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Domande e risposte per prova scritta TFA Sostegno scuola secondaria di secondo grado, Prove d'esame di TFA Sostegno

Si possono trovare argomenti più importanti per affrontare la prova scritta del TFA SOSTEGNO per la scuola secondaria di secondo grado (pensiero divergente, docente creativo, autonomia scolastica, BES e DSA, scuola, territorio e famiglia, reti scuola e tanto altro)

Tipologia: Prove d'esame

2019/2020

In vendita dal 08/02/2020

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maryyy88 🇮🇹

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Prof.ssa Maria Maceri
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COME PUO’ ESSERE DEFINITO IL PENSIERO CREATIVO
Il nostro cervello è composto da due emisferi: l’emisfero sinistro che fa capo al pensiero logico-
razionale e l’emisfero destro che invece fa capo al pensiero creativo anche detto divergente. Il pensiero
creativo è fluido, originale e non può fare a meno della nostra parte emozionale poiché le emozioni che
proviamo sono il motore psichico della nostra capacità immaginativa. Un’altra caratteristica
fondamentale del pensiero creativo è la condivisione e lo scambio di idee. In psicologia esiste una
tecnica di gruppo finalizzata a sollecitare il pensiero creativo dei partecipanti che è il brainstorming
letteralmente significa “tempesta di cervelli”: associandosi alle idee altrui senza giudicarle né passarle al
vaglio della razionalità ognuno dice tutto ciò che può venirgli in mente in relazione ad un argomento o
ad un problema, anche le ipotesi apparentemente più assurde o irrealistiche.
PENSIERO DIVERGENTE E CONVERGENTE
Il pensiero convergente è coordinato dall’emisfero sinistro del nostro cervello. Segue un percorso
logico-analitico di tipo lineare e consequenziale ed è ottimo per tutti quei ragionamenti procedurali
mediante i quali attuiamo strategie di soluzione note e consolidate per affrontare criticità che già
conosciamo. E’ un modello di pensiero tramite il quale gli individui convergono anziché discostarsene
sull’unica risposta accettabile a un problema.
Il pensiero divergente è, invece, coordinato dall’emisfero destro sede della creatività, delle libere
associazioni e del ragionamento per immagini. E’ un modello di pensiero che entra in campo quando ci
troviamo davanti ad un nuovo problema da risolvere, per il quale le procedure solitamente utilizzate
non funzionano. Questo tipo di pensiero fa appello alle qualità creative della mente ed è
multidirezionale poiché ci permette di guardare le cose da nuovi punti di vista e avere nuove soluzioni.
Secondo lo psicologo statunitense Guilford l’espressione pensiero divergente è quella più strettamente
connessa all’atto creativo. Il pensiero divergente è la capacità di produrre una gamma di possibili
soluzioni alternative per una data questione. Questo pensiero è misurato da tre indici: fluidità,
parametro quantitativo che valuta la numerosità delle idee prodotte; flessibilità che rappresenta la
capacità di adottare strategie diverse e l'elasticità nel passare da un compito a un altro che richieda un
approccio differente; originalità che è l’attitudine a formulare idee uniche e personali, differenti da
quelle prodotte dalla maggioranza.
PENSIERO LATERALE E PENSIERO VERTICALE
Lo psicologo maltese Edward De Bono ha elaborato sul finire degli anni sessanta la teoria del
pensiero laterale che viene applicata per risolvere problemi utilizzando metodi apparentemente
illogici. Il pensiero laterale pur apparendo illogico segue in realtà la logica della percezione. Il pensiero
laterale si discosta dalle considerazioni ovvie (da cui il termine“laterale”) e cerca, attraverso la creatività,
punti di vista alternativi, allontanandoci dai modelli acquisiti che usiamo di solito per ragionare. Genera
nuove idee e nuovi concetti, è stimolatore, procede per salti logici ed esplora percorsi meno probabili.
Esso è contrapposto al pensiero verticale. Quest’ultimo è quello logico o matematico, razionale,
tradizionale, analitico e sequenziale. Si basa sulle deduzioni, passando attraverso le considerazioni che
sembrano più ovvie e prevedendo una sequenza di passi, ognuno delle quali deve essere giustificata.
Questo modo di operare può inibire lo sviluppo naturale dell’idea. Pensiero laterale e pensiero verticale
possono essere avvicinati, rispettivamente, all’emisfero destro e all’emisfero sinistro del cervello e al
loro modo di affrontare diversamente le cose: il primo più creativamente, il secondo più logicamente.
Un modo di pensare, ovviamente, non deve però escludere l’altro, al contrario i due pensieri devono
essere complementari affinché riescano a supportarci nel generare le soluzioni che stiamo cercando.
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COME PUO’ ESSERE DEFINITO IL PENSIERO CREATIVO

