tutto nella preparazione di un mondo migliore, sostenibile e partecipato da tutti. Alcuni educatori chiariscono che le azioni per la pace si articolano in 3 modi differenti: peacekeeping, peacemaking, peacebuilding. Il primo svolge un'azione di trattenimento/controllo della violenza. Con queste azioni si cerca di far rispettare il mantenimento di un a situazione di non aggressione e di escalation della violenza. Una volta fermate le azioni di ostilità e di violenza reciproca possono entrare in azione i peacemaking. Queste figure hanno come obbiettivo quello di creare delle azioni di incontro, scambio e avvio del riconoscimento, e della comprensione reciproca. A seguire entrano in azione i peacebuilding. Il loro ruolo è quello di iniziare la costruzione di una cultura di pace che possa sostituire i modelli culturali attraverso i quali i gruppi e le persone si sono formati. L'impegno che l'educazione deve dare per costruire nuove conoscenze e competenze necessarie e utili per apprendere come vivere insieme, è uno dei quattro pilastri fondamentali che sostengono l'educazione per il futuro. Gli altri tre sono: apprendere ad apprendere; apprendere a fare; apprendere ad essere. Tutti e 4 sono processi e percorsi di apprendimento che richiedono una vision di complessità, di metodologie e di strumenti capaci di rispettare le modalità dei processi di apprendimento sviluppando consapevolezza cognitiva, alfabetizzazione emotiva e partecipazione sociale e democratica.
L'educazione aiuta alla formazione di persone responsabili e protagoniste del loro futuro e quindi interessate in modo diretto alla salvaguardia del benessere del pianeta e dei suoi abitanti. Learning to live together, si basa sull'apprendimento di abilità, attitudini, valori e conoscenze utili per vivere insieme piuttosto che focalizzarsi sull'apprendimento dei soli obbiettivi astratti e lontani dalla esperienza concreta. Questi interventi devono essere integrati nella crescita delle conoscenze e delle competenze delle giovani generazioni, ed è quindi importante che siano organizzati all'interno di setting di apprendimento contenuti e spazi specifici che interessino anche gli aspetti relativi ai diritti umani, alla comunicazione non violenta e alla meditazione creativa. Sono state delineate alcune abilità che sembrano essere necessarie per il futuro di ogni abitante del pianeta. Una di queste è “l'abilità di vita” cioè l'attenzione posta ad individuare i molti aspetti che sono necessari al vivere insieme e in pacifica convivenza. L'UNESCO pone all'interno del learning to live together gli obbiettivi indicati per l'educazione alla cultura di pace come la risoluzione dei conflitti, la prevenzione alla violenza, lo sviluppo della tolleranza attiva, il sostegno alle potenzialità e alle risorse delle diversità.
Il contributo dato da Rami Andrei Rodan allo sviluppo della cultura di pace attraverso progetti innovativi e stimolanti che avevano come luogo di realizzazione l'ambiente del mare. Da qui l'idea di pensare al progetto “ Vele per la Pace” in riferimento a due target group: educatori/peacebuilding e gli adolescenti/giovani. La sfida di Rami è stata di mettere insieme le virtù e le qualità del viaggiar e in barca a vela e le competenze nautiche e marittime con quelle delle aspirazioni umane per la pace, la giustizia sociale, l'uguaglianza e la parità di opportunità e i diritti umani. Vivere l'esperienza del mare diventa un mezzo importante per aiutare le persone a conoscere se stessi, scoprire i punti di forza e i talenti nascosti e comprendere il valore e il significato del lavoro di squadra.
Il progetto comincia a definirsi nei primi mesi del 2007 con il nome Sails for Peace (Vele per la Pace). Esso vuole educare i giovani alla convivenza pacifica in un ambiente naturale come quello del mare. L'idea e gli obbiettivi del progetto nascono da convinzioni dei partner israeliani e palestinesi, che sia possibile lavorare tutti insieme per la pace. Il progetto intende quindi coinvolgere insieme giovani, educatori, insegnanti, volontari e studenti israeliani, palestinesi e italiani in un'esperienza di viaggio in barca a vela. Alcuni aspetti del progetto: Area di interesse: il mare Mediterraneo; nel progetto il riferimento al rapporto mare e terraferma, coste e porti, è essenziale per esplorare un'altra opportunità che la navigazione offre: la costruzione di saperi interculturali. Partnership: il progetto è formato da: un pater palestinese e un rappresentante dell'area territoriale italiana. A questa struttura si sono aggiunti centri di ricerca, altre NGO (organizzazioni non governative) locali e università israeliane. Tempi: il progetto è pensato per una durata di 3 anni. È prevista una prima fase di incontro e conoscenza tra i partner; una seconda fase prevede l'avvio delle esperienze in barca a vela. A cosa risponde il progetto: il contesto del conflitto: il progetto vuole collocarsi all'interno di una serie di nuove iniziative per la pace e vuole offrire un percorso nuovo di incontro, scambio e trasformazione, nonostante siano molto forti e ancora radicate, da entrambe le parti, le forme di scetticismo e opposizione a quei cambiamenti che possono portare alla convivenza pacifica tra i differenti gruppi. Come si integra il progetto con l'educazione alla pace: l'educazione alla pace cerca di far emergere da parte dei partecipanti il bisogno di parlare e discutere dei problemi concreti e quotidiani che li coinvolgono.
