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Il Trattato di Versailles e i suoi effetti sulla ripresa economica in Europa, con un focus sulla Francia, Gran Bretagna e Germania. Il trattato mantenne l'unità della Germania occidentale, ma la ripresa produttiva stentò a consolidarsi in molti paesi, tra cui Francia, Gran Bretagna e Germania. anche della multilateralità del trattato e della politica britannica nei confronti dell'Europa orientale.
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All’indomani della Prima guerra mondiale toccava ai vincitori, e in misura minore ai vinti, il compito di affrontare il problema della ricostruzione interna e internazionale. Era stata una guerra molto diversa dalle precedenti: per la prima volta si era trattato di una guerra non solo militare, ma anche civile e di massa. Sul piano dei sentimenti e della cultura di massa, la guerra era sempre meno un fattore riguardante le classi dirigenti e i militari, perché toccava tutti i cittadini e suscitava le loro reazioni, espresse tramite il nazionalismo esasperato e l’odio verso il nemico. La guerra trasformava così anche la politica internazionale da regno della diplomazia segreta in dominio aperto al controllo democratico e creava nei governanti il bisogno di ricorrere a mezzi ingannevoli e sofisticati per conquistare un consenso pubblico divenuto indispensabile. Ci fu ovviamente anche una serie di cambiamenti sociali: molti uomini furono costretti ad abbandonare la propria vita per combattere nelle trincee e il ritorno non fu facile; esplosero infatti disoccupazione e disadattamento, che spingevano al margine della vita sociale o esasperavano le passioni politiche dei reduci: nasce il “ reducismo ” come componente della società postbellica. I mutilati e invalidi erano migliaia e si ponevano problemi di assistenza collettivi, dei quali doveva farsi carica tutta la società e che aveva costi altissimi, sia finanziari che sociali. Non meno grave era il problema delle famiglie delle vittime di guerra, private di forza lavoro utile e di redditi importanti. Vi erano poi le conseguenze economiche. Ogni paese aveva fatto sforzi enormi e sacrifici estremi per finanziare armamenti e forze armate e ora si presentava il problema della riconversione all’industria civile: in termini macroeconomici la conversione aveva irrobustito l’industria pesante e fungeva da trampolino di lancio per un ulteriore sviluppo e ammodernamento industriale, ma nel breve periodo i danni erano ingenti dato che le esigenze immediate erano di natura civile. Non meno importanti furono le conseguenze finanziarie. I paesi dell’Intesa, di cui Francia e Gran Bretagna costituivano i due più grandi mercati finanziari degli Alleati, si indebitarono con gli Stati Uniti. Inoltre ci fu la questione del troppo oneroso costo delle riparazioni da sostenere da parte tedesca e austro-ungarica. Altro fattore importante fu la rivoluzione bolscevica in Russia: il progetto di Lenin esercitava un grande fascino su tutta la sinistra europea, specialmente quella dei lavoratori. Il problema del contagio non era dunque né immaginario né semplice e tutti i paesi non erano per niente d’accordo su cosa fare in merito: seppur alla conferenza di pace non prendesse parte alcun rappresentante rivoluzionario, il timore della rivoluzione in tutta Europa fu sempre presente; la situazione doveva essere trattata con delicatezza, in particolar modo riguardo la Germania, un paese allo sfascio che rischiava di essere risucchiato dal vortice comunista russo.
La guerra lasciò dietro di sé dei cambiamenti politici ed istituzionali epocali in Europa: quattro imperi erano scomparsi o erano agonizzanti (Impero russo, Impero tedesco, Impero austro-ungarico e Impero ottomano) e dinastie che regnavano da decenni furono cancellate all’improvviso. 18 gennaio 1919! inizia la Conferenza di Parigi. I trattati della conferenza saranno cinque: Versailles (Germania), Saint-Germain (Austria), Trianon (Ungheria), Sèvres (Impero ottomano) e Neully (Bulgaria). La sconfitta subita dagli imperi centrali nel 1918 consentiva in teoria il superamento delle tensioni prebelliche a spese della Germania e in senso antitedesco. In realtà le novità maturate o manifestatesi durante la guerra limitarono la libertà di manovra dei vincitori e diedero una prima indicazione di come tutte le potenze europee non fossero più in grado di risolvere da sole i problemi legati ai trattati di pace e alla definizione dei nuovi rapporti di forza sul continente. Nel loro insieme, infatti, i trattati di Parigi cancellarono solo in parte le ragioni della guerra, come spiega il fatto che la pace dell’11 novembre 1918 non debellò la Germania in quanto stato, ma fu semplicemente un armistizio creato sulla base dei 14 punti di Wilson. In effetti non fu creato un nuovo ordine europeo e vennero invece creati nuovi motivi di antagonismo che si aggiunsero alla massa delle insoddisfazioni, nutrite dalle attese inappagate. La stessa idea di autodeterminazione dei popoli fu attuata in modo incoerente, secondo il principio della nazionalità prevalente. I trattati di Parigi non furono un atto conclusivo, ma rappresentarono solo un momento di sosta, una pausa, durante la quale le rivalità europee si riproposero in maniera esasperata fino all’autodistruzione, e i cambiamenti extraeuropei maturarono sino a presentarsi come gli elementi dominanti di una nuova situazione globale.