Il nostro cervello è composto da due emisferi: l’emisfero sinistro che fa capo al pensiero logico- razionale e l’emisfero destro che invece fa capo al pensiero creativo anche detto divergente. Il pensiero creativo è fluido, originale e non può fare a meno della nostra parte emozionale poiché le emozioni che proviamo sono il motore psichico della nostra capacità immaginativa. Un’altra caratteristica fondamentale del pensiero creativo è la condivisione e lo scambio di idee. In psicologia esiste una tecnica di gruppo finalizzata a sollecitare il pensiero creativo dei partecipanti che è il brainstorming letteralmente significa “tempesta di cervelli”: associandosi alle idee altrui senza giudicarle né passarle al vaglio della razionalità ognuno dice tutto ciò che può venirgli in mente in relazione ad un argomento o ad un problema, anche le ipotesi apparentemente più assurde o irrealistiche. PENSIERO DIVERGENTE E CONVERGENTE Il pensiero convergente è coordinato dall’emisfero sinistro del nostro cervello. Segue un percorso logico-analitico di tipo lineare e consequenziale ed è ottimo per tutti quei ragionamenti procedurali mediante i quali attuiamo strategie di soluzione note e consolidate per affrontare criticità che già conosciamo. E’ un modello di pensiero tramite il quale gli individui convergono anziché discostarsene sull’unica risposta accettabile a un problema. Il pensiero divergente è, invece, coordinato dall’emisfero destro sede della creatività, delle libere associazioni e del ragionamento per immagini. E’ un modello di pensiero che entra in campo quando ci troviamo davanti ad un nuovo problema da risolvere, per il quale le procedure solitamente utilizzate non funzionano. Questo tipo di pensiero fa appello alle qualità creative della mente ed è multidirezionale poiché ci permette di guardare le cose da nuovi punti di vista e avere nuove soluzioni. Secondo lo psicologo statunitense Guilford l’espressione pensiero divergente è quella più strettamente connessa all’atto creativo. Il pensiero divergente è la capacità di produrre una gamma di possibili soluzioni alternative per una data questione. Questo pensiero è misurato da tre indici: fluidità, parametro quantitativo che valuta la numerosità delle idee prodotte; flessibilità che rappresenta la capacità di adottare strategie diverse e l'elasticità nel passare da un compito a un altro che richieda un approccio differente; originalità che è l’attitudine a formulare idee uniche e personali, differenti da quelle prodotte dalla maggioranza. PENSIERO LATERALE E PENSIERO VERTICALE Lo psicologo maltese Edward De Bono ha elaborato sul finire degli anni sessanta la teoria del pensiero laterale che viene applicata per risolvere problemi utilizzando metodi apparentemente illogici. Il pensiero laterale pur apparendo illogico segue in realtà la logica della percezione. Il pensiero laterale si discosta dalle considerazioni ovvie (da cui il termine“laterale”) e cerca, attraverso la creatività, punti di vista alternativi, allontanandoci dai modelli acquisiti che usiamo di solito per ragionare. Genera nuove idee e nuovi concetti, è stimolatore, procede per salti logici ed esplora percorsi meno probabili. Esso è contrapposto al pensiero verticale. Quest’ultimo è quello logico o matematico, razionale, tradizionale, analitico e sequenziale. Si basa sulle deduzioni, passando attraverso le considerazioni che sembrano più ovvie e prevedendo una sequenza di passi, ognuno delle quali deve essere giustificata. Questo modo di operare può inibire lo sviluppo naturale dell’idea. Pensiero laterale e pensiero verticale possono essere avvicinati, rispettivamente, all’emisfero destro e all’emisfero sinistro del cervello e al loro modo di affrontare diversamente le cose: il primo più creativamente, il secondo più logicamente. Un modo di pensare, ovviamente, non deve però escludere l’altro, al contrario i due pensieri devono essere complementari affinché riescano a supportarci nel generare le soluzioni che stiamo cercando.