2,3 la formazione degli educatori Gli obbiettivi del percorso formativo sono:
Il pensiero sui diritti umani affonda le sue radici nelle grandi rivoluzioni del XVII-XVIII sec, che Godochot ha teorizzato come Rivoluzione Atlantica, ovvero di eventi accomunati dagli stessi fattori scatenanti che ha fatto emergere l'esistenza dei diritti inalienabili delle persone. Testi politici fondamentali come la Dichiarazioni statunitensi (1776-89) e la Dichiarazione francese dei Diritti dell'Uomo e del Cittadini (1789).Tuttavia queste Dichiarazioni restavano prive di meccanismi di attuazione e non estendevano i “diritti individuali” ai gruppi sociali. Nel XIX secolo, con le prime Convenzioni che abolivano la tratta degli schiavi
e, poi, con quelle sul diritto dei conflitti armati, si compiono dei significativi passi avanti nella tutela internazionale dei diritti delle persone. Durante il XX secolo, il pensiero sui diritti umani è andato sempre più sviluppandosi e diffondendosi anche grazie ai nuovi Patti e Convenzioni. L'idea di proteggere i diritti umani nasce solo nel secondo dopoguerra e non antecedente. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (UDHR), approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 ha costituito una tappa fondamentale di questo processo. Successivi siamo passati dalla promozione alla protezione dei diritti umani. La sfida attuale è entrare in quella che K.A Annan ha definito “an age of prevention”. Per quanto riguarda i diritti di bambine, bambini e adolescenti per garantire i loro diritti ci si orienta verso i sistemi nazionali di child protection, capaci di offrire soluzioni olistiche sostenibili. In questo processo, la ricerca internazionale è risultata e risulta essere uno strumento imprescindibile per la difesa dei diritti di bambine/i e adolescenti perché illumina e informa in modo significativo le politiche chiamate a tutelare e realizzare il loro diritti.
I diritti umani sono diritti fondamentali attribuiti a tutti gli esseri umani. Esistono due tipo di diritti: quelli sul cittadini, in quanto facente parte di uno stato e i diritti della persona, in quanto essere umano, indipendentemente dalla sua cittadinanza. I diritti umani sono universali e la loro universalità dipende dalla loro indivisibilità, ovvero, tutti hanno la stessa importanza, inoltre sono interdipendenti tra loro cioè reciprocamente relazionati. Soprattutto sono inalienabili, non si possono negoziare, non si possono togliere, ne si può rinunciare ad essi. Sebbene la Dichiarazione Universale parli di diritti applicabili universalmente, i particolari problemi affrontati dalle donne, dai bambini, dai gruppi indigeni e i “diversabili”, hanno spinto i governi a promuovere l'adozione di standard e di meccanismi specifici a tutela dei loro diritti. I principi della UNCRC Per quanto riguarda l'infanzia, il primo passo risale alla Dichiarazione dei Diritti del Bambino (1924) fino ad arrivare nel 1989 alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Bambini che è lo strumento internazionale principale per la tutela dei diritti umani dei bambini. Nel 2002 sono entrati in vigore due Protocolli Facoltativi:
abuso, di traffico e anche, più in generale, un supporto alla loro partecipazione. Con il concetto di child-friendly si è teso ad indicare l'importanza di rendere accessibile e fruibili ai bambini servizi e strumenti normalmente concepiti e/o percepiti come destinati agli adulti e ad offrire, quindi, sempre più ai bambini strumenti, servizi e ambienti child friendly, a disegnare materiale di advocacy e di informazione child-friendly per i bambini ed anche a rendere il contatto con le istituzioni sempre più child- friendly. In molti contesti Altri, organizzazioni locali lavorano per i diritti di bambini e adolescenti offrendo l'alternativa di un'educazione non formale cercando di compensare i gaps del sistema educativo formale. L'accesso alle life skill education e alla peer education dovrebbe essere infatti offerto a tutti i bambini e adolescenti, anche a coloro che non frequentano la scuola. La rights-based education dovrebbe essere sempre più incorporata soprattutto nei sistemi di educazione formale, infine, il potenziale positivo dell'educazione basata sui diritti non riguarda solo contesti di emergenza e/o i paesi in via di sviluppo ma si estende anche ai paesi industrializzati dove esiste la necessità di affermare i diritti di infanzia e adolescenza.
Questo lavoro nasce dalla necessità di dare una sistemazione organica e concettuale all'esperienza di stage fatta in Nicaragua, ma soprattutto nasce dalla riflessione teoriche e critiche che riguardo ai temi dello sviluppo umano locale.