Il presidente americano Woodrow Wilson, che influenzò i primi mesi della conferenza, pensava che il processo di ricostruzione dell’ordine dovesse passare attraverso l’attuazione di 14 punti fondamentali, il più importante dei quali era la creazione di un’organizzazione internazionale che rendesse più facile una soluzione pacifica dei vari conflitti e rendesse possibile una risposta collettiva tale da scoraggiare gli aggressori (cosa che, prima del 1914, era affidata alla diplomazia segreta, fattore che aveva peggiorato di fatto la situazione): la Società delle Nazioni. Essa però non coglieva il problema di fondo delle rivalità europee, che avevano radici molto più profonde di quanto Wilson pensasse. Secondo il Covenant , il documento istitutivo dell’organizzazione, gli organi della Società delle Nazioni erano:
territoriale della Germania, aspetto di cui si parlò molto in seno al Consiglio dei Quattro (Clemenceau, Lloyd George, Orlando e Wilson). In particolare emersero due tesi: a) tesi americana! mantenimento dell’unità territoriale della Germania, salvo alcune compensazioni territoriali a vantaggio dei vincitori; b) tesi francese! smembramento della Germania, annessione alla Francia di Alsazia-Lorena e creazione di una Renania indipendente sotto controllo francese e belga tramite un’unione doganale. Wilson, forte dell’appoggio di Italia e Gran Bretagna, si oppose fermamente alle richieste di Clemenceau, e il trattato di Versailles mantenne a occidente l’unità della Germania:
3.2. Le riparazioni e i debiti interalleati. L’inserimento nel trattato dell’ articolo 231 , con il quale la Germania ammetteva di essere responsabile dell’aggressione bellica e si impegnava a risarcire i suoi ex-nemici, poneva il problema delle riparazioni da imporre ai tedeschi: la Germania insomma accettava così di accollarsi la maggior parte dei costi della guerra.
I francesi, delusi sul piano territoriale, cercarono di recuperare sul piano economico ciò che avevano perso su quello delle garanzie territoriali e politiche. Tutti erano interessati a far pagare la Germania, perché qualora essa non l’avesse fatto, nemmeno gli Stati Uniti avrebbero ricevuto il pagamento dei debiti da parte delle potenze dell’Intesa che ne avevano contratti molti con gli americani durante la guerra: gli europei quindi disponevano ancora di un forte mezzo di pressione sugli Usa, che erano anche legati da rapporti commerciali con l’Europa; il pagamento delle riparazioni era quindi prioritario, perché senza quello non si potevano pagare neanche i debiti. C’era però anche un altro problema: se la Germania doveva pagare, essa doveva essere messa nelle condizioni di poterlo fare, quindi il suo sistema produttivo doveva riattivarsi, per evitare che le conseguenze della crisi del dopoguerra ricadessero anche sui vincitori. Così clausole territoriali e clausole finanziarie formava un’unione indivisibile dalla cui attuazione derivava il valore del successo bellico della Francia sulla Germania. Tuttavia, quando gli Usa misero in crisi il sistema politico della garanzia e la Germania quello economico, modificando i termini dei pagamenti delle riparazioni, la Francia si rese conto che il problema tedesco si sarebbe presto riproposto ancor più minaccioso di prima.
3.3. Esecuzionismo francese e sicurezza europea. Su questa base si delinearono i due temi che avrebbero ispirato per un certo tempo la politica estera francese: l’ esecuzionismo (volontà francese di impedire che la Germania si sottraesse all’esecuzione anche minima delle clausole del trattato di pace) e la sicurezza. L’esecuzionismo era una richiesta di rigore punitivo nei confronti dei tedeschi, che però non bastò a placare i timori dell’opinione pubblica nazionale. La paura per il pericolo potenziale della Germania poneva così il problema della sicurezza, che influenzò la politica francese e le sue scelte. La sicurezza non esisteva perché la forza germanica era sostanzialmente intatta, la garanzia anglo- americana non era in vigore, la SDN era inefficace e l’Italia seguiva una politica oscillante e poco credibile. Perciò la Francia dovette preoccuparsi di costruire su basi unilaterali quella sicurezza che le garanzie internazionali non le avevano dato: tutti i governi perseguirono il medesimo scopo, quello di ottenere la sicurezza. Dopo il fallimento dei tentativi di riavvicinamento economico con la Germania fatti da Millerand e Briand tra il 1921 e il 1922 ( Conferenza di Cannes , Conferenza di Genova , Conferenza di Parigi , Conferenza di Londra ), il nuovo presidente del Consiglio nazionalista Raymond Poincaré decise per l’ occupazione della Ruhr l’11 gennaio 1923, con l’intento dichiarato di prendere “pegni produttivi” che servissero fa garanzia del futuro comportamento tedesco. L’occupazione del bacino della Ruhr ebbe il consenso italiano di Mussolini, mentre gli inglesi giudicarono l’atto francese come un grave errore politico, che avrebbe peggiorato la situazione. Il governo di Berlino, a conferma dei timori inglesi, reagì ovviamente male, enunciando la formula della “ resistenza passiva ”: rifiuto di far funzionare il sistema carbosiderurgico e interruzione di ogni pagamento delle quote di riparazioni. I francesi si resero così presto conto di essersi cacciati in una situazione di impasse strategica ed economica. La nomina di Gustav Stresemann a cancelliere tedesco (agosto 1923) diede una svolta alla situazione: egli era un realista convinto che la tensione non giovasse alla Germania, che quindi
la Germania stava uscendo dalla crisi economica e la Francia, seppur ferita diplomaticamente, si preparava a liberare una parte della Renania come previsto dal trattato di Versailles (il primo quinquennio era scaduto). Stresemann propose che la Germania potesse concedere il riconoscimento del confine renano fissato nel 1919 con la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia e l’impegno a non cercarne la modificazione con la forza: il dialogo franco-tedesco sarebbe stato poi controllato, tramite una garanzia internazionale, dall’esterno, in particolare dalla Gran Bretagna, che avrebbe avuto una funzione arbitrale. Stresemann però prese volontariamente in considerazione solo i confini occidentali, perché? Il suo piano era quello di escludere dalla garanzia i confini meridionali e orientali per poi cercare di modificarli in futuro una volta riacquisita la libertà di manovra in Europa: egli insomma faceva una concessione a ovest ora per poi guadagnarsi la fiducia degli altri attori europei e avere più libertà in futuro a est e a sud. Le intenzioni di Stresemann inoltre venivano incontro alle esigenze inglesi, condividendo le riserve britanniche rispetto a una sistemazione territoriale a est mai approvata. In pratica la proposta di Stresemann evidenziò la presenza di due categorie di sistemazioni territoriali: quelle meritevoli di una garanzia speciale (il confine franco-tedesco), che quindi non potevano essere violate perché cruciali, e quelle meritevoli di una garanzia semplice (confini tedeschi a sud e a est), che potevano essere violate in quanto quei territori non erano così importanti per l’equilibrio europeo. Stresemann, oltre a godere dell’appoggio britannico, trovò consenso anche in Aristide Briand, ora ministro degli Esteri del nuovo governo Painlevé e promotore di una normalizzazione delle relazioni fra Francia e Germania: bisognava che i due paesi diventassero partner politici e commerciali per distogliere la Germania dal pericolo sovietico e per impedire che la sola Gran Bretagna diventasse l’interlocutrice esclusiva dei tedeschi. Mussolini, inizialmente incerto sul da farsi, si fece convincere ad appoggiare il piano Stresemann dal pericolo che l’Italia rimanesse isolata dai giochi europei. 16 ottobre 1925! accordi di Locarno , firmati poi a Londra il 1° novembre. Il patto stabiliva che:
3.6. Dopo Locarno. Con la diffusione dello “ spirito di Locarno ” ebbe inizio una fase di ottimismo in Europa. Anche Locarno era stato un compromesso, apparentemente in senso antitedesco, ma in
realtà le rinunce a ovest della Germania erano finalizzate a riprendere il dialogo in merito ai confini orientali e meridionali. Briand fece grandi passi in avanti verso la riconciliazione della Germania per sottrarre le garanzie alla preponderanza britannica: propose a Stresemann di far entrare la Germania nella Società delle Nazioni in cambio del ritiro anticipato delle truppe francesi a Colonia nel 1926. 1926! ingresso della Germania nella Società delle Nazioni. Tuttavia, fin dall’aprile 1926, la Germania aveva sottoscritto un trattato di neutralità con l’Unione Sovietica, che prevedeva l’addestramento segreto delle truppe tedesche in territorio sovietico ( trattato di neutralità tedesco-sovietico , 24 aprile 1926). Comunque, con l’ingresso della Germania nel 1926, la Società delle Nazioni sembrava avviata verso una nuova epoca: non era più lo strumento dei vincitori per controllare i vinti, ma diventava davvero la sede per costruire la pace e la sicurezza internazionale. In realtà una vera riconciliazione era impossibile e Locarno era solo una pausa: seppur molto distante dalla politica aggressiva e ultranazionalistica di Hitler, quella di Stresemann era una politica che mirava alla revisione dei trattati di pace. Perciò gli accordi di Locarno non risolvevano nessun conflitto, ma sancivano semplicemente che per il momento i confini occidentali franco-tedeschi non sarebbero stati toccati. Anzi, i vecchi motivi di conflitto venivano addirittura esasperati: Francia e Gran Bretagna aumentarono la diffidenza reciproca in merito alle rispettive intenzioni di controllo continentale; l’Italia di Mussolini era insoddisfatta per la mancata concessione della garanzia del confine con l’Austria al Brennero, che testimoniava il disinteresse che la Gran Bretagna aveva verso l’indipendenza dell’Austria; infine, nell’Europa centro-orientale la nuova condizione della Germania preoccupava Cecoslovacchia e Polonia.
4.1. I limiti della ripresa europea. Durante i negoziati diplomatici, il peso dei problemi economici e finanziari era apparso in tutta la sua importanza anche perché il capitalismo occidentale doveva dare una risposta vincente alla sfida lanciatagli dalla rivoluzione russa. Capitalismo e libero mercato facevano da sfondo alla crisi politica e sociale causata dalla Grande Guerra e di certo furono anch’essi responsabili nel causarla: la guerra risultava infatti anche dalla contrapposizione fra sistemi economici non perfettamente integrati in una logica globale e viceversa impegnati a cercare ciascuno il proprio spazio a detrimento dei concorrenti. Quello capitalistico globale era un sistema omogeneo, che però si muoveva secondo linee differenti, esasperate dalle motivazioni nazionalistiche: la finanza tedesca si era contrapposta in Turchia e nel mondo coloniale a quella britannica e francese; gli Stati Uniti stavano espandendo la propria influenza in America Latina e in Europa; la Francia investiva nei paesi coloniali e in Russia. La guerra era la testimonianza dell’esasperazione di queste tendenze nazionalistiche, che interferirono con le logiche dell’opportunità economica, e aveva messo in evidenza l’esistenza di un sistema economico fatto di rapporti finanziari, monetari e commerciali tra le varie nazioni che doveva essere rimesso in funzioni dopo gli sconvolgimenti del conflitto: bisognava ricostruire un
Luglio 1920! Conferenza di Spa , alla quale si stabilisce che i pagamenti tedeschi sarebbero andati per il 52% alla Francia, per il 22% alla Gran Bretagna, per il 10% all’Italia e per l’8% al Belgio. Non viene però raggiunto un accordo sull’ammontare complessivo delle riparazioni tedesche. Aprile 1921! la Commissione per le riparazioni stabilisce che la Germania doveva pagare 132 miliardi di marchi oro (circa 31 miliardi di dollari oro), oltre a una tassa del 26% sulle esportazioni tedesche per i successivi 42 anni. Sottraendo gli 11 miliardi della valutazione dei beni di Stato ceduti dalla Germania nei territori persi e aggiungendo i 5,5 miliardi per il debito di guerra del Belgio, il totale scendeva a 126,5 miliardi. L’insieme delle riparazioni veniva diviso in tre obbligazioni: la serie A (12 miliardi) e la serie B (38 miliardi) per le quali veniva previsto un calendario preciso di pagamenti, mentre per la serie C (76 miliardi) non era prevista alcuna scadenza, cosa che generava incertezza. I tedeschi, nonostante furono costretti ad accettare il fatto per il momento, non volevano di certo pagare questa somma enorme, preparandosi ad agire in senso opposto sfruttando anche le divergenze fra i vincitori. Gennaio 1922! Conferenza di Cannes , alla quale i tedeschi ottengono una moratoria provvisoria nei pagamenti tenendo conto della grave crisi economica in cui versava la Germania. La soluzione più semplice del problema consisteva nel fatto che i tedeschi possedessero la capacità e avessero la volontà di pagare, compensando i debiti dei paesi vincitori verso gli Stati Uniti, che nel febbraio 1922 avevano introdotto una normativa che vietava la riduzione degli importi dovuti dagli Alleati. La necessità di ricevere i pagamenti dai tedeschi era quindi fondamentale sia per gli europei che per gli americani: la Germania doveva quindi essere messa in condizione di poter adempiere ai propri doveri.
4.3. La Conferenza di Genova e il trattato di Rapallo. La Conferenza di Genova fu l’estremo tentativo per far uscire il vecchio continente da questo marasma e l’iniziativa fu di Lloyd George e del ministro degli Esteri tedesco Walter Rathenau, i quali volevano parlare di due problemi principali: il reinserimento della Germania nella vita europea e la questione dell’Unione Sovietica, non ritenuta ancora totalmente distaccata dall’Occidente (soprattutto dopo il lancio della NEP). Aprile 1922! Conferenza di Genova. Il progetto di Lloyd George fallì perché non si parlò della questione delle riparazioni, che in realtà era il problema che più influenzava le relazioni internazionali e condizionava la posizione francese nei confronti della Germania (la Francia aveva dichiarato che prima avrebbe dovuto incassare le riparazioni e poi avrebbe pagato i debiti agli americani e agli inglesi). Si creò quindi un clima di divergenza profonda fra l’esecuzionismo francese e il ricostruzionismo britannico: l’intesa era impossibile e i francesi preferirono soluzioni unilaterali. La Conferenza di Genova segnò così il trionfo della politica di interesse nazionale rispetto a quella di concertazione internazionale, come dimostrò anche l’accordo russo-tedesco di Rapallo, mossa che di fatto provò che i sovietici non avevano intenzione di pagare i debiti contratti dall’Impero zarista con gli europei.
16 aprile 1922! Trattato di Rapallo firmato da Rathenau e Čičerin, secondo cui Germania e Unione Sovietica rinunciano reciprocamente ai pagamenti di riparazioni e danni di guerra e stabiliscono il reciproco riconoscimento diplomatico. L’azione unilaterale francese si risolse con l’occupazione della Ruhr, di cui si è già parlato, motivata con il riconoscimento, da parte della Commissione per le riparazioni, di un continuo ritardo tedesco nel pagamento di riparazioni in natura (carbone e pali telegrafici!). L’occupazione della Ruhr era il segno evidente della volontà di Parigi di prendersi con la forza ciò che gli spettava e della sua determinazione di non perdere i vantaggi conseguiti con la guerra cedendo dinanzi a proposte di compromesso ambigue. La resistenza passiva tedesca però fece fallire il progetto francese e Parigi dovette accollarsi il peso di sfruttare le risorse della Ruhr a costi imprevedibilmente più alti. In Germania però l’inflazione salì alle stelle, quindi tutti risultarono perdenti. Ci fu però un risultato positivo: quello di persuadere sia i governanti inglesi che gli uomini di finanza americani della necessità di una reazione che evitasse un tracollo; bisognava dimostrare insomma che il governo di un’economia di mercato era ancora possibile in un regime di finanze sane, sfatando così le profezie sovietiche.
4.4. Il piano Dawes. Nel dicembre 1923, francesi, inglesi, tedeschi e americani si misero d’accordo per creare due commissioni di lavoro: una, presieduta dal britannico Reginald McKenna, aveva il compito di indagare sulle esportazioni di capitali che i tedeschi avevano operato dopo la fine della guerra per sottrarsi all’onere dei pagamenti; la seconda, presieduta dall’americano Charles Dawes, doveva studiare il modo per ricondurre sotto controllo il bilancio tedesco, stabilizzare il marco e definire un livello di pagamenti annuali in conto riparazioni. Un aspetto importante della costituzione delle due commissioni fu l’assunzione di responsabilità da parte americana, che testimoniava che l’interdipendenza determinatasi fra il sistema finanziario europeo e quello statunitense fosse tale da imporre le sue esigenze. Agosto 1924! dopo essere stato approvato, il piano Dawes entra in vigore. Esso stabiliva:
1° luglio 1931 – 30 giugno 1932! sospensione del pagamento di debiti e riparazioni da parte della Germania, chiesta da Hindenburg e approvata da Hoover. Luglio 1932! Conferenza di Losanna : si decide di porre fine alla questione dei versamenti tedeschi con una cifra simbolica di 3 miliardi di marchi oro, cifra però mai pagata. Una volta eliminate le riparazioni, rimaneva aperta solo la questione dei debiti verso gli Stati Uniti. Gli inglesi continuarono a pagare finché poterono, mentre i francesi smisero di farlo nel 1932. Si vedeva chiaramente che la normalizzazione era molto fragile e si capì che essa era stata semplicemente l’illusione di qualche anno e che presto i vecchi conflitti si sarebbero riproposti in forma aggravata. L’ascesa al potere di Hitler nel gennaio 1933 complicò ulteriormente la situazione.
5. IL RIASSETTO DELL’EUROPA ORIENTALE E IL PROBLEMA SOVIETICO
5.1. La paura della rivoluzione. Divergenze fra i vincitori. Un altro problema importante e urgente da risolvere era quello del riassetto dell’Europa orientale, dove preoccupava molto l’ascesa del potere rivoluzionario bolscevico in Russia (Urss dal 1922). L’eco che l’appello alla rivoluzione proletaria suscitava in Europa e il pericolo di un “contagio” condizionavano le percezioni degli statisti occidentali, i quali non avvertirono adeguatamente le difficoltà interne al potere sovietico e non colsero mai il fatto che il trionfo del leninismo fu fin dall’inizio il trionfo di un potere basato sulla forza e sull’apparato burocratico. Questo potere era quindi costretto, in primo luogo, a rafforzare se stesso e le basi su cui si poggiava prima di pensare alla rivoluzione mondiale (Trotzkij vs Stalin). Inoltre, lo stesso pericolo di una diffusione della rivoluzione era infondato poiché, spenti i primi focolai di entusiasmo, il dibattito era rimasto circoscritto all’interno dei partiti socialisti, divisi fra riformisti e rivoluzionari. La paura però ebbe il sopravvento sul realismo e le scelte fatte a Parigi ne furono condizionate parecchio. C’era poi la questione della riorganizzazione del territorio dell’Europa orientale in seguito alla scomparsa di tre imperi e alla ormai prossima fine di quello ottomano: il principio wilsoniano dell’autodeterminazione ispirò le sistemazioni territoriali fatte a Parigi, ma le situazioni reali erano troppo complicate per essere risolte sulla carta e diverse etnie si erano mescolate in modo inestricabile nel corso della storia. Si creava così una situazione precaria con nuovi Stati e confini incerti, dominata dalla prospettiva dell’instabilità e dal timore del cambiamento. Nel 1920, con la chiara sconfitta dei bianchi e delle forze controrivoluzionarie in Russia, Italia, Gran Bretagna e Francia capirono che bisognava ora pensare non solo in termini di sicurezza rispetto alla rinascita di un pericolo tedesco, ma anche rispetto ad una possibile espansione del comunismo sovietico.
5.2. I trattati di pace minori: la rinascita della Polonia, la creazione della Cecoslovacchia e l’enucleazione dell’Austria. In questa situazione la posizione degli Stati intermedi diventava radicalmente diversa, perché acquistavano importanza in qualità di baluardi di difesa nei confronti di Russia sovietica e Germania. Mentre la Francia si propose come riferimento per una politica di status quo in Europa orientale, la Gran Bretagna adottò una politica assai reticente e disinteressata, poiché incapace di vedere che il
nuovo nucleo di instabilità era in realtà l’area situata a sud-est e a est della Germania e non più il confine del Reno. In termini territoriali e direttamente attinenti alla Germania, le deliberazioni assunte a Parigi riguardavano: la rinascita della Polonia, la creazione della Cecoslovacchia e la sopravvivenza di un’Austria ridotta all’osso. Quelle non direttamente attinenti alla Germania riguardavano invece: la nascita dello Stato serbo-croato-sloveno (poi Jugoslavia), la creazione dell’Ungheria, la creazione di una Romania molto più grande di prima, il riconoscimento dell’indipendenza dell’Albania, il ridimensionamento della Bulgaria e l’ampliamento dei territori di Grecia e Italia. L’Impero ottomano invece non era più considerato un problema, dato che con le guerre balcaniche del 1912-13 era stato estromesso dall’Europa, ma la questione degli Stretti era molto importante e la volontà degli europei si scontrò con la rivoluzione kemalista. 10 settembre 1919! Trattato di Saint-Germain , riguardante la sistemazione dell’ex Impero asburgico:
La nascita dello Stato austriaco era la creazione più pericolosa voluta a Parigi. Si creava infatti uno Stato sulla cui vitalità allora nessuno sarebbe stato in grado di fare previsioni realistiche: era uno Stato circondato da nemici ovunque (Cecoslovacchia, Italia, Jugoslavia), cosa che creava un motivo di attrito permanente, il cui risultato non avrebbe potuto essere se non quello di spingere gli
presupposto della sopravvivenza dell’Impero asburgico). Alla Conferenza di pace di Parigi, preso atto della caduta dell’Impero, i delegati italiani (Vittorio Emanuele Orlando e Sidney Sonnino) chiesero, oltre alla Dalmazia e all’Istria, previste dal Patto di Londra, anche la città di Fiume. Il presidente americano Wilson, che non aveva sottoscritto il Patto di Londra, si oppose sia alla cessione di tutta l’Istria e della Dalmazia all’Italia, sia alla cessione di Fiume: ne derivò un aspro scontro, anche a causa dell’umiliazione che Wilson inflisse a Orlando rivolgendosi direttamente al popolo italiano spiegandogli i motivi per cui non bisognava richiedere tali territori; Orlando e Sonnino, indignati, abbandonarono la Conferenza di Parigi (in patria si diffuse il mito della “vittoria mutilata”), sperando in un cambiamento di direzione delle trattative, che però andarono avanti senza alcuna variazione: il trattato di Saint-Germain infatti assegnò all’Italia solo Istria e Trieste, lasciando che la definizione del confine venisse rinviata ad un negoziato diretto fra italiani e slavi. E’ evidente come la politica italiana a Parigi mancasse di una visione a tuttotondo rispetto alla politica estera ed era totalmente smarrita in rivendicazioni più o meno difendibili: l’ossessione dei delegati sono le rivendicazioni territoriali in Asia Minore e nell’Adriatico. Settembre 1919 – dicembre 1920! occupazione italiana di Fiume da parte delle truppe di Gabriele d’Annunzio, che istituisce una reggenza nella città. 12 novembre 1920! Trattato di Rapallo fra Italia e futura Jugoslavia. Si stabiliva che:
Il governo Nitti volle far rispettare il trattato e il 25 dicembre 1920 irruppe a Fiume con l’esercito per scacciare gli occupanti dannunziani (“Natale di sangue”). Tuttavia, la percezione che quella di Fiume fosse una soluzione temporanea e precaria era chiara a tutti. 24 gennaio 1924! Trattato di Roma : lo Stato libero di Fiume viene diviso fra Italia, che ottiene Fiume, e Jugoslavia, che ottiene la baia di Susak. Si capisce quindi come nei Balcani i vincitori sostituirono all’ordine prebellico un sistema di rapporti che aveva il pregio di gonfiare a dismisura Romania e Jugoslavia, nessuna delle quali possedeva una capacità autonoma di consolidamento. Inoltre, questa sistemazione spezzava le alleanze della guerra, poiché scontentava profondamente l’Italia, spingendola così verso il campo degli insoddisfatti e dei revisionisti, costringendola ad adottare una politica propria nei Balcani, senza tener conto degli interessi dei suoi alleati in guerra, Francia in primis: la “vittoria mutilata” contribuì non poco all’avvento del fascismo, con Mussolini che fece del revisionismo aggressivo una delle bandiere della sua politica estera. In conclusione, al posto che creare un sistema foriero di pace, i trattati di Parigi provocarono uno stato di conflitto endemico.
7.1. Il riconoscimento diplomatico. Nel 1922 sia gli occidentali che i sovietici erano diventati più realisti: i primi avevano capito che impedire la formazione di uno Stato comunista era impossibile, mentre i secondi avevano rinunciato al progetto di rivoluzione mondiale.
Quando poi, nel 1924, Lenin morì e Stalin acquisì molto più potere iniziando a promuovere una politica economica rigidamente pianificata basata su piani quinquennali, si aprirono possibilità di normalizzazione nell’ambito delle relazioni con gli altri paesi. Tutti i paesi europei videro subito nell’Unione Sovietica una possibilità di esportare proprie merci e quindi di allargare i propri mercati: in realtà gli europei diedero un’interpretazione sbagliata del modo in cui Stalin intendeva trasformare l’economia dell’Urss. Tuttavia, gli europei fecero una vera e propria gara per garantirsi rapporti privilegiati con l’Unione Sovietica: il primo paese a riconoscerla fu la Gran Bretagna (2 febbraio 1924), seguita poi dall’Italia (7 febbraio 1924) e molte altre (gli Stati Uniti la riconobbero solo nel 1933). L’Urss rientrò così nella comunità internazionale, pur scegliendosi una posizione appartata, non entrando nella Società delle Nazioni.
7.2. Una normalizzazione circoscritta. Questo mutamento formale avevo però molti limiti: da un lato, l’idea che i paesi imperialisti volessero cogliere ogni buona occasione per riprendere l’offensiva contro l’Urss era profondamente radicata nella mentalità di Stalin; dall’altro, l’illusione che il riconoscimento provocasse un cambiamento dei metodi diplomatici sovietici o la rinuncia ai collegamenti con il comunismo internazionale si rivelò presto infondata. Un primo segnale di crisi fu il patto di Locarno del 1925, che i sovietici considerarono una mossa occidentale contro di loro per due motivi: a) nessuno si era preoccupato di tentare di coinvolgere l’Urss nel sistema di intese in fase di elaborazione; b) le clausole di Locarno erano visibilmente sbilanciate per quanto riguardava l’assetto dell’Europa orientale, con l’intenzione di imprimere al revisionismo tedesco un orientamento antisovietico. Altri motivi di contrasto furono l’ accordo franco-rumeno e l’ accordo italo-rumeno del 1926, che diedero un duro colpo alla speranza sovietica di impedire che la Romania annettesse definitivamente la Bessarabia (oggi Moldavia). Nel 1926 poi, lo sciopero dei minatori in Gran Bretagna, che durò oltre sei mesi e incoraggiò il governo Baldwin ad adottare misure restrittive contro le Trade Unions , provocò sul piano internazionale un duro scontro con l’Urss, accusata di interferire nella vita interna britannica; nel 1927, quando la polizia inglese perquisì la sede della missione commerciale sovietica per cercare prove della responsabilità sovietica nelle agitazioni, le relazioni diplomatiche tra i due paesi si interruppero. La crisi, che servì a Stalin per aumentare la coesione nazionale contro il nemico imperialista, segnò una fase di ripiegamento dell’Urss su se stessa.
8.1. I limiti di Locarno. Con gli accordi di Locarno si pensava di aver risolto una volta per tutte il conflitto franco-tedesco, ma in realtà era solo una tregua temporanea e tra l’altro l’accordo di
che con Polonia e Cecoslovacchia gli accordi erano già stati stipulati, mancavano all’appello solo Jugoslavia, Romania e, se possibile, Grecia. Gennaio 1926! accordo franco-rumeno , secondo il quale i francesi riconoscono l’occupazione rumena della Bessarabia. Settembre 1926! accordo italo-rumeno , per il quale anche l’Italia riconosce i confini rumeni con la Bessarabia. In Romania quindi le mosse francesi e italiane tutelarono gli stessi interessi e andavano nella stessa direzione. Rimaneva ora la Jugoslavia, vicina e amica/rivale dell’Italia. L’idea iniziale della Francia era quella di un accordo a tre, che comunque non avrebbe compromesso la coalizione antirevisionistica che si era costruita attorno a Ungheria e Bulgaria. Tuttavia, l’accordo a tre fu reso impossibile dall’evolvere della politica italiana in Albania e dalle reazioni jugoslave contro di essa.
8.3. La questione albanese. Il trattato fra Italia e Jugoslavia siglato nel 1924 prevedeva anche una reciproca intesa di non ingerenza in Albania. Nonostante il trattato, sia Italia che Jugoslavia avevano comunque cercato di influenzare la situazione a proprio favore; inoltre, i due protagonisti politici albanesi, il vescovo Fan Noli e il premier Ahmed bey Zogolli (detto Zogu), continuavano a cambiare fazione a seconda della comodità. 25 agosto 1925! patto militare italo-albanese , che rimane segreto e lega fortemente l’Albania all’Italia. 22 novembre 1926! alleanza difensiva italo-albanese. L’alleanza sanzionava in modo pubblico l’egemonia italiana sul paese balcanico e rendeva manifesta la scelta antijugoslava fatta da Mussolini. Infatti, la mossa italiana fu considerata dagli jugoslavi come una violazione dell’amicizia stretta nel 1924: il parlamento si rifiutò di ratificare le convenzioni di Nettuno. L’Italia rivolse la sua attenzione anche all’Ungheria, a testimonianza del fatto che la politica italiana stava prendendo una chiara svolta revisionistica. 5 aprile 1927! patto di consultazione italo-ungherese. Tutte queste mosse resero meno credibile e attuabile una possibile alleanza a tre fra Italia, Jugoslavia e Francia, con quest’ultima che decise a questo punto di prendere una strada bilaterale. Novembre 1927! trattato franco-jugoslavo. Il trattato di amicizia tra Francia e Jugoslavia non solo chiudeva il cerchio delle alleanze necessarie alla Francia per ottenere la sicurezza, ma faceva anche capire che il nuovo assetto nei Balcani era caratterizzato non dalla collaborazione ma dalla rivalità italo-francese.
8.4. Il revisionismo italiano e la situazione danubiano-balcanica. La scelta filo-jugoslava della Francia provocava la ritorsione revisionistica dell’Italia, una ritorsione alla quale Mussolini era fin troppo disponibile, avendola predicata prima ancora della sua ascesa al potere. Mussolini, nel giugno 1928, pronunciò infatti un discorso nel quale abbracciò apertamente la causa del revisionismo come una delle necessità di fondo della pace europea e come uno degli obiettivi principali della politica estera italiana.
Nonostante Francia e Italia avessero un interesse comune, quello di mantenere la sicurezza contro la Germania difendendo l’indipendenza austriaca, esse si misero in rotta di collisione nei confronti del dubbio se adempiere o modificare i trattati di pace. La politica francese era diretta contro l’Italia? Originariamente no, ma, dato che l’obiettivo francese era la sicurezza, le mosse di Parigi finirono per contrastare gli interessi dell’Italia in modo inevitabile, contrastando quindi gli interessi di fondo della Francia. Se a ciò si aggiungono gli altri problemi (scarsa democrazia in Austria, revisionismo in Ungheria e Bulgaria, conflitto Grecia- Jugoslavia), è facile concludere come Francia e Italia finirono per alimentare gli elementi di un conflitto fra di loro. In tutto ciò la Grecia, essendo più legata alla Gran Bretagna e più partecipe alla politica relativa al Mediterraneo orientale, occupava una posizione marginale. Il sogno imperialista di Venizelos, che puntava a creare una “grande Grecia” padrona del Mediterraneo orientale, era sfumato con la precipitosa occupazione di Smirne e la posizione in prime linea contro i nazionalisti turchi. La sconfitta subita dai turchi di Ismet pascià, la crisi di Corfù (agosto-settembre 1923: occupazione dell’isola da parte dell’Italia dopo l’eccidio di Giannina; il generale Enrico Tellini era a capo di una missione internazionale atta a stabilire il confine greco-albanese), la rinuncia al Dodecaneso e all’Albania e l’abbandono di Smirne saranno tra le cause della caduta della monarchia e l’avvento della repubblica nel 1924 (poi restaurata nel 1932). Nemmeno qui, pertanto, si potevano vedere i sintomi di un assetto pacifico e definito.
9.1. Gli accordi segreti di guerra. Durante la seconda metà del XIX secolo le potenze europee avevano speculato e negoziato segretamente sulla scomparsa dell’Impero ottomano. Dopo aver inizialmente rifiutato l’appoggio inglese e francese per difendere i suoi interessi sugli Stretti e nel Mediterraneo orientale, il sultano di Costantinopoli si avvicinò, di fronte al consolidamento dell’intesa anglo-francese (1904) e dell’alleanza franco-russa (1894), al Reich tedesco, intraprendendo con esso un’intensa collaborazione (vedi ferrovia Berlino-Baghdad e addestramento delle truppe ottomane gestito dai tedeschi). Questo rovesciamento delle alleanze rifletteva anche l’emergere, nel mondo arabo, ancora sotto il controllo di Costantinopoli, di un movimento nazionalista islamico fortemente ostile al dominio del sultano. Con lo scoppio della guerra, gli alleati dell’Intesa non esitarono a tramare con i nazionalisti arabi per far cadere l’Impero ottomano e spartirsi così la succulenta torta: gli accordi Sykes-Picot del maggio 1916 stabilirono due zone di influenza, una francese (Siria e Libano) e una inglese (Iraq e tutta la Palestina, comprensiva degli odierni Israele e Giordania).