Durante il brainstorming, ad esempio, si utilizza il pensiero laterale durante la fase divergente e il pensiero verticale durante quella convergente. Delineare il rapporto tra empatia e intelligenza emotiva Per empatia s’intende la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui e di entrare immediatamente in sintonia con un’altra persona. L’atteggiamento empatico si fonda sulla facoltà di comunicare e di capire l’altro. L’empatia designa un atteggiamento non di esclusione ma di comprensione dell’altro libero da preconcetti. L’empatia è strettamente collegata all’intelligenza interpersonale cosi definita dallo psicologo statunitense Gardner, ovvero la capacità di comprendere stati d’animo, emozioni e pensieri altrui. Il costrutto d’intelligenza emotiva è stato elaborato dagli psicologi Salovey e Mayer, che definirono questo tipo d’intelligenza come la capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni e di usarle per guidarle il pensiero e l’azione. Empatia ed intelligenza emotiva sono strettamente connesse poiché saper riconoscere e indirizzare le emozioni porta ad accrescere la motivazione e a migliorare le capacità relazionali, aumentando in tal modo l’empatia tra i soggetti coinvolti. Per meglio specificare, si ricorda che le cinque caratteristiche individuate dallo psicologo statunitense Golemann per descrivere l’intelligenza emotiva rientra, infatti, anche l’empatia. La reazione educativa non può prescindere dalla relazione empatica. Il docente, nel comunicare, deve possedere la capacità di valutare continuamente le reazioni anche non verbali dello studente rendendosi disponibile tanto a modificare e migliorare il suo stile comunicativo quanto a rafforzare il rapporto empatico. E’ importante per un docente esprimersi con chiarezza nel comunicare e allo stesso tempo riuscire a comprendere lo studente sapendolo ascoltare. Bisogna che s’instaura un rapporto di rispetto e di umiltà, di dialogo continuo per accogliere lo studente evitando stereotipi e l’imposizione di schemi interpretativi. Differenza tra integrazione e inclusione La differenza tra questi due termini non è soltanto lessicale. In Italia, il termine inclusione è entrato a far parte del nostro linguaggio del sistema educativo. Questo termine, però, ha generato confusione con il termine “integrazione”, di cui si è iniziato a parlare con la legge 517 del 1977 dove sono state abolite le classi differenziali e le scuole speciali per gli studenti con disabilità e si è favorito il passaggio dall’inserimento all’integrazione. Se con “integrazione” s’intende quell’approccio che prima guarda il soggetto diversamente e successivamente il contesto, con “l’inclusione” si intende invece un processo che guarda la globalità delle sfere educativa, sociale e politica e non prende in considerazione solo il singolo ma si estende il concetto di integrazione che coinvolge non solo gli studenti con certificazione ai sensi della L.104/1992, ma tutti gli studenti ed interviene prima sul contesto e poi sul soggetto. DEFINIRE I PRESUPPOSTI TEORICO METODOLOGICI PER UNA DIDATTICA INCLUSIVA La legislazione italiana attribuisce alla scuola il compito di attivarsi per portare tutti i suoi studenti al successo formativo. La scuola deve creare per tutti i ragazzi ambienti accoglienti e facilitanti, attraverso buone strategie educativo/didattiche, che possano contribuire alla crescita cognitiva e psicosociale degli alunni in situazioni di difficoltà, passando dal vecchio concetto d’integrazione, caratterizzato dal consentire e facilitare al «diverso» la maggior partecipazione possibile alla vita scolastica degli altri a quello d’inclusione, rivolto a strutturare i contesti educativi in modo tale che siano adeguati alla partecipazione di tutti, ciascuno con le proprie modalità.

Successivamente con la legge sentenza 218/1987, la Corte Costituzionale dichiarando illegittimo l’art. 28 della legge 118/71, sancisce il diritto degli allievi disabili a frequentare ogni ordine di scuola, compresa la scuola secondaria di II grado. Una svolta decisiva in materia di diritto allo studio degli allievi in situazione di disabilità, si ha con la legge quadro 104/92 la quale raccoglie norme mirate allo sviluppo delle potenzialità della persona disabile nell’apprendimento, nella comunicazione e nella socializzazione. DSA E DNSA I DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) sono quelli che presentano una precisa categoria diagnostica e sono dislessia, disortografia e disgrafia, discalculia. Invece, i DNSA (i disturbi non specifici dell’apprendimento) riguardano disabilità, concernenti più settori, ad acquisire nuove conoscenze e competenze. In altri termini, rientrano quei disturbo che non soddisfano i criteri per alcun disturbo specifico. I principali sono: il ritardo mentale, il livello cognitivo bordeline, il disturbo da deficit attentivo e da iperattività, l’autismo ad alto funzionamento o disturbo di asperger, i disturbi d’ansia, alcuni quadri distimici ossia depressivi, le diprassie. La dislessia, cioè disturbo della lettura, intesa come abilità di decodifica del testo. La disortografia, cioè disturba della lettura, è intesa come abilità di codifica fonografica e competenza ortografica. La disgrafia, cioè disturbo nella grafia, è intesa come abilità grafo-motoria. La discalculia, cioè disturbo nelle abilità di numero e calcolo, è intesa come capacità di comprende e operare con i numeri. DIDATTICA PER LO STUDENTE SORDO Per uno studente sordo si necessita anzitutto un ambiente di classe stimolante e animato dove ci avvale di riviste e strumenti tecnologici. Poi gli insegnanti di sostegno devono promuovere una buona comunicazione in classe e fare in modo che lo studente riesce ad esprimersi anche attraverso la lingua dei segni. La progettazione dell’unità didattica deve terne conto delle conoscenze culturali e della competenza linguistica dello studente, cercare di far arricchire il suo lessico, l’insegnante deve anche anticipare allo studente sordo gli argomenti che saranno tratti per tutta la classe. DIDATTICA STRATEGIA DISTURBO SPETTRO AUTISTICO Per disturbi dello spettro autistico s’intende una seria di disturbi che colpiscono le abilità sociali e di comunicazione, e in modo differente le abilità motorie e linguistiche. Si tratta di uno spettro variabile, che può comprendere sia persone con alto quoziente intellettivo che non ritardo mentale. Una strategia utilizzata è quella del video modeling in cui vengono fatti vedere dei filmati che riguardano il modo di comportamento in certi contesti e a conclusione della visione del filmato, vengono coinvolti i compagni di classe che imitano i comportamenti avvenuti nel filmato. Inoltre è necessario che ci sia una classe organizzata in quanto l’alunno non deve sentirsi in un contesto caotico e sconosciuto, inoltre deve utilizzare schemi visivi per far vedere l’attività da fare. Altre strategie sono: il rinforzamento differenziale, che vede la riduzione del comportamento problema non viene perseguita con la punizione o il rimprovero, ma attraverso il rinforzo di comportamenti diversi da quelli non adatti; l’estinzione, strategia che prevede che l’insegnante sistematicamente lo studente che compie certe azioni, mantenendo un comportamento calmo e impassibile.