Il carattere “matrifocale” della famiglia indigena ha provocato nella comunità sutiava un vero e proprio choc culturale. Infatti è l'assenza di un capofamiglia maschile, spesso dovuta all'abbandono del nucleo domestico da parte dell'uomo. Anche nei casi in cui è presente nel nucleo domestico, egli rimane assente nelle relazione affettive e simboliche, preferendo dedicarsi ad altre attività ludiche quali combattimenti di galli, il gioco delle carte, il consumo di alcolici o cercando continuamente avventure sessuali. Gli squilibri della famiglia afro-americana risalgono all'esperienza della schiavitù, ci sarebbe la dissoluzione dei rapporti tribali africani e l'allontanamento degli uomini, prima comprati o venduti secondo le leggi della piantagione, e poi, con l'abolizione della schiavitù costretti ad errare in cerca di lavoro. Ciò avrebbe portato a un indebolimento dell'autorità paterna e alla progressiva scomparse dei legami coniugali. All'interno della comunità di schiavi non esisteva la famiglia tradizionale ma una anti-famille, in cui l'uomo veniva impiegato esclusivamente per il lavoro nei campi e per la riproduzione. In qualsiasi momento poteva essere venduto e separato dalla donna che gli era stata assegnata dal padrone e dai figli nati nel frattempo, i figli pertanto erano educati esclusivamente dalla madre e dalle altre donne della comunità. Con la fine della schiavitù, in Nicaragua, le cose non cambiano sostanzialmente: si passa dal lavoro forzato ad uno stipendiato alle dipendenze del padrone. Spesso la terra è povera e non rende per cui l'uomo è costretto ad abbandonare la famiglia e a vagare in cerca di mezzi per sopravvivere. Il trauma della colonizzazione spagnola, l'imposizione del cattolicesimo e la conseguente perdita dei propri modelli politico-sociali ha dato vita alla struttura familiare “matriarcale” e a tutto quello che ne è seguito: la centralità della figura femminile e la marginalità della figura maschile; la famiglia monoparentale estesa e l'alto tasso di figli illegittimi; il dongiovannismo e l'alcolismo. Infatti la donna ha sempre una posizione centrale sia all'interno della famiglia che della società nicaraguense. La nonna materna spesso diviene la figura con maggiore autorità e ove manchi la nonna la funzione paterna è svolta dall'intera collettività femminile della famiglia e del barrio. Anche sul piano strumentale,la figura femminile si assume il compito di occuparsi del commercio, dell'attività artigianale o la coltivazione dell'orto familiare. Essa è capace di svolgere più mansioni lavorative contemporaneamente.
La revisione del testo di Pechino (giugno 2000) ha fornito lo spunto per sviluppare un ulteriore obbiettivo, ovvero quello di evidenziare come esista ancora una forte dissonanza tra ciò che è stato detto a livello teorico
e ciò che invece si riscontra a livello empirico, cioè, tutt'oggi fra le donne manca ancora, sia una consapevolezza del potere, sia una cultura del genere. Il fattore di insuccesso è quello “auto-limitazione favorita da fattori sociali”: sarebbero le donne stesse ad autolimitarsi nella loro crescita professionale e ad arenarsi in posizioni intermedie qualora intervenissero fattori che esse ritengono fattori prioritari. È necessario promuovere la presenza femminile nei centri decisionali della società ma anche sollecitare le donne stesse ad accrescere la propria autostima. La situazione di svantaggio legata all' “essere donna” è stata storicamente valutata secondo due criteri: dall'inizio degli anni '70 alla fine degli anni '80 è prevalso l'approccio WID, cioè, “donne nello sviluppo”, mentre verso la fine degli anni '80 è emerso l'approccio GID, cioè, “genere e sviluppo”. Nel primo approccio, il WID, le donne sono considerate un problema da risolvere, vittime passive che necessitano di attenzioni particolari, dunque, beneficiarie degli aiuti economici. Il presupposto dal quale si partiva era l'isolamento dei singoli problemi affrontati attraverso progetti parziali, ignorando l'interezza del quadro sociale e culturale che era alla base di questa ineguaglianza che colpiva soprattutto le donne. L'approccio GID ha individuato nel mainstreaming di comunità e nell'empowerment delle donne una strategia necessaria per contribuire allo sviluppo. Il mainstreaming riguarda la necessità di valorizzare la differenza tra uomini e donne ad un livello politico alto per conseguire dei buoni risultati per lo sviluppo; l'empawerment la necessità di intervenire a favore delle donne, come soggetti attivi nello sviluppo sia nella sfera economica che sociale. L'approccio del mainstreaming assume come un punto di partenza il fatto che esistono differenze per uomini e donne per quanto riguarda le esigenze e gli interessi, le condizioni, i percorsi e le opportunità di vita, lavoro di partecipazione ai processi decisionali. Di conseguenza, il gender mainstreaming considera i diversi impatti che ogni decisione politica può avere per gli uomini e per le donne e si propone di fare in modo che tutti i programmi e le misure adottate si orientino a perseguire una parità tra uomini e donne non solo formale, ma anche sostanziale. Questa metodologia consiste in definitiva nel “verificare la sostenibilità di genere” di un'azione, per fare questo occorrono nuovi modi di leggere la realtà economica e sociale che non misconoscono, ma anzi valorizzino come valore le differenze di genere e la capacità tutta femminile di coniugare attività produttiva e riproduttiva. A sostegno di questa doppia attività lavorativa che vi è un sapere, un saper essere e un saper fare tipicamente femminili, che caratterizzano le donne suitava come mujer di caràcter, capaci e tenaci. La valorizzazione di questi saperi può favorire il mainstreamig di comunità e assicurare vantaggi per tutti i suoi componenti.
Le donne sutiava detengono una serie di saperi tradizionali che dimostrane l'esistenza di conoscenze e di ruoli specificatamente e prevalentemente femminili. Tutti questi saperi legittimano a buon diritto e sostegno la centralità della mujer indigena nella società di Leòn. Quanto più diventa irrilevante la figura maschile, tanto più diventa centrale quella della madre o della nonna, che in questa maniera si trova a ricoprire un doppio ruolo, che trae origine dal particolare tipo di rapporto che si instaura tra madre e figlia in assenza di una figura paterna stabile. La madre diventa una figura castrante. Schiacciata dal conflitto con questa madre onnipotente, la figlia rimane in un rapporto di dipendenza e sottomissione. La riconoscenza verso questa madre tanto venerata si trasforma in una sorta di debito interiorizzato che non consente una corretta elaborazione edipica, perché il senso di colpa impedisce di rivaleggiare con la madre e di provare ostilità nei suoi confronti. La figlia cercherà di sdebitarsi con la madre che l'ha messa al mondo e allevata con sacrificio di sé, sia offrendole la propria vita, cioè, restandone dipendente psicologicamente e fisicamente, sia donandole un figlio da allevare ed educare. Il bambino che la figlia dona alla madre svolge un doppio ruolo: è il “bambino del debito” che paga il debito della figlia nei confronti della madre, e il “bambino-fallo” di quest'ultima. Questa problematica del dono alla madre, dono di sé e del figlio, si ripete di generazione in generazione e investe anche il rapporto uomo-donna. Quest'ultima sceglie di donare un figlio al proprio compagno nell'illusione di tenerlo accanto a sé ma ciò non avviene quasi mai. Tra la madre e il figlio nasce un rapporto di totale fusione. Il figlio diviene il fallo immaginario della madre e quando questi diventerà a sua volta padre, non sarà in grado di mantenere relazioni affettive stabili con una donna.
Le proposte operative nascono dalle istanze e dall'invito a definire strategie operative per la promozione turistica dell'area e per lo sviluppo umano locale, in quanto per la comunità sutiava di Leòn il turismo può essere un'efficace strumento per favorire l'empowerment femminile, cioè il ruolo attivo delle donne nello
La presente contrattazione riconsidera alcuni aspetti della esperienza di stage svolta all'interno del percorso formativo del Master in Sviluppo Umano Locale, Cultura di Pace e Cooperazione Internazionale, della Cattedra UNESCO della Università di Firenze. La formazione sul campo è stata svolta presso Guanabocoa (l'Havana, Cuba) nel 2008. La relazione famiglia-scuola-comunità territoriale viene analizzata nei suoi vari risvolti e nelle sue differenti sfaccettature. In particolare viene quindi sottolineata come la necessità di un solido rapporto di collaborazione fra le agenzie educative di base. La metodologia di ricerca utilizzata è costituita dalla Ricerca Azione Partecipativa. Lo studio partecipativo sul territorio si è basato sull'utilizzazione dei seguenti strumenti: interviste, focus group, laboratori per analizzare alcuni aspetti della realtà locale. Durante il periodo di stage sono stati quindi analizzati e studiati 3 temi fondamentali, i quali, “ Identità culturale di Guanabocoa e tradizioni locali”; “ Educazione e cura dei bambini e la famiglia”; “Medio ambiente e natura”. Nella considerazione delle problematiche educative di una realtà cubana, deve rientrare un breve accenno al sistema scolastico cubano, sono possibili due diversi itinerari. La via “non formale “ e quella “formale”. La via non formale → quando la madre non lavora si occupa del figlio che non frequenta il Circulo Infantil e all'età di 4 anni a 5 anni attraverso la figura della promotora, il bambino e la madre vengono supportati per l'inserimento alla scuola prescolare. L'insegnamento avviene prevalentemente attraverso la metodologia del gioco di partecipazione. La via formale o istituzionale → insegnamento pre-escolar 0-5 anni; insegnamento primaria 5/6-11/12 anni; secundaria 12/13-14/15 anni; pre-universitaria 14/15-17/18 anni; universitaria 5 o 6 anni.
Nel contesto culturale cubano si ritiene che un'adeguata relazione tra scuola- famiglia comunità contribuisca in modo efficacie all'educazione giovanile e alla formazione della personalità. Queste istituzioni hanno come finalità formativa, quella di orientare, trasmettere norme, tradizioni, costumi abitudini, conoscenze. Ognuna, attraverso il proprio precipuo raggio d'azione, stabilisce le regole per un comportamento adeguato, in modo che vengano interiorizzati quei valori che fanno strettamente parte della società. Ciascuna istituzione possiede un proprio incarico di carattere socio-educativo. Famiglia → processo spontaneo con prevalenza di un sistema relazionale fortemente caratterizzato dalla componente affettivo- emotiva; scuola → processo pianificato, organizzato e diretto consciamente sulla base di obbiettivi definiti e programmati. Generalmente la maggior attenzione è incentrata sui processi cognitivi, senza tralasciare quelli educativi; comunità → processo spontaneo, non sistematico, informale, il quale esercita la sua influenza fondamentale per quanto attiene soprattutto le tradizioni e i costumi. Le relazioni di carattere formale si esprimono tramite l'azione svolta dalle istituzioni, mentre quella di natura affettiva trovano espressione attraverso l'intervento di vicini ed amici di quartiere. L'impegno educativo presente nella tradizione cubana, mette in rilievo un'attività caratterizzata dall'integrazione di questi 3 processi fondamentali e si pone come condizione indispensabile in merito alla formazione e allo sviluppo di una adeguata identità culturale e di appartenenza al territorio delle nuove generazioni.
I programmi di natura intersettoriale, che coinvolgono più istituzioni permettono la sperimentazione di modelli di relazione positiva fra le differenti istituzioni. L'esperienza svolta nella Repubblica di Cuba e patrocinata dall'UNICEF , ovvero il programma Educa a tu Hijo ne costituisce un valido e concreto esempio. L'idea di fondo del programma risiede in alcune ricerche che sono state effettuate allo scopo di indagare sui prerequisiti scolastici della popolazione appartenente alla fascia della prima infanzia. La ricerca doveva fornire delle informazioni per poter attuare un programma educativo per quei bambini che non potevano usufruire di servizi istituzionali pre-scolari. Le vie di investigazione sono state:
Per autogestione si intende la situazione in cui i ragazzi si assumono la responsabilità di svolgere dei compiti richiesti e di organizzare le modalità per portare a termine quei compiti, muovendosi in autonomia e nel rispetto sia dei coetanei che degli adulti. Nel 1926 nasce l'idea della costituzione della gioventù ebraica sionista. Sin dai primi tempi il movimento si definì come un movimento educativo che si rifaceva dei valori culturali dell'ebraismo, del rinnovamento sionista e della esperienza del pionieresimo ( il termine deriva dalla parola pioniere. I primi ebrei giunti in Israele per risedervi e popolarla si chiamano pionieri ed in un certo senso venivano considerati in quel periodo come eroi o modelli da imitare). Il movimento ebraico sionista giovanile sorse come proposta naturale e spontanea, oggi, i movimenti giovanili sono strutture educative piuttosto organizzate. I movimenti giovanili offrono l'opportunità ai ragazzi di mettere i loro sentimenti e i loro ideali in azione, e di costruire dei buoni strumenti per relazionarsi con il mondo in cui si trovano, per aiutare gli altri e per dare un contributo personale allo sviluppo dello Stato di Israele e per formare una rete con altri giovani che vivono in altri Paesi, i cui ideali corrispondono o completano i loro.
L'organizzazione dei movimenti giovanili ebraici ha una direzione mondiale situata in Israele. A capo del movimento mondiale è posto un segretario generale che ha lo scopo di sincronizzare e di indirizzare l'attività del movimento nelle singole realtà ebraiche dei vari paesi e di sincronizzare le varie attività che il movimento mondiale organizza in Israele e nel mondo. Tra i compiti del direttore c'è quello di essere responsabile del rapporto di rete con gli altri direttori, di supportare i bisogni organizzativi e logistici degli interventi educativi, di seguire di persona e di organizzare seminari all'estero per la formazione teorica. Ad una altro direttore è affidata la responsabilità di tutti i programmi di preparazione che il movimento organizza in Israele. La rete prevede che un altro direttore sia invece responsabile di tutta la gestione finanziaria del movimento. Ognuno di questi direttori è responsabile di un gruppo che lo aiuta a svolgere la propria attività. Ogni centro del movimento ha una struttura più o meno identica. Il movimento è strutturato in base al metodo di autogestione diretta dei giovani, la struttura non prevede nessun coinvolgimento diretto dei genitori o di adulti, eccetto il rappresentante del movimento mondiale israeliano. A capo di ogni realtà c'è una direzione che si rinnova ogni anno a seguito di una elezione diretta. La direzione è composta da ex allievi del movimento, dai 19 anni in su, che hanno partecipato al programma di preparazione in Israele della durata di circa 10 mesi. L'autogestione si esplica attraverso le seguenti mansioni:
massima non possono entrare nell'attività per cui l'unico loro coinvolgimento è portare i figli all'attività e venire a riprenderli.
Il principio di autogestione in educazione si esprime in modo molto chiaro nell'attività del movimento giovanile ebraico nell'ambito dell'educazione non formale dei giovani. In tale ambito viene data ai giovani la responsabilità di occuparsi dell'educazione di molti altri giovani usufruendo di un esperienza pluriennale trasmessa di generazione in generazione. Il principio della democrazia è al centro di tale metodo ed è evidente soprattutto quando i giovani sono interessati a mettere in atto cambiamenti e miglioramenti. Tale principio sviluppa nei giovani la consapevolezza del significato di libertà e di indipendenza dal mondo degli adulti che li gestiscono e li orientano su cosa fare durante gli anni dell'adolescenza. La capacità di assumersi responsabilità in età giovanile e di essere coinvolti nella gestione del sistema educativo di molti giovani e la capacità di prendere delle decisioni per realizzare dei progetti educativi aiuta la crescita responsabile, attiva, creative e cooperativa.
Freire (illustre pedagogista brasiliano) nasce in un Brasile determinato a mantenere stabile la sua struttura sociale, con una classe bianca al potere e una classe più umile composta di persone con differenti colori di pelle, il Brasile ha subito per secoli la colonizzazione europea e gli abitanti hanno visto sbarcare sulle loro coste moltitudini di schiavi provenienti dall'Africa. Nel 1888 con la Legge Aurea viene posta fine alla schiavitù ma il movimento abolizionista non elabora progetti di reinserimento sociale per coloro che finalmente sono liberi. In un Brasile che ha subito prepotentemente l'invasione culturale degli europei e che quotidianamente si scontra con modelli estetici, politici e sociali lontani da gruppi etnici che ne abitano il territorio. Freire a causa della sua esperienza di povertà e del lavoro presso il SESI (dipartimento regionale del servizio sociale e industriale del Pernambuco) nella Divisione di Educazione e Cultura, sostiene sempre di più il suo pensiero di una partecipazione attiva e consapevole della classe popolare. Il punto di partenza della sua proposta educativa è lo scontro-incontro con la realtà nella quale l'educazione diventa strumento di emancipazione e liberazione dall'ombra dell'oppressione introiettata per secoli. Durante i seminari da lui tenuti per formare le famiglie dei contadini ad una pedagogia da manuale, si accorge quanto il lavoro di illustri pedagogisti possono essere citati solo come bagaglio sterile e nozionistico. Solo attraverso l'ascolto autentico dei racconti di quelle famiglie che vivono quotidianamente la fatica della precarietà si può provare a vivere un contatto che permette di sentire e vedere realmente quel contesto. “impara a parlare ascoltando”. Il fine del suo progetto di alfabetizzazione per gli adulti non è solo leggere e scrivere ma sviluppare una personale coscienza critica di quanto accade nel mondo. Il suo pensiero educativo è incentrato sull'attenzione verso l'altro, sulla solidarietà e sulla giustizia. Freire cerca di rendere ogni individuo consapevole di sé ne del suo ambiente affinché possa spendere queste consapevolezze per edificare una società di eguali. Egli sviluppa il concetto del “processo di coscientizzazione” che si ha grazie all'alfabetizzazione che abilita gli oppressi ad acquisire conoscenza e potere. Il suo impegno mira alla liberazione dell'individuo e del popolo da una situazione di ingiustizia in cui è stato relegato per opera di una classe dominante. L'educatore ha per Freire il compito di accompagnare gli educandi lungo la difficile strada del ricercare le potenzialità nascoste, aiutandoli ad uscire dalla paura e dall'oppressione del quotidiano. Freire vede l'essere umano come un progetto in divenire, un essere vivente in perenne ricerca di domande e di risposte sulla propria condizione che fugge l'immobilismo sociale e sceglie la via dell'indagine maieutica. Strumento essenziale per questo processo di indagine è l'educazione, in quanto, lo scopo dell'insegnamento è quello del problematizzare dei “corpi non vuoti, ma coscienti”. L'educazione di Freire sceglie “l'azione dialogica” portatrice di collaborazione e comunione. In questo percorso di liberazione dall'ombra dell'oppressore introiettato, è importante appropriarsi di un positivo senso di sé, ritenendosi così in grado di realizzare il bene comune, liberi da concezioni di superiorità o inferiorità. Lo stato di oppressione provoca indignazione e collera, che per Frerie hanno funzione decostruttivo-critica, mentre è necessario per l'uomo oltrepassare la fase dello sdegno per accogliere una prospettiva feconda e creatrice. Secondo Freire l'adesione dell'individuo al progetto di rinascita sociale e politica si raggiunge solo attraverso la coincidenza libera delle scelte e non può verificarsi senza la collaborazione tra soggetti. Le qualità essenziali per l'educatore sono : capacità di ascolto e di speranza, coerenza e autenticità, creatività
nell'uscire da schemi ripetitivi e non efficaci.
Il Brasile risulta essere un paese dalla doppia faccia: “casa” e “strada” sono luoghi dove ha luogo il dia a dia (giorno dopo giorno) di ogni brasiliano, la “strada” è il luogo del lavoro, dello Stato, della legge e talvolta della sorpresa, della tentazione e del tempo libero. Quando parliamo di “casa” in Brasile non si parla soltanto di una abitazione ma di uno spazio dotato di emozioni, sentimento, storia e personalità. Quando parliamo di “strada” in Brasile parliamo di un luogo in continuo movimento, un luogo di battaglia e di lotta per la propria sopravvivenza, un luogo pericoloso senza amore, rispetto o amicizia. All'interno di questo sistema si inserisce un ordine gerarchico che classifica le persone in base ad un ordine di importanza, in questo paese la relazione tra padroni e sottoposti diviene molto confusa ed è facile mantenere vivi ruoli che stigmatizzano ed emarginano. In Brasile l'ambiguità legata alla mescolanza delle varie provenienze etniche, viene condannata, perché si viene a perdere un'originale purezza, e la popolazione sporcata dalla presenza di individui “ibridi” viene potenzialmente degenerata. Sintetizzando il “bianco” è giusto e il “nero” è sbagliato. Questo stereotipo è presente anche nella realtà scolastica: i libri, i programmi di storia, i programmi didattici in genere, arte e letteratura, alimentano questo stereotipo che dà un valore superiore alla cultura del bianco- europea. La scuola passa una visione distorta della storia, una visione storica-culturale eurocentrico, riducendo per esempio lo schiavismo a una semplice esperienza di civilizzazione , necessaria per lo sviluppo di un paese. La costruzione dell'identità dei bambini passa attraverso una “caricatura della negritudine” dove loro si vedono e sono visti come: scuri di pelle, con le labbra grosse, le narici grandi e i capelli duri. In Brasile, i libri didattici non sono in grado di rappresentare le diversità culturali in forma positiva, molti rappresentano il nero imprigionato nella stigmatizzazione che la società ha fatto di lui. Il libro è uno strumento pedagogico di uso sistematico, specchio di quella che è la società e la cultura, se i suoi riferimenti al popolo afro-discendenti sono positivi, il bambino acquisisce queste informazioni, ma se i riferimenti sono negativi o stentano ad esserci, l'alunno introietta questo punto di vista e lo trasferisce al suo quotidiano.
In Brasile vi sono 3 tipi di strutture scolastiche: quella pubblica, che per la maggior parte delle scuole offre un servizio educativo scadente, quella privata che offrono un servizio migliore ma restano economicamente inaccessibili alla maggioranza della popolazione; e le scuole pubbliche comunitarie, che offrono un buon servizio alla classe sociale più vulnerabile, pur con tutti i limiti gestionali dovuti alla scarsa stabilità economica. Le scuole comunitarie sono realtà private nate dall'organizzazione di comitati di quartiere o grazie al sostegno di associazioni straniere. Oggi esistono emendamenti che legittimano e riconoscono di ritti alle scuole Pubbliche Comunitarie. Queste normative garantirebbero alle scuole comunitarie di poter essere idonee alla formazione dei ragazzi sul piano didattico. I bambini infatti frequentano le scuole comunitarie dai 3 anni, successivamente frequentano l'Ensinuo Fondamental, le nostre elementari e medie all'interno della scuola pubblica statale. In alcuni casi le scuole comunitarie possono essere riconosciute adeguate a rilasciare al termine degli studi una certificazione valida come quella rilasciata dalla scuola pubblica statale. A causa della difficoltà nel reperire fondi molte scuole comunitarie preferiscono sostenere la collettività garantendo il servizio per i bambini più piccoli e solamente un “rinforzo” (doposcuola) che si affianca al lavoro che i ragazzi svolgono nella scuola pubblica statale. Gli educatori delle scuole comunitarie cercano di dare ai bambini una visione dell'essere umano capace di costruirsi con autonomia e responsabilità, che conosce il proprio valore che è cittadino con diritti e doveri, che tiene una coscienza morale capace di forgiare una condotta in favore della vita.
L'importanza di questo studio è basata sulla necessità per gli operatori di acquisire strumenti adeguati per la
15- cronogramma delle attività → è il grafico che mostra in quale momento della durata complessiva del progetto verranno sviluppate le varie attività. 16- allegati → tutta l'informazione che si considera utile per rinforzare la proposta. Caratteristiche dei progetti i progetti costituiscono i livelli di esecuzione delle azioni, spesso sono parte di programmi di portata più ampia. I programmi a loro volta, si trovano all'interno di un piano che definisce la strategia globale. Il piano è il livello più alto dove si definiscono obbiettivi e meta globale, il programma è indirizzato a sviluppare quanto si è proposto nel piano e lo fa attraverso i diversi progetti.
Il ciclo del progetto definisce la sequenza delle azioni necessarie al corretto svolgimento di tutto il processo progettuale. Definisce le azioni chiave, le informazioni necessarie, le responsabilità di ogni livello per ciascuna fase. Le fasi di un progetto sono progressive. Inoltre si dice che è ciclico poiché la valutazione conclusiva trasferisce l'esperienza degli interventi nel disegno degli interventi futuri. Descrizione delle fasi FASE 1 → in questa fase, che è la fase di preparazione si analizza tutto ciò che interviene nell'ambito di interesse. Il contenuto può essere così sintetizzato: 1- identificazione del progetto: si analizza il contesto territoriale e settoriale identificando problemi, vincoli e opportunità ai quali l'azione di cooperazione dovrà rivolgersi. 2- studio di pre-fattibilità: rappresenta l'esito della selezione tra le possibili idee progettuali per un intervento già sottoposte a uno specifico studio di pre-fattibilità su politiche/programmi specifici in collaborazione con il Governo del paese. 3- analisi, preparazione del progetto: la fase precedente è sottoposta ad uno studio approfondito per elaborare il piano di lavoro, in cui partecipano sia i beneficiari che gli altri portatori di interesse. 4- promozione e negoziazione: la proposta è istruita dell'Ente Finanziatore e sottoposta alla decisione di concedere o meno il finanziamento. FASE 2 → in questa seconda fase si trova anche la fase centrale di esecuzione delle attività previste di produzione o servizio; in questa fase si avvia l'azione di monitoraggio. I suoi elementi possono essere sintetizzati così: 1- organizzazione: coordinamento del lavoro nel campo di azione, concretizzazione del ruolo d'ognuno degli attori. 2- contrattazione e convenzioni: si assume il personale professionista qualificato per il lavoro, si stipulano le convenzioni sia di carattere istituzionale sia di carattere individuale. 3- esecuzione: in questo punto comincia l'implementazione del lavoro, formazione del personale infrastruttura necessaria materiale ed attrezzatura. 4- supervisione e controllo: garantisce che ogni passo del lavoro sia conforme al raggiungimento degli obbiettivi proposti. 5- relazione e accompagnamento tra gli enti coinvolti: scambio di informazione, comunicazione permanente. FASE 3 → rapporto finale, valutazione finale, valutazione ex-post. 1- sviluppo del progetto: risultato del progetto, la qualità dei servizi, miglioramento della situazione indicata come problematica. 2- vita utile del progetto: può essere a breve termine, la sua definizione aiuta a trarre insegnamenti per il futuro, ci dice quanto tempo sarà sostenibile il progetto a seconda dei risultati. 3- valutazione ex-post: verifica degli effetti del progetto, si realizza analizzando ognuna delle fasi e delle attività con i rispettivi risultati e verificando inoltre la qualità dell'intervento e del monitoraggio.
Lo sviluppo umano può essere considerato il processo di cambiamento che è proprio degli esseri umani dal momento in cui nascono a quello in cui muoiono. Questi processi di cambiamento sono basati sul principio di apprendimento e di trasmissione di conoscenze da una generazione all'altra. Lo sviluppo umano nel suo aspetto più largo implica la creazione e lo sviluppo delle culture. Nessuna cultura dovrebbe essere confrontata, valutata o avere dei meriti sull'altra. Ma per molti secoli i rappresentanti della cultura occidentale hanno cercato di “rieducare” e “sviluppare” la gente nei territori colonizzati, trascurando la cultura locale, le conoscenze e i loro costumi. Essi sono evidenti soprattutto nei sistemi di governance, che sono ancora deboli, in molti casi anche dopo molti anni che il regime coloniale si è concluso. Un altro processo di sviluppo umano adottato nel XX secolo è quello rappresentato dalla crescita economica e dal miglioramento finanziario che si è cominciato a definire dopo la 2° guerra mondiale, ed è stato adottato soprattutto dai paesi usciti vittoriosi dalla guerra. Due nuove istituzioni internazionali economiche sono state formate dalle nazioni unite: la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale. A queste due organizzazioni è stato assegnato il ruolo di fornire assistenza finanziaria e tecnica di supporto e il monitoraggio internazionale, per i paesi impoveriti e danneggiati dalla guerra. Queste due organizzazioni che operano con una intenzione positiva sono controllati e influenzati dai pesi ricchi e potenti che impone le sue regole economiche e i suoi metodi di gestione dei fondi, in modo da diventare l'autorità che decide. Nel 1990 lo United Nations Development Programme ha pubblicato il primo Human Development Report (HDR) che analizza lo stato di sviluppo nei vari paesi del mondo e raccomanda l'utilizzo di nuovi metodi di valutazione e di implementazione dello sviluppo umano. Uno dei metodi per valutare lo sviluppo umano si basa sui principi definiti dal Premio Nobel Amartya Sen, che ha teorizzato lo sviluppo come la misura delle “libertà” o delle “capacità” che le persone devono possedere per promuovere o per raggiungere gli obbiettivi che stanno loro a cuore.
Il modo in cui i programmi di cooperazione hanno funzionato per molti anni è stato: i paesi ricchi industrializzati spesso con un senso di colpa e con un senso cinico di affari capitalisti, organizzano progetti di cooperazione allo sviluppo nei paesi poveri e stabilendo gli oggetti e le questioni fondamentali verso cui indirizzare i progetti di cooperazione e di sviluppo. La definizione di questo tipo di cooperazione è l a”cooperazione centralizzata” cioè la cooperazione tra i governi dei paesi donatori e dei paesi beneficiari. Altri metodi di cooperazione si sono basati sulla cooperazione internazionale nei casi di crisi, nel caso di catastrofi naturali e nei casi di epidemie. La comunità internazionale vuole sempre inviare aiuto immediato e una assistenza professionale anche quando non viene fatta una richiesta specifica di aiuto da parte dei paesi colpiti, creando a volte dei danni.
È un isola a largo delle coste sud-orientali dell'India, nell'Oceano Indiano. È una nazione libera, indipendente e sovrana. Il potere legislativo è esercitato da un parlamento, eletto su base proporzionale. Un presidente eletto dal popolo esercita il potere esecutivo e di difesa. Infine i cittadini votano per eleggere un nuovo governo ogni 6 mesi. La guerra civile ha causato grande distruzione e sofferenza, un elevato numero di morti e la presa di potere da parte di un regime quasi militare. Ci sono molte disparità a livello regionale, gran parte della ricchezza del paese è concentrata nella zona occidentale. Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) ha inserito il paese nell'elenco dei “punti caldi della fame nel mondo”, questo, è in parte dovuto al fatto che il paese non è in grado di produrre abbastanza riso per il fabbisogno nazionale ed è in parte causa delle povere condizioni delle infrastrutture per la distribuzione di cibo. L'intensificarsi della guerra civile crea un contesto difficoltoso per affrontare una potenziale crisi alimentare, inoltre, il cambiamento climatico ha accentuato ancora di più i timori riguardo alla sicurezza alimentare.