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Rissunti dellibro di istituzioni politiche, professor Bonini
Typology: Exams
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Col termine Welfare State ci si riferisce di solito al secondo dopoguerra allorquando l’arcivescovo Temple lo usò per contrapporlo allo Stato di potenza dei nazisti. È un’espressione che viene però ritenuta sinonimo di Stato sociale.
Le più note definizioni del concetto provengono da alcuni sociologi che connettono lo sviluppo del welfare state alle dinamiche proprie dei processi di modernizzazione. Sulla scia di questi studi una interpretazione capace di tener conto della dimensione politica e istituzionale è quella che lo descrive come un insieme di interventi pubblici connessi al processo di modernizzazione, che forniscono protezione sotto forma di assistenza, assicurazione e sicurezza sociale introducendo specifici diritti sociali nonché doveri di contribuzione finanziaria.
Il concetto di politiche sociali è assai ampio e varia da contesto a contesto: la tradizione anglosassone ne ha dato un’interpretazione inclusiva oltre che della previdenza e dell’assistenza sociale, della sanità, dell’istruzione. In ITA sono stati ritenuti costitutivi delle politiche sociali gli ambiti previdenziali, assistenziali e sanitari. Con il termine “previdenza sociale” ci si riferisce ai principali schemi assicurativi obbligatori (vecchiaia, invalidità), ma anche riferito al concetto di assicurazione sociale che connota la forma di intervento pubblico incentrata sull’erogazione di prestazioni standardizzate in forma automatica e imparziale in base a precisi diritti/doveri.
Con “assistenza sociale” si intendono gli interventi di carattere condizionale e discrezionale volti a rispondere in modo mirato a bisogni individuali o di specifiche categorie e proprio on questo tipo di interventi lo Stato moderno è entrato nella sfera sociale a partire dal XVI secolo e l’assistenza è un settore importante del WS che si contraddistingue per l’accertamento pubblico di alcune condizioni.
Rispetto ai vari termini indicati sembra comunque esser preferibile quello di Stato Sociale la cui nascita è connessa al processo di secolarizzazione delle finalità degli stati moderni che sviluppano politiche tese al benessere dei sudditi.
Connessa allo sviluppo dello stato sociale è anche la rivoluzione industriale e la necessità di fornire risposte socialmente compatibili (d’integrazione delle classi lavoratrici), lo stato sociale mira agli obiettivi della stabilizzazione sistemica e dell’integrazione della popolazione con la sicurezza sociale, l’uguagliamento delle posizioni e la partecipazione politico sociale.
Il suo decollo si ebbe alla fine dell’800 con l’introduzione di uno schema assicurativo obbligatorio a copertura del rischio delle malattie destinato ai lavoratori dell’industria. Il primo paese fu la GER con uno schema assicurativo che coprì rischi connessi al lavoro, vecchiaia e malattia o morte del capofamiglia. È per nel 900 che si ebbe un’ampia diffusione delle assicurazioni sociali in Europa. Dopo la GER, venne la DAN, GBR, SVE. Anche negli USA tra il 1908 e 1914 si ebbero i primi segnali sul piano delle riforme sociali.
Alla modalità autoritaria di origine bismarckiana si affiancò quella di segno liberal- democratico. I due modelli si fronteggiarono per lungo tempo furono quello inglese, volto a privilegiare le ragioni della libertà e della responsabilità individuale e quello tedesco in centrato sull’interventismo statale.
La crisi del ’29 diede una spinta ulteriore all’evoluzione delle politiche sociali in Europa e alla formulazione di nuovi approcci alle tematiche del welfare. Accanto allo sviluppo di uno stato sociale autoritario totalitario, si delineò uno stato sociale socialdemocratico.
Esemplificativo fu il caso della SVE dove si realizzò un accordo tra sindacati di lavoratori e datori da cui nacque un nuovo sistema di protezione sociale teso a tutelare tutti i cittadini. Negli USA la social security formalmente riconosciuta con la social security Act che istituiva uno schema di copertura assicurativa obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed un’indennità di disoccupazione.
Connessa ai processi di sviluppo del welfare state è la progressiva introduzione di nuovi diritti, i diritti sociali, caratterizzante l’evoluzione dello Stato nel corso del XX sec. Tale introduzione segna un nuovo legame fra cittadini e stato è nuovo fondamento di spettanze, coercizioni legittimità.
La questione sociale divampa nella tarda metà dell’800. Per il loro soddisfacimento i diritti sociali si rivolgono ai pubblici poteri e ai ceti che incarnano lo stato, nell’intento di consentire alle classi subalterne escluse di partecipare ai benefici della vita associata, redistribuendo ricchezza socialmente prodotta.
Essi presuppongono una libertà positiva – di partecipazione – e al contempo, da parte dei pubblici poteri, un comportamento attivo e non omissivo. Essi hanno la struttura di diritti di prestazione e svolgono la funzione di diritti di redistribuzione.
I diritti sociali hanno una natura intensamente politica, sfidando le stesse libertà tradizionali ed evocando la possibilità di una messa in discussione dell’ordine esistente soprattutto in relazione a quella separazione ottocentesca tra stato e società, tra pubblico e privato. Gli eventi segnati dalla grande guerra sono determinanti per il riconoscimento costituzionale dei nuovi diritti sociali per la riformulazione in termini relazionali del rapporto fra stato e società.
Comune ai diversi contesti politici europei è l’impossibilità di governare prescindendo dalla presenza dei gruppi di interesse, con i quali giungere a mediazione e contrattazione.
Tuttavia differenti sono le ragioni delle soluzioni sperimentate ovvero le finalità degli Stati a vocazione totalitaria rispetto a quelli di stampo democratico. Per ITA e GER le politiche sociali e gli interventi in ambito previdenziale ebbero il fine di indurre a una devozione attiva, superando i regimi ottocenteschi ed eliminando la sfera dei diritti e delle libertà individuali. Nel caso italiano l’uso strumentale delle risorse previdenziali avrebbe impresso una cifra peculiare alla forma del welfare: le prestazioni erogate non vennero ricondotte a diritti garantiti dei cittadini, bensì alla provvidenziale benevolenza del fascismo.
Viceversa, negli stati democratici la costituzionalizzazione dei diritti sociali sancì i principi di indivisibilità dei diritti fondamentali, civili e politici e si ispirò a una visione complessiva dei diritti di cittadinanza rispetto alla quale i diritti sociali risultano essenziali per sostenere l’esercizio pieno dei diritti civili e politici, il pieno sviluppo della persona umana.
Il fondamento dei nuovi diritti del 900 è la costituzione. In tale ottica quella di Weimar del 1919 segna il passo muovendo dal superamento del principio individualista per giungere all’affermazione della priorità del sociale.
approdo nella legge svedese con la quale nel 1913 vennero istituiti un o schema pensionistico obbligatorio per la vecchiaia dall’impronta universalistica. Successivamente in GBR si presero i primi provvedimenti per affrontare la disoccupazione sino all’assicurazione obbligatoria, si mise mano ad una riforma della legislazione sul lavoro, si giunse al provvedimento relativo alle pensioni di vecchiaia. La novità era nell’impronta universalistica sia nel fatto che solo lo stato finanziava il sistema pensionistico tramite l’incremento della contribuzione fiscale ma la legge ebbe una modesta portata economica, come avvenne anche in FRA.
Negli USA si giunse solo ai primi del 900 ad alcuni importanti provvedimenti quali l’introduzione dello schema di assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro.
Le principali novità assunte dagli esordienti sistemi nazionali di protezione sociale concernevano l’affermazione piena dell’obbligatorietà delle assicurazioni con il progressivo declino del loro carattere volontario; lo sviluppo di un nuovo schema di tutela (a copertura del rischio di disoccupazione) e l’ampiamento dei beneficiari. Questo fu dovuto soprattutto all’affermarsi di un nuovo modello di gestione delle politiche sociali di stampo liberal- democratico e all’approccio universalista affermatosi in alcune realtà.
Tra le due guerre si ebbe la maggior espansione del welfare in termini dei rischi coperti dai vari schemi assicurativi e in quelli di estensione del loro raggio d’azione. La crisi del ’ ebbe l’effetto di determinare la predisposizione di moderni programmi orientati a promuovere un intervento pubblico, una pianificazione sociale volta a soddisfare i bisogni basilari. Nei contesti autoritari fascisti il varo di innovative politiche sociali e di nuovi sistemi assicurativi fu funzionale a strategie di espansione di tipo nazionalista e imperialista, negli altri casi essi furono sorretti da un principio di libertà capace di utilizzare la potenza interventista dello stato per sorreggere il singolo in un processo di emancipazione.
Si realizzò in questo periodo il passaggio ad un sistema di governo incline a cercare consenso attraverso una contrattazione permanente tra interessi organizzati, tipico delle corporazioni.
L’avvento dello stato pluriclasse segnò la crescita di nuove amministrazioni quali quelle di protezione sociale e di direzione economica.
I problemi posti dal processo di modernizzazione e l’inadeguatezza delle soluzioni di matrice liberale portarono alla sperimentazione di soluzioni distanti dalle visioni tradizionali. Centrale fu la rottura con l’ortodossia del libero mercato e l’adozione della politica keynesiana. Il varo di misure di deficit spending accompagnato da ampie politiche di riforma previdenziale fornì i presupposti necessari per il controllo della crisi economica e per le istanze di integrazione nazionali.
La crisi economica contribuì all’evoluzione del sistema di sicurezza sociale per quanto con ritmi diversi: in USA ciò avvenne a partire dalla metà degli anni 30, in GBR dopo. Furono gli USA ad adottare politiche sociali improntate al nuovo concetto della social security nell’ambito del New Deal. Tuttavia mancò negli USA il realizzarsi di una convergenza di numerosi gruppi di interesse attorno alle politiche economiche di ispirazione keynesiana.
La socialdemocrazia scandinava fu promotrice di un sistema di protezione sociale rivolto a tutti i cittadini, del quale più tardi fu espressione il varo di una pensione popolare finanziata tramite il prelievo fiscale. In GBR tardarono le condizioni politiche e sociali favorevoli all’introduzione di politiche sociali ispirate alla social security americana e al modello universalista svedese, benché nei primi ’40 proprio da qui provenne un’importante svolta.
Con la fine della repubblica di Weimar e l’ascesa del nazionalsocialismo la GER tornò ad un sistema occupazionale accompagnato da polite sociali volte a promuovere il concetto dell’igiene razziale, a valorizzare il nucleo familiare a varare provvedimenti strumentali ad obiettivi di natura demografica e imperialista. In URSS la tutela dei lavoratori dipendenti in caso di vecchiaia malattia e invalidità, finanziata solo dallo stato, venne migliorata di gran lunga. Il sistema delle prestazioni sociali fu usato ai fini di legittimare politicamente il controllo della forza lavoro.
Il rapporto Beveridge del ’42 faceva un ulteriore passo in avanti nell’universalità della copertura e nella corrispondenza a un minimo nazionale delle uniformi prestazioni previste. Esso teorizzava un intervento dello stato come garanzia della pienezza dei diritti sociali per tutti i cittadini tramite assicurando reddito, alloggio, istruzione e cure. Il programma di sicurezza sociale disegnato nel piano venne realizzato dopo il ’45 dal governo laburista e suscitò ampia attenzione anche fuori dalla GBR.
Un ruolo decisivo ebbe la SVE dove si introdussero pensioni popolari finanziate quasi interamente dal prelievo fiscale e dove fu forte l’insistenza sui principi dell’egualitarismo, della collaborazione fra cittadini e della parità delle opportunità. Nel 1953 sarebbe subentrata una nuova legge sull’assicurazione delle malattie che avrebbe segnato il cambiamento introdotto alla fine degli anni ’50 nel settore pensionistico: l’introduzione di pensioni integrative di anzianità commisurate alla retribuzione. Se si esclude anche la GBR in Europa non riuscì il trapianto dell’universalismo sul tronco occupazionale. In FRA, BEL, GER si confermarono i tradizionali schemi previdenziali per categoria.
I due paesi seguirono due diversi percorsi: l’una universalistica mista, l’altra universalistica pura. GBR si arrese alla previdenza integrativa occupazionale non pubblica, con il risultato di uno sviluppo assai frammentato della previdenza di secondo livello, rispecchiante le differenziazioni del mercato del lavoro. La SVE aggiunse nel ’59 alla sicurezza sociale di base un secondo livello di protezione collegata al reddito. Qui si riuscì dunque a collegare il sistema consueto delle pensioni base con pensioni integrative pubbliche basate sul reddito.
Non meno rilevante furono poi fra gli ’40 e 50 l’organizzazione e lo sviluppo dell’altro grande pilastro del WS il servizio sanitario nazionale: pioniera fu la NUZ alla fine dei ’30.
Alla fine dei ’60 si poteva registrare in tutti i paesi europei una crescita cospicua delle politiche di welfare visibile nell’aumento progressivo dell’incidenza delle spese per la sicurezza sociale in relazione al PIL nazionale.
Si registrava un allargamento delle tutele sociali sia rispetto ai soggetti beneficiari, sia rispetto ai bisogni emersi, nella generalizzazione del criterio di ripartizione fondato su un patto generazionale. Le grandi mobilitazioni della fine del decennio portarono aggiuntive modificazione rispetto ai soggetti più penalizzati.
I primi anni ’20 appartengono alla fase restrittiva della politica fascista in ambito previdenziale. Aspetti rilevanti di questa iniziale politica sono rintracciabili nell’esclusione del settore agricolo dall’assicurazione contro la disoccupazione, nella sottrazione della copertura infortunistica e pensionistica a coltivatori diretti. La fase espansiva della politica previdenziale fascista coincise piuttosto con il 1926-27 ossia con le dichiarazioni della carta del lavoro.
Negli anni ’30 l’amministrazione della previdenza venne centralizzata in alcuni grandi enti pubblici (Inps fascista, inali fascista). Nel settore della maternità il fascismo predispose una serie di interventi assistenziali istituendo soprattutto l’ONMI che doveva occuparsi dell’assistenza alle donne durante la gestazione ma anche dell’assistenza sanitaria e morale ai fanciulli. Nel settore dell’assistenza venne rafforzato il ruolo del partito fascista tramite l’istituzione dell’ente per Opere Assistenziali. L’assistenza venne quindi concepita come espressione del partito unico.
A livello generale la riorganizzazione avvenuta sotto il fascismo dell’ambito assicurativo e previdenziale riguardò gli aspetti gestionali mentre invariata restò una politica di differenziazione delle spettanze che anzi venne accentuata e utilizzata dal regime ai fini del consenso sociale. Il fascismo moltiplicò forme e regimi assicurativi diversi e differenziati. Si consolidarono logiche particolaristiche-clientelari
Il regime giocò inoltre la carta della concessione di alcune provvidenze sociali contro quella del riconoscimento dei diritti politici. Si trattò di concessioni inquadrabili in un progetto di governo teso a prefigurare il corpo unico e differenziato della nazione.
Il periodo repubblicano fu un momento di forti contraddizioni per le vicende della previdenza: le spinte alla razionalizzazione e alla riforma del sistema degli enti previdenziali si scontrarono con la difficoltà di giungere a una soluzione soddisfacente al frazionamento in cui versavano le amministrazioni degli enti previdenziali si rispose con una politica insufficiente, incapace tanto di superare i tratti occupazionali, quanto di transitare verso un sistema universalistico. Vennero di fatto respinte delle proposte innovative e furono fatte scelte opposte all’universalismo. Fu osteggiata la proposta dell’unità del sistema di prestazioni tesa a superare la tradizionale differenziazione categoriale del sistema di welfare nazionale e tipica del periodo fascista.
Gli effetti del miracolo economico crearono nella seconda metà dei ’60 i presupposti per una nuova stagione universalistica. Tra la fine degli anni ’60 e i ’70 si ebbero alcune riforme quali quella della previdenza e soprattutto della riforma sanitaria. Quest’ultima configurante il nuovo sistema sanitario nazionale fu assai significativa. In un contesto nel quale la sanità era rimasta nelle mani del settore privato decisiva fu l’attuazione del regionalismo in base al quale le Regioni a statuto ordinario avrebbero avuto un ruolo fondamentale nella gestione del nuovo servizio nazionale. L’istituzione del SSN qualificò il welfare nazionale con una norma fra le più avanzate a livello mondiale. Esso era decentrato su base regionale, rivolto alla totalità dei cittadini, ispirato ai principi di uguaglianza e di uniformità di trattamento, predisposto alla tutela della salute fisica e psichica dell’individuo tramite l’erogazione di servizi di prevenzione, cura e riabilitazione. Di contro in ambito pensionistico si proseguì sulla strada della frammentazione corporativa. Sul piano dell’organizzazione amministrativa alla fine della guerra si delineò una struttura della previdenza fondata su alcuni grandi enti pubblici nazionali e numerosi enti minori.
Nel contesto di un grave ritardo, si ebbe comunque un’accelerazione negli anni ’50-’60.
Gli ultimi decenni sono stati contrassegnati dal protrarsi di queste anomalie e al contempo da alcuni tentativi di riforma, in particolare negli ’90 con il ritorno al principio contributivo di calcolo delle pensioni reintrodotto per sanare le iniquità redistributive precedenti. Tra il 2000 e il 2008 ampia parte della spesa sociale è stata ancora assorbita dal sistema pensionistico mentre le funzioni “famiglia”, “disoccupazione” e “abitazioni” risultano molto ridotte. Si tratta di una distorsione funzionale che incide sul forte divario italiano rispetto alla media europea e che costituisce uno dei principali banchi di prova delle future politiche sociali.
CAPITOLO 10: LE ISTITUZIONI POLITICHE DEL DOPOGUERRA
Al termine della guerra il Reich è notevolmente ridotto nei suoi confini e viene diviso in quattro zone di occupazione. Da qui si giungerà poi alla formazione di due stati, la repubblica federale e la repubblica democratica tedesca. Si definisce lo scenario istituzionale europeo, poi cristallizzato dal muro che formalizza la cortina di ferro e la guerra fredda. Una bipolarizzazione che si attua anche nell’estremo oriente, prima con la guerra coreana e poi con il conflitto vietnamita. In questo contesto si assiste al grido dei paesi non allineati che implorano il disarmo la libertà di autodeterminazione, la pace. Sono gli anni ’60 quelli che segnano il processo di acquisita indipendenza da parte di molte ex colonie e lo spostamento degli equilibri economici verso i paesi esportatori di petrolio.
È una fase in cui diventa fondamentale il ruolo delle organizzazioni internazionali a diversa intensità e strutturazione istituzionale.
Lo sviluppo dell’amministrazione presidenziale è accresciuto, nel dopoguerra, da istituzioni come il Council of Econimomic Advisers e il National Security Council. Le mutazioni del profilo istituzionale della presidenza si accompagnano alla crescita del big government, ovvero alle istituzioni amministrative di livello federale. Lo sviluppo della presidenza imperiale contribuisce al mantenimento del sistema basato sui due grandi partiti, attraverso l’istituzionalizzazione del gioco delle elezioni primarie a tutti i livelli. Sono le circostanze e la personalità del presidente che conferiscono il proprio stile al regime.
In ordine alla rappresentanza un emendamento del ’64 sopprime la Vote Tax. È la sanzione istituzionale delle politiche di integrazione razziale e di affermazione dei diritti civili, di abbattimento delle discriminazioni, formalizzate nel Civil right act dello stesso anno. La legislazione federale si limita a imporre lo scrutinio uninominale, cosa che favorisce il sistema delle primarie.
In ogni caso, anche nel corso della seconda metà del XX secolo si ripropone il paradosso istituzionale statunitense, amplificato dal fatto che la democrazia americana detta il tono del sistema mondiale.
ISR invece giunto all’indipendenza nel ’48, nel vivo di una guerra mai cessata. Si dota di un sistema costituzionale di tipo parlamentare. Dopo la fine della prima guerra, guidata da un governo provvisorio e diretto da Gurion, nel ’49 è eletta la prima Knesset, il parlamento monocamerale, che procede all’elezione del primo presidente della repubblica. Attraverso diversi altri conflitti regionali, la presidenza fino agli anni ’70 della guida laburista di governi di coalizione, in un ambiente elettorale proporzionale, permette comunque il consolidamento e la stabilità istituzionale; elementi che fanno spiccare l’eccezione israeliana nel quadro politico e istituzionale mediorientale.
Anche la democrazia britannica come quella USA è caratterizzata da un processo di sviluppo degli apparati. Dal punto di vista dell’assetto del sistema politico, finita la guerra si conferma il nuovo bipolarismo fra i partiti conservatore e laburista. È il Labour ad affermarsi alle prime elezioni del dopoguerra che segnano la sconfitta di Churchill. Il governo laburista realizza le grandi politiche di nazionalizzazione: Banca d’Inghilterra, Ferrovie, gas, servizio sanitario. Il governo laburista attua così il disegno di beveridge in cui si delineava lo sviluppo dello stato sociale dalla culla alla bara. Sul finire degli anni ’40 si consolida il potere el primo ministro grazie anche allo sviluppo delle strutture interministeriali e amministrative ch direttamente controlla.
La risorsa fondamentale del premier è comunque quella partitica nel rapporto biunivoco tra leadership del partito maggioritario e del governo. Infatti il bipartitismo inglese si consolida nel secondo dopoguerra, in un quadro di alternanze abbastanza regolari. In realtà esiste sempre una terza forza di consistenza assai rilevante che però ottiene una quantità ridotta di seggi.
Sotto il governo Thatcher si assiste ad un processo di riforma strutturale dell’amministrazione, con la creazione di executive agencies incaricate delle funzioni esecutive nel quadro di obiettivi politici e di risorse fissate dai dipartimenti ministeriali competenti, dotate di proprie autonomie. Parallelamente una politica di privatizzazioni ha interessato non solo le grandi imprese e i grandi servizi ma anche l’esternalizzazione di molti servizi resi nel quadro della funzione pubblica.
Sul continente europeo a occidente della cortina di ferro la fine della guerra comporta un generale processo di ricostruzione nelle monarchie olandese e scandinave, mentre in BEL comporta un ridimensionamento della figura del re tradizionalmente interventista. Fermi restando i regimi di SPA e POR, FRA e ITA avviano uno speculare programma costituente all’indomani della liberazione.
La transizione costituente in FRA inizia sotto l’egida di un’istituzione destinata a rappresentare un modello di larga fortuna nel secondo dopoguerra, il Comitato francese di liberazione nazionale. Costituisce l’istituzionalizzazione dei movimenti di resistenza recuperando la legittimità dello Stato ovvero la continuità nella discontinuità degli assetti politico istituzionali. Con De Gaulle si registra la transizione verso nuove istituzioni costituzionali, organizzando un referendum e contestualmente le elezioni dell’assemblea costituente dell’ottobre ’45 per la prima volta a suffragio universale.
Sull’assetto delle istituzioni e dell’equilibrio fra governo e parlamento si apre un dibattito che divide in profondità le forze e le culture politiche. Di fatto non si chiuderà che nel 1981.
Il testo approvato dalla prima costituente caratterizzata da un ruolo centrale dell’assemblea nazionale è bocciato da un referendum. La successiva costituzione venne votata da una modesta maggioranza.
La quarta repubblica è caratterizzata da un bicameralismo differenziato, mentre i poteri del presidente della repubblica vengono lievemente accresciuti. Per l’opposizione del generale DG e per la posizione del partito comunista non si produrrà un sistema politico stabile. Un regime di assemblea infatti richiede partiti forti e strutturati che la tradizione francese non ha mai sviluppato. Il sistema elettorale proporzionale risulta un altro fattore di instabilità, nonostante l’introduzione di un premio di maggioranza per le liste apparentate.
Il regime cade sotto il peso della guerra di Algeria. Viene così richiamato il generale nominato presidente del consiglio e investito nel giugno del’58 di pieni poteri con il diritto di elaborare una proposta di revisione completa della costituzione.
La quinta repubblica nasce con l’approvazione per referendum del nuovo testo costituzionale nell’ottobre ’58. Prevede un rafforzamento del ruolo del presidente della Repubblica, eletto da un collegio ampio e del governo, abilitato a poteri eccezionali. Sono adottate le tecniche del parlamentarismo razionalizzato che ribaltano la relazione del governo con il parlamento, ricondotto ad un bicameralismo differenziato, pur mantenendosi il vincolo fiduciario. Il cambiamento del sistema elettorale, ritornato al classico sistema uninominale con ballottaggio disegna una bipolarizzazione del sistema politico. Essa è enfatizzata dalla riforma costituzionale del novembre ’62 che introduce l’elezione diretta del presidente della repubblica. Si arriva così a un regime presidenziale in cui il capo dello stato eletto direttamente, è dotato di una forte e diretta legittimazione statale.
Anche in ITA troviamo l’azione del comitato di liberazione nazionale che stringe un compromesso con la monarchia. L’elezione dell’assemblea costituente, tenutasi contemporaneamente al referendum che comporta la scelta repubblicana, fa emergere un sistema partitico imperniato su 3 partiti di massa, la DC, il PSI e il PCI. Nel dicembre ’ l’assemblea costituente licenzia il testo di una costituzione votata a larga maggioranza.
L’assetto istituzionale previsto dalla costituzione risente del gioco dei compromessi ispirato alla necessità di abbondare nelle garanzie tra forze politiche polarizzate. Le principali novità riguardano la regionalizzazione dello stato, la creazione di una corte costituzionale e di un consiglio superiore della magistratura, il referendum popolare abrogativo delle leggi e confermativo delle riforme costituzionali. Al capo di stato vengono attribuiti poteri ricalcati sul modello del monarca costituzionale e parlamentare mente non sono previsti meccanismo di razionalizzazione del rapporto governo-parlamento. Tuttavia rispetto alla FRA i partiti italianai sono più strutturati e forti e all’instabilità ministeriale fa da contrappeso la forte stabilità degli assetti del sistema dei partiti, imperniato sulla DC. Una riforma elettorale approvata nel ’53 che prevedeva l’assegnazione di un premio alla coalizione che avesse ottenuto la maggioranza assoluta dei voti, non troverà applicazione e l’evoluzione del sistema politico sarà segnata da una progressiva aggregazione centripeta.
guerra assume il ruolo di capo del governo. La rilevanza del partito è già nota alla morte di Stalin ed esso vede il suo ruolo oggetto di costituzionalizzazione nel ’77. I soviet formalmente continuano ad esprimere l’identificazione dei governanti e governati. Da rivoluzionarie diventano istituzioni rappresentative.
Il partito resta concepito come una struttura di élite: esige dai suoi membri di interiorizzare i tratti di un’aristocrazia. Questo comporta lo sviluppo di organizzazioni di massa (sindacati)che svolgono la funzione di bacino per assicurare un reclutamento di qualità del partito stesso.
Eletto nell’85 Gorbaciov vara la perestroika (rinnovamento). Si tratta di attenuare i vincoli della pianificazione che hanno prodotto blocco e ristagno e introdurre riforme politiche che permettano un avvio di liberalizzazione economica, una certa libertà di opinione e di espressione, fino a proporre una separazione fra stato e partito. Il capo del partito sarebbe divenuto capo dello stato.
Usata per la prima volta da Tito e formalizzata da Dimitrov la “democrazia popolare” è un potere democratico che risiede nella cooperazione dei partiti politici antifascisti con un ruolo essenziale dei comunisti e delle forze della sx. non si identifica con la dittatura del proletariato di tipo sovietico.
In UNG viene proclamata la repubblica nel 1946 poi rettificata in Repubblica popolare con la costituzione del ’49 che afferma la proprietà dello stato dei mezzi di produzione, l’attuazione di un sistema di economia socialista, la posizione dominante assicurata al partito comunista. L’organo più elevato dell’autorità dello stato è l’assemblea nazionale che elegge il Presidium o Consiglio di presidenza, il Consiglio dei ministri e la corte suprema.
In POL dopo un documento provvisorio del 1947 viene approvata la costituzione del ’52. Di tutte era stato archetipo la costituzione della repubblica popolare di Bulgaria votata nel dicembre ’74, che trae diretta ispirazione da quella sovietica. Il passaggio più drammatico avviene in CEK dove più evidente si manifesta il crinale che formalizza la cortina di ferro rispetto all’adesione all’European Recovery Program nella primavera ’47. La costituzione del ’48 è approvata a prezzo dell’eliminazione fisica dell’unico ministro non comunista presente nel governo.
Data 1949 anche la costituzione ella repubblica democratica di GER per esser poi modificata nel ’68. Si tratta di un classico regime di assemblea in dialettica con il parlamentarismo razionalizzato della contemporanea costituzione della repubblica federale di cui non esita a riprendere il meccanismo della sfiducia costruttiva.
Questo testo vede fortemente attenuata l’ideologia in ragione delle diverse rivolte che interessarono vari paesi dell’est.
Se la costituzione iugoslava del ’46 esprime il modello sovietico la nuova carta del ’ afferma la rottura dottrinale con l’URSS. L’edificazione dello stato socialista è affidata al sistema dell’autogoverno gestione.
Le repubbliche e le regioni federati si collocano sullo stesso piano della federazione espressione della loro interdipendenza. L’assemblea federale è un organismo complesso a competenza generale. In realtà in un quadro di continui ritocchi al testo costituzionale
l’unico dato strutturale è il ruolo del presidente della repubblica nella persona del maresciallo tito.
La costituzione jugoslava prevede una corte costituzionale questo dimostra il forte carattere mimetico delle costituzioni delle democrazie popolari ma anche le difficoltà di funzionamento delle stesse.
Il cambiamento di regime in POR comporta un’ultima ondata di decolonizzazione che investe Guinea, Mozambico, Sao Tomè e Angola. Le loro costituzioni risentono del fascino del comunismo ed esprimono una concezione monista del potere e l’istituzionalizzazione del partito unico che corrisponde al movimento di liberazione del paese o al movimento vittorioso nel quadro di una guerra civile postcoloniale e che si impadronisce della capitale. L’appello alle masse popolari, l’affermazione del ruolo direttivo dello stato sulla società e la compressione delle libertà, come l’economia collettivista ne rappresentano i perni.
In Angola ai sensi della prima costituzione postcoloniale il partito del lavoro rappresenta la avanguardia organizzata della classe operaia cui appartiene in quanto partito marxista leninista la direzione politica economica e sociale dello stato nei cuoi sforzi per costruire la società socialista.
Questa certezza è nello stesso tempo instabilità costituzionale da parte degli stati latecomers all’indipendenza oggetto di conflitti civili che si riferiscono pr procura ai due blocchi, si riproduce in tutto l’enorme spazio decolonizzato.
il processo di decolonizzazione dell’impero francese si svolge fra due quadranti. Di quello in Indocina si è già detto in proposito del Vietnam. Anche in Algeria scoppia un lungo e sanguinoso conflitto guidato dal fronte di librazione nazionale che si intreccia con le dinamiche della V repubblica. Dopo un decennio di guerra nasce nel ’63 la repubblica democratica d’Algeria con un regime monopartitico e presidenzialista subito oggetto di un colpo di stato che stabilizza il regime. In TUN il primo presidente della repubblica si farà votare a vita le cariche di capo del partito e di capo dello stato.
La messa in opera di regimi presidenziali nella quasi totalità dei paesi dell’africa subsahariana francofona nel corso degli ’60 ha i tratti di una forma istituzionale, il regime presidenzialista. Rispetto ai regimi presidenziali risulta caratterizzato da una rapida deriva verso l’accrescimento dei poteri del capo dello stato eletti a suffragio diretto sono provvisti del diritto di scioglimento dell’unica camera.
I presidenti eletti appaiono come i padri della nuova patria spianandosi la strada verso lunghe carriere di vertice. Il secondo passaggio è l’instaurazione di partiti unici come logica della deriva presidenzialistica degli anni ’60. Il partito del presidente tende ad assorbire gli altri.
Negli oltre 40 anni dalla fine della seconda guerra i confini e i blocchi restano cristallizzati. L’orizzonte, le forme e le culture istituzionali non differiscono sensibilmente da quanto profilato nei primi decenni del 900. Un importante processo di creazione di stati evidenzia strumenti formali (le costituzioni scritte) di chiara circolazione mimetica anche se il costituzionalismo democratico occidentale, nella forma della poliarchia, finisce per rappresentare progressivamente the only game in town. La democrazia è unanimemente affermata e diversamente aggettivata.
Istituzioni di democrazia che alla fine del secolo si devono misurare con un orizzonte non più delimitato ma globale non più irradiato in senso orizzontale ma verticalizzato. Comportando questo non la fine della storia né il conflitto di civiltà ma una continua dialettica in quadri istituzionali multilivello di nuova governabilità.
CAPITOLO 11: LE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI
Le istituzioni internazionali trovano la loro origine nella seconda metà del XIX secolo, quando una serie di convenzioni dà vita ad organismi come l’Unione postale internazionale.
Ma saranno soprattutto le conferenze a segnare il passaggio ad una nuova stagione internazionale. Le conferenze dell’Aia costituiscono il primo esempio di riunioni diplomatiche periodiche di tutte le nazioni civili. Durante la seconda vi è accordo sul principio di rendere periodico il sistema delle conferenza.
Nella conferenza di pace di Versailles le esperienze di inizio secolo vengono trasfuse in più ambiziose forme organizzative, la società delle nazioni e la corte permanente di giustizia internazionale, che avrebbero dovuto garantire il mantenimento della pace attraverso la diplomazia e l’applicazione del diritto internazionale nella risoluzione delle controversie fra Stati.
Le grandi aspettative spiegano la delusione e il discredito che accompagnò il tramonto della società delle nazioni. La II guerra rese evidente la necessità di un nuovo organismo internazionale per cercare di creare un ordine stabile e duraturo nel dopoguerra.
La fase conclusiva del conflitto viene a decretare un ruolo di predominio economico militare degli USA che si accompagna alla sua rilevanza in temi di valori propugnati quali il mito della democrazia di massa.
Il 1 gennaio ’42 Roosvelt aveva apposto la firma ad una dichiarazione aperta all’adesione di tutte le nazioni che si riconoscevano nei valori della democrazia e libertà, chiamati ad aderire per rovesciare le potenze dell’Asse. Nei mesi finali della guerra l’adesione al manifesto delle Nazioni Unite divenne la condizione per poter partecipare al processo
decisionale del nuovo ordine internazionale, culminato nella conferenza di S Francisco con l’approvazione dello statuto dell’ONU.
Diversamente dl Covenant della società delle nazioni la carta dell’ONU si apriva con un eloquente preambolo in cu si dichiarava la missione della nuova organizzazione di riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti, mentre nell’art. 1 erano elencate le sue finalità quali il mantenimento della pace e la sicurezza internazionale, lo sviluppo fra nazioni di relazioni amichevoli, la promozione dei diritti dell’uomo. La macchina organizzativa si presentava come un perfezinamento della società delle nazioni di cui riprendeva la struttura tripartita assemblea-consiglio-segretariato.
Composto da 5 membri permanenti (USA,URSS, GB,FRA,CIN) e sei scelti dall’assemblea generale il consiglio aveva il potere di prendere in esame tutte le questioni internazionali che potessero minacciare la pace e aveva amplissimi poteri di intervento, dalla diplomazia, all’uso di strumenti coercitivi, fino all’uso della forza.
Il consiglio si attribuiva il monopolio dell’uso della forza in ambito internazionale e secondo lo statuto era l’unico organismo legittimato a richiedere o autorizzare interventi armati contro uno stato. Le risoluzioni del consiglio avevano carattere vincolante per gli Stati membri e potevano essere prese a maggioranza. Nessuna decisione poteva essere presa in presenza del voto contrario di uno dei membri permanenti.
L’assemblea generale era il foro universale di tutti gli stati che si riconoscevano nei valori di libertà e democrazia proposti dalla carta. Poteva votare risoluzioni che avevano puro valore politico e non vincolante per i membri, era chiamata ad approvare il bilancio annuo dell’organizzazione e approvava l’ingresso dei nuovi membri.
Il segretario, capo della struttura burocratica, si vedeva attribuite importanti funzioni politiche potendo convocare il consiglio di sicurezza e iscrivere all’ordine del giorno le questioni che giudicava opportune.
La corte permanente di giustizia internazionale proseguiva nella nuova corte internazionale di giustizia che ereditava lo statuto della precedente e la sede dell’Aia. Per essa continuava a prevalere il principio dell’acceso facoltativo.
Completavano l’organizzazione un Consiglio economico e sociale composto da 18 delegati, che doveva trattare questioni attinenti l’economia, coordinare e indirizzare l’attività delle grandi agenzie internazionali di cooperazione e i diritti umani, e il Consiglio fiduciario che doveva occuparsi della supervisione dei territori coloniali affidati in mandato ad alcuni paesi europei negli anni ’20 dalla società delle nazioni.
Dopo il 1945 la necessità di legare in maniera solidale i paesi europei era un’esigenza diffusa e condivisa. Gli anni fra il ’45 e il ’49 sono anni confusi e di grandi incertezze. Con due paesi FRA e ITA i cui partiti comunisti avevano un peso non indifferente ed esprimevano una contrarietà a forme di superamento dell’organizzazione statale che, nella logica leninista, era l’unica cornice concepibile per la rivoluzione sociale.
Nel marzo ’48 sono le Nazioni Unite a promuovere una strada di cooperazione in campo economico istituendo la Commissione economica per l’Europa, agenzia che ha come
possibilità cioè di condurre dentro quell’organo una battaglia politica di lungo periodo per acquistare consensi soprattutto fra i paesi che si stavano decolonizzando.
La morte di Stalin e l’atteggiamento più disponibile della nuova dirigenza sovietica permisero già nel ’55 di riaprire le adesioni all’ONU bloccate dai veti incrociati delle due superpotenze, divenendo così il parlamento del mondo. Da quel momento fino ad oggi per i paesi che si affacciano all’indipendenza l’ammissione alle NU rappresenta il vero riconoscimento della raggiunta indipendenza politica grazie al crescente peso dell’Assemblea, anche il segretariato rafforzò la propria autonomia dalle superpotenze, potendo contare su un’altra sponda di legittimazione.
La gestione ella crisi di Suez nel ’56 con l’invenzione dei Caschi blu, contingente armato alle dirette dipendenze del segretariato e autorizzato dall’Assemblea a presidiare il canale di Suez costituì il primo caso di peacekeeping gestito direttamente dal segretario generale.
La Francia, poco orientata verso utopie federaliste e preoccupata da una grave contingenza economica oltre che dal pericolo del risorgere della Germania, ebbe un ruolo importante nell’avviare la collaborazione tra i paesi europei verso un progetto di integrazione europea. Fu il politico e consigliere economico francese Jean Monnet a proporre un innovativo approccio di tipo “funzionalista” ai problemi politici ed economici dell’Europa: cioè ricercare
Monnet e Schumann furono i principali ispiratori di tale progetto ( Piano Schumann e Dichiarazione Schumann del 9 maggio 1950) che portò alla creazione nel 1951 della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), materie prime della produzione bellica, che segnava la nascita dell’Unione dell’industria pesante europea (Italia, Germania federale, Paesi del Benelux)^2. Organi della CECA furono l’Alta Autorità sovrannazionale dotata di ampia autonomia decisionale ed il Comitato dei Ministri con funzioni di indirizzo e controllo che deliberava alla unanimità sulle questioni di maggiore rilevanza ed a maggioranza sulle altre, oltre alla Assemblea con funzioni consultive i cui membri erano designati dai parlamenti dei paesi aderenti, con un forte significato politico, ed una Corte di giustizia per la risoluzione di controversie sulla interpretazione del Trattato
la CECA iniziò ad operare dal 1952. Incoraggiato da tale successo, il Governo francese tentò, attraverso il suo ministro della Difesa René Pleven, la carte della costituzione di un
esercito comune europeo ( Piano Pleven )quale azione di contrappeso rispetto al rischio politico del riarmo militare tedesco, considerando tuttavia che la Germania – territorio di confine con il blocco sovietico - restava una potenza industriale le cui risorse erano indispensabili per fondare un blocco militare europeo “credibile” nei confronti dell’Armata rossa. Lo scoppio della guerra di Corea 3 rendeva non più eludibile tale problema. Mentre Schumann intendeva con la CECA impedire un uso “nazionale” di risorse strategiche quali carbone e acciaio, Pleven mirava a creare un sistema di difesa comune tra i 6 paesi europei toccando quindi il problema della integrazione politica. Nel 1952, restituita alla Germania la sua sovranità politica, viene firmato il Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa dai 6 paesi già firmatari della CECA.
L’Assemblea della CED tentò di promuovere – con la istituzione dì un Comitato ad hoc - la costituzione di una vera e propria Comunità politica europea con propri organi federali, incaricata di realizzare un mercato di libera circolazione di merci, di capitali e di persone. Ma tale progetto naufragò per la rapida evoluzione della scena internazionale: la mota di Stalin e l’armistizio raggiunto in Corea rendevano meno impellente il tema della difesa europea comune e fu proprio la Francia, a questo punto, a frenare sul progetto di unione europea considerata tra l’altro come alternativa al mantenimento del proprio impero coloniale. La sconfitta francese in Indocina (Vietnam) con ritiro delle truppe francesi fornì l’occasione per un rinvio sine die il Piano per la Comunità europea di difesa.
Fu il governo italiano (Ministro degli Esteri Martino) a riprendere le fila per la integrazione economica fra i 6 paesi di Europa che giunse nel 1957 agli accordi di Roma che sancivano la nascita della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM). Il Trattato CEE poneva un obiettivo economico e politico molto ambizioso: giungere alla eliminazione delle barriere doganali interne nell’arco di 12 anni secondo un processo graduale, soggetto a periodiche verifiche, promuovendo al contempo politiche di convergenza economica fra i 6 paesi in campo industriale ed agricolo, condizione questa indispensabile per dare credibilità della abolizione dei dazi tra tali paesi.
La struttura della CEE era modellata su quella della CECA: una Commissione con compiti esecutivi, Un Consiglio dei Ministri dei paesi membri cui spettava l’indirizzo politico e le decisioni ed una Assemblea parlamentare on compiti consultivi composta da parlamentari nominati dai parlamenti nazionali a garantire simbolicamente una parvenza di rappresentanza popolare dentro le istituzioni della Comunità.
Sebbene nata con finalità di cooperazione economica tra i Paesi membri, senza velleità di costituire un nuovo soggetto internazionale, si registrarono frizioni tra la Commissione – composta da politici e funzionari sostenitori di politiche di integrazione – ed i governi