La strategia del token economy (economia simbolica) utilizza dei rinforzatori simboli, esempio gettoni, che servono come rinforzanti in quanto vengono scambiati per acquistare prestazioni richieste ma lo studente può anche perderli se utilizza comportamenti inadatti. Didattica per studenti con ADHD ADHD ha una causa neurobiologica e genera difficoltà di pianificazione, apprendimento e socializzazione con i coetanei. Tale disturbo comporta la difficoltà a relazionarsi e in casi più gravi l’abbandono scolastico. L’insegnante, in questo caso, deve porsi in modo autorevole e facendo in modo che l’alunno impari a conoscere il proprio ambiente dove ci sono delle regole e una routine cosicchè si crea un ambiente tranquillo e rassicurante nonché prevedibile. PEI (Piano educativo individualizzato) È il documento dove vengono descritti e integrati gli interventi predisposti per gli alunni con disabilità con certificazione secondo la legge 10 4 / 19 92. E’ obbligatorio per: alunni con disabilità sensoriali, motori, psicofisici e spettro autistico. PDP (Piano didattico personalizzato) E’ obbligatorio per DSA, per gli alunni con altri BES, esempio alunni con svantaggio socioeconomico e socioculturale. La scuola sceglie, insieme alla famiglia, se redigere o meno un pdp. Altri disturbi specifici sono: ADHD, disprassia (disturbo della coordinazione motoria), disturbo non verbale, disturbo del linguaggio, bordeline cognitivo o funzionamento cognitivo limite, disturbo lieve dello spettro autistico. Sindrome di down è una malattia genetica con la caratteristica di avere un comosona 21 in più rispetto alla normale coppia (pei). Bordeline cognitivo si tratta di ragazzi con QI globale risponde a una misura che va dai 70 agli 85. E’ legato a fattori neurobiologici. Si tratta di una forma lieve di difficoltà. Sindrome dell’X fragile è la più comune causa di ritardo mentale dopo la sindrome di down ed è provocata dall’alterazione di un gene situato sul cromosoma X. Le conseguenze della malattia sono ritardo mentale moderato o grave, ritardo nello sviluppo psichico-motorio, turbe del carattere e del comportamento, difficoltà del linguaggio. Sindrome di turner (disgenesia gonadica) interessa esclusivamente soggetti di sesso femminile e dipende da un’anomalia del cromosoma sessuale X. La manifestazione è la bassissima statura.. non comporta ritardo mentale ma possono esserci deficit visivo motori e visivo spaziali. Sindrome di duchenne è causata dall’assenza di una proteina, la distrofina, e si manifesta intorno ai 3 anni quando il bambino inizia ad avere difficoltà a correre, salire le scale, alzarsi da terra. Ha un deficit cognitivo e può insorgere difficoltà di apprendimento di linguaggio. Sindrome di Marfan è disturbo ereditario del tessuto connettivo che colpisce ossa e legamenti, occhi, cuore e vasi sanguigni e polmoni.

"facilitatore” di cambiamenti strutturali nei discenti che non riguarda la compensazione di particolari comportamenti, singole abilità o specifiche competenze, ma qualcosa che interessa direttamente la struttura dei processi mentali e, proprio per questo, rimane stabile nel tempo, sviluppare la capacità di riflettere su questi processi per divenire sempre più autonomi nell’affrontare situazioni nuove. LA DIDATTICA LABORATORIALE Lo sviluppo della didattica laboratoriale si deve a Dewey (learning by doing- FACCIAMO PRATICA) che addirittura fondò a Chicago una scuola laboratorio per attuare le sue idee di scuola attiva. Le più recenti norme legislative italiane relative alla riforma della scuola fanno più volte riferimento al laboratorio inteso come «momento in cui l’alunno è attivo, formula le proprie ipotesi e ne controlla le conseguenze, progetta ed esperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a raccogliere dati e a confrontarli con le ipotesi formulate, negozia e costruisce significati interindividuali, porta a conclusioni temporanee e a nuove aperture la costruzione delle conoscenze personali e collettive» o, in altre parole come una «modalità di lavoro che incoraggia la sperimentazione e la progettualità». La didattica laboratoriale non va confusa con la «didattica in laboratorio» in quanto indica un approccio diverso alla lezione che serve per rendere lo studente protagonista del proprio apprendimento assieme ai compagni, e quindi favorire le sue conoscenze a partire da esperienze collettive. La didattica laboratoriale non ha bisogno del laboratorio inteso come ambiente specifico nel quale sono presenti attrezzature, oggetti e strumenti per la realizzazione pratica di una qualche cosa materiale. La didattica laboratoriale è caratterizzata dai seguenti elementi:

  • Modalità di conduzione del processo di insegnamento/apprendimento che si fonda sull’attribuzione agli studenti del ruolo attivo di “costruttori “ della propria conoscenza.
  • Il laboratorio è un ambiente di apprendimento (non un luogo fisico!) nel quale si utilizza prevalentemente il metodo della ricerca, ovvero della soluzione di problemi attraverso la sperimentazione concreta che procede per ipotesi, prove ed errori.
  • I compiti proposti sono sempre legati alla vita reale, pertanto lo studente ha l’occasione di mettere alla prova ciò che sa e di mobilitare e coniugare le proprie conoscenze e abilità per trasformarle in competenze.
  • Nel laboratorio l’azione educativa si sposta dall’insegnamento all’apprendimento, si “impara facendo” e in tal modo si realizza un apprendimento attivo e significativo.
  • L’attività laboratoriale ha delle ricadute positive anche sull’aspetto relazionale poiché la conoscenza si costruisce in modo collaborativo.
  • L’insegnante avrà più che altro un ruolo di guida, di consulenza, di facilitazione, alla maniera dello “scaffolding” di Bruner per cui il docente rappresenta un adulto competente che offre al discente un’impalcatura di sostegno per le nuove acquisizioni.
  • La valutazione avrà a oggetto le competenze che il laboratorio vuole sviluppare; dovrà basarsi sull’osservazione e considererà sia il prodotto che, soprattutto, il processo, in un’ottica di flessibilità che consenta eventualmente al docente di ridefinire in itinere il processo.
  • Il laboratorio è dunque un ambiente di apprendimento integrato, nel quale tutte le discipline di studio si intrecciano e gli studenti possono mettere in campo risorse e intelligenze diverse. PROBLEM SOLVING (BRUNER- COSTRUTTIVISMO) Ogni individuo, nella sua vita quotidiana deve affrontare una serie di problemi per i quali deve trovare una soluzione. Molto spesso le decisioni vengono prese in maniera semplice, senza dovere ricorrere a

complicati ragionamenti, altre volte è necessario ricorrere a un esame accorto del problema per poterlo risolvere. Il problem solving rappresenta la procedura standardizzata per arrivare a capo della situazione problematica che bisogna chiarire. Il problem solving serve per trovare quella soluzione che era precedentemente sconosciuta. Sembra inutile affermare che la procedura di risoluzione del problema nasce solo dopo che il problema è stato individuato e che l’individuazione del problema deve comportare una sua strategia risolutiva che lo possa eliminare o aggirare. L’acronimo FARE (Focalizzare, Analizzare, Risolvere, Eseguire) può essere utile per ricordare le fasi principali del problem solving. IL MASTERY LEARNING Il mastery learning, la cui traduzione italiana suona apprendimento per la padronanza, al suo apparire fu giudicato rivoluzionario in quanto metteva in crisi le impostazioni tradizionali della didattica che prevedevano un modello di allievo ipotetico; il metodo nuovo, invece, prendeva in considerazione le caratteristiche reali ed effettive degli alunni e adattava alle loro esigenze le proposte formative. Tale strategia, pur se ha radici più profonde, fu proposta inizialmente da Carrol nel 1963, è stata ripresa da Bloom nel 1968 e messa a punto definitivamente da Block nel 1971-73. Essa si basa sul fatto che ogni studente arriva a padroneggiare un insegnamento ricevuto solo se egli ha a disposizione il tempo necessario ai suoi ritmi di apprendimento. Secondo Carrol ogni alunno ha un’attitudine diversa per le varie materie ed è proprio essa che rende più o meno rapido un apprendimento. IL TUTORING Con il termine tutoring s’intendono tutti gli interventi che sostengono o aiutano un individuo, o un gruppo di individui, che si trova in condizioni di disagio, in varie situazioni di apprendimento (scuola, lavoro, apprendimento a distanza). In ambito scolastico il tutor è un docente che si pone a disposizione del singolo alunno per accogliere le sue esigenze a livello psichico e cognitivo. PEER EDUCATION Una forma particolare di tutoring è la peer education che prevede che sia un membro di un gruppo a svolgere un ruolo di educatore nell’ambito del medesimo gruppo. Il termine peer ha il significato di «pari» e quindi può essere inteso come «coetaneo», ma la parità, oltre che per l’età, può anche essere intesa come identità di genere, di status sociale, di etnia ecc PEER TUTORING VYGOTSKY e concetto di zona prossimale di sviluppo è definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale, che può essere raggiunto con l'aiuto di altre persone, che siano adulti o dei pari con un livello di competenza maggiore.

  • Metodologia didattica che sollecita gli alunni a utilizzare le proprie competenze ed abilità per aiutare compagni meno esperti.
  • I piccoli gruppi vengono formati in modo che vi sia la presenza di un alunno con maggiori abilità (tutor), che svolge la funzione di insegnante, e quella di un soggetto meno esperto (tutee), che apprende (nel gruppo di Tizio sarà infatti presente anche il suo compagno di banco che spesso lo aiuta nelle consegne ).
  • Il valore aggiunto del tutoring sta nel fatto che tale approccio va a beneficio non solo del tutee ma anche del tutor, in quanto in grado di favorire gli aspetti sia didattici che emotivi e

Il candidato parli dell’ampliamento dell’offerta formativa nella scuola dell’autonomia. La legge 440 del 1997 ha istituto un fondo per l’ampliamento dell’offerta formativa destinato alla piena realizzazione dell’autonomia scolastica, prevista dalla legge 59 del 1997 all’art. 21. In riferimento all’ampliamento dell’offerta formativa, le attività didattiche possono essere ampliate e integrate da iniziative che non sono semplici aggiunte al programma scolastico ma risultano inserite nella programmazione educativa e didattica di ciascuna classe. Esse favoriscono i collegamenti interdisciplinari e contribuiscono a garantire lo sviluppo cognitivo, affettivo e relazionale dello studente. Oltre le attività didattiche destinate agli studenti, in coerenza con gli obiettivi dell’offerta formativa delle singole istituzioni scolastiche, gli insegnanti possono svolgere anche attività didattiche rivolte al pubblico di adulti in relazione alle esigenze formative provenienti dal territorio. Finalità, tecniche e strumenti per la valutazione diagnostica La valutazione è disciplinata dalla legge 169 del 2008 volta a verificare il rendimento e il comportamento dello studente. Dalla valutazione gli insegnanti ricavano le informazioni decisive per migliorare il processo di insegnamento/apprendimento e per calibrare i percorsi formativi sulla base delle caratteristiche cognitive affettive e motivazionali di ogni studente. La valutazione ha una funzione diagnostica, una funzione formativa e una funzione sommativa. La valutazione diagnostica (detta anche iniziale) è finalizzata a conoscere la situazione di partenza del percorso didattico dello studente. Generalmente all’inizio di un nuovo corso di studi o del nuovo anno scolastico, gli insegnanti accertano il livello di apprendimento degli studenti in relazione alle conoscenze acquisite nell’anno scolastico precedente e ai contenuti da affrontare nel nuovo anno scolastico. Rientrano nella valutazione diagnostica molte tipologie di prove che valutano diverse caratteristiche degli studenti: la motivazione scolastica, i livelli di attenzione, gli interessi, le capacità cognitive, gli stili di apprendimento, etc. Molto utili per la valutazione troviamo come strumenti i questionari, le prove strutturate, i test d’ingresso da somministrare agli studenti. Valutazione formativa (o in itinere ) è finalizzata a valutare i progressi dello studente rispetto agli obiettivi da raggiungere e ai traguardi fissati per lo sviluppo delle competenze. Consente all’insegnante di attivare tempisticamente interventi attraverso una didattica flessibile al fine di migliorare le qualità delle competenze e dell’apprendimento degli studenti. Detta valutazione si compie in itinere mediante verifiche scritte o orali o prove pratiche nel corso dell’anno scolastico. Valutazione sommativa (o finale) tende a verificare se gli obiettivi prefissati, all’inizio dell’anno scolastico, sono stati raggiunti e a che livello. Ha una funzione di bilancio consuntivo sull’attività scolastica e sugli apprendimenti che essa ha promosso. Risponde alle esigenze di apprezzare la capacità degli studenti di utilizzare in maniera omogenea le abilità e le conoscenze che hanno acquisito durante il percorso di apprendimento e al termine dell’anno scolastico. Nella prassi scolastica, alcuni momenti di valutazione sommativa sono previsti istituzionalmente come ad esempio le votazioni trimestrali o quadrimestrali e le prove di esame. Pertanto è importante effettuare una valutazione sommativa ogni volta che il lavoro svolto consenta di individuare un complesso organico di abilità e conoscenze. Processo formativo Il processo formativo è un insieme di azioni volontarie pianificate volte alla crescita personale dello studente. Esso può essere definito come un cambiamento del comportamento, delle competenze, delle

conoscenze e delle capacità dello studente risultanti dalla frequenza e quindi dall’esperienza nell’ambiente scolastico. Nella prassi, ogni materia, infatti, concorre alla crescita formativa dello studente. La valutazione, inoltre, è considerata parte fondamentale del processo formativo. La valutazione del comportamento La valutazione del comportamento degli studenti è disciplinato dall’art. 2 d.l. 137/2008 convertito in L. 169/2008. Essa risponde alle prioritarie finalità di accertare i livelli di apprendimento e consapevolezza raggiunti, con specifico riferimento alla cultura, ai valori della cittadinanza e della convivenza civile, nonché dei diritti e dei doveri degli studenti, al patto educativo di corresponsabilità e ai regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche. Detta valutazione è affidata al consiglio di classe e tiene conto degli insiemi dei comportamenti posti in essere dallo studente durante il corso dell’anno, della frequenza e della partecipazione al dialogo educativo. La valutazione viene espressa in sede di scrutino intermedio e finale e nel caso in cui è inferiore a sei decimi, comporta la non ammissione al successivo anno o esame conclusivo dei cicli di studi. Il candidato illustri brevemente la certificazione delle competenze La scuola, per certificare le competenze, deve innanzitutto saperle valutare; ciò comporta la capacità di fissare non solo gli obiettivi per l’apprendimento (valutazione formativa) e dell’apprendimento (valutazione sommativa) ma anche i traguardi per lo sviluppo delle competenze, progettandole in un curricolo in coerenza con la situazione di partenza dello studente e della classe. La norma di riferimento è il d.lgs. 13 del 2013. La valutazione delle competenze La valutazione deve orientarsi verso l’analisi delle competenze che sono da intendersi quelle capacità dimostrate da uno studente di utilizzare le conoscenze, cioè la padronanza di fatti o informazioni che uno studente apprende, le abilità, che sono atti concreti singoli che lo studente compie utilizzando date competenze, la metaqualità, ossia costituite dalle capacità di sviluppo e mutamento degli elementi di comprensione, di applicazione, di analisi, di sintesi e di valutazione, della propria efficacia, dalla consapevolezza delle proprie conoscenze, capacità e limiti. Per capire se uno studente possiede determinate competenze, è necessario che l’insegnante lo metti in condizione di risolvere diverse problematiche in modo tale da capire se ha le competenze per svolgere quei determinati compiti. Detti compiti devono essere autentici, reali, legati a una disciplina e situati in contesti significativi, reali e possono riguardare situazioni quotidiane. Inoltre, strutturare griglie per l’osservazione sistematica può essere un utile e importante aiuto per l’insegnante che osserva e raccoglie informazioni indispensabili ai fini della valutazione. Il candidato parli della scuola dell’autonomia e della didattica per competenze La legge 107/2015 pone l’obiettivo di dare piena attuazione alle norme dell’autonomia scolastica. In Italia, si può parlare di autonomia già con L. Bassanini del 1997 con la quale viene introdotta e i suoi interventi legislativi. L’autonomia si fonda su dei principi: anzitutto lo Stato stabilisce le norme e i principi generali volti a garantire i livelli minimi di godimento dei diritti che la costituzione tutela e dall’altro, consente ai sistemi regionali di organizzarsi tra loro; infatti le Regioni devono individuare e definire l’organizzazione dei servizi nei territori di competenza. La scuola autonoma ha, infine, la responsabilità di far perseguire agli studenti non soltanto il successo scolastico (conoscenza e abilità) ma anche quello formativo (competenze). La competenza è la capacità dimostrata, secondo il rapporto europeo del 2006, da un soggetto di utilizzare le conoscenze, le abilità e

l’orientamento e soprattutto la leadership educativa del dirigente scolastico, le sue competenze manageriali, la valorizzazione delle risorse umane, la vocazione della scuola sul territorio e i rapporti con le famiglie.

  1. Processo di autovalutazione : in questo passaggio ci si confronta con le autovalutazioni precedenti, in cui si delineano criticità, problemi e mancanze. Anche da qui dovrebbero partire le future azioni correttive.
  2. Individuazione delle priorità : si parla di ciò che, a partire dall’analisi fatta, si intende raggiungere da quel momenti in poi. Gli obiettivi “rappresentano una definizione operativa delle attività su cui si intende agire concretamente per raggiungere le priorità strategiche individuate. Essi costituiscono degli obiettivi operativi da raggiungere nel breve periodo (un anno scolastico) e riguardano una o più aree di processo”. Quindi si va dal curriculum, progettazione e valutazione, ambiente di apprendimento, inclusione e differenziazione, fino alla continuità e orientamento strategico e organizzazione della scuola, sviluppo e valorizzazione delle risorse umane, integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie. A compilare questo prospetto sono il Dirigente Scolastico e il cosiddetto Nucleo di Valutazione, un gruppo di docenti scelto. Coinvolgere tutte le componenti della comunità scolastica significa riuscire ad avere un’immagine unitaria e davvero completa della realtà, oltre che mettere a punto una strategia di sviluppo e miglioramento concordata e conosciuta da tutti. Il candidato parli della prospettiva bio-psico-sociale dell’inclusione L’assemblea mondiale della Sanità dell’OMS ha approvato, nel 2001, la nuova classificazione interazione del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF), che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. L’ICF recepisce pienamente il sociale della disabilità, considerando la persona non soltanto dal punto di vista sanitario, ma promuovendone un approccio globale, tenendo presente che il contesto, personale, naturale, sociale e culturale, incide decisamente nella possibilità che tali risorse hanno di esprimersi. Secondo il modello bio-psico-sociale, una persona che presenta un’alterazione di livelli funzionali o strutturali del proprio corpo, non può più definirsi “svantaggiata” ma si può dire che, interagendo con l’ambiente potrà vivere due condizioni: la prima condizione chiamata di disabilità, ovvero che la perdita o la limitazione dei propri livelli di attività e di partecipazione ai contesti di vita, qualora l’ambiente risulti ostili o indifferente a cause delle barriere; la seconda condizione è l’assenza di disabilità, una buona performance nelle attività e nella partecipazione ai contesti di vita, qualora l’ambiente abbia elementi facilitatori. Il candidato parli della valutazione esterna e dell’INVALSI L’INVALSI (l’istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo dell’istruzione) è un istituto di ricerca istituto nel 1999. Esso ha il compito di valutare il sistema scolastico italiano ed è orientata al miglioramento della scuola. Esso, a tal proposito: verifica non soltanto le abilità e le conoscenze degli studenti, ma anche la qualità dell’offerta didattica e formativa delle singole scuole; organizza e gestisce il sistema nazionale di valutazione (SNV); prepara e somministra annualmente i test della prova scritta, per verificare i livelli di apprendimento. L’INVALSI, dopo un percorso avviato nell’anno scolastico 2000/2001, diventa oggi una realtà per la valutazione esterna delle istituzioni scolastiche. Il procedimento di valutazione si realizza attraverso lo snodo di quattro fasi fondamentali: l’autovalutazione delle istituzioni scolastiche; la valutazione esterna; le azioni di miglioramento; la rendicontazione pubblica dei risultati del processo. Gli esiti della valutazione esterna dovrebbero quindi favorire i meccanismi di dialogo e riflessione all’interno della scuola e attivare di conseguenza la

partecipazione e il cambiamento a tutti i livelli dell’organizzazione scolastica per poter rispondere efficacemente ai bisogni formativi degli studenti. Reti di scuole Il Regolamento dpr 275/99 riguardante l’autonomia scolastica prevede e disciplina la possibilità per le scuole di promuovere accordi di rete o di aderire a reti di scuole. L’accordo può prevedere: scambio temporaneo di docenti tra scuole, con il consenso degli interessati; la formazione in servizio dei docenti; l’orientamento scolastico. Inoltre le scuole possono stipulare convenzioni con le università, gli Enti locali e le associazioni culturali e professionali. Caratteristiche delle Indicazioni nazionali per i Licei Le indicazioni rappresentano gli obiettivi fondamentali che le istituzioni sono chiamate non solo a raggiungere, ma ad arricchire la propria storia, al collegamento con il territorio, alle professionali del corpo docente, anche attraverso l’utilizzo di strumenti previsti dal regolamento. Differenza Linee guida per gli istituti tecnici e professionali e indicazioni nazionali per i licei Il principio secondo cui l’insegnante deve aiutare a costruire le competenze dello studente si incardina nelle linee di indirizzo della riforma della scuola secondaria di secondo grado per il riordino degli istituti professionali, degli istituti tecnici e dei licei, approvati rispettivamente con i dd.pp.rr. n. 87,88 e 89 del

Tale riforma è finalizzata a realizzare quanto imposto a livello internazionale, e mira a far conseguire alle nuove generazioni le competenze necessarie per l’occupabilità, l’inclusione sociale e la cittadinanza attiva. Gli elementi unificanti del secondo ciclo sono: i saperi e le competenze relative al nuovo obbligo di istruzione da conseguire al termine del primo biennio; le competenze relative al raggiungimento del profilo educativo, culturale e professionale ( PECUP ) dello studente a conclusione del secondo ciclo di istruzione finalizzato alla crescita educativa dei giovani, cercando di motivarli e arricchirli,; allo sviluppo di un autonoma capacità di giudizio e all’esercizio della responsabilità personale e sociale. In altri termini, il PECUP chiarisce ciò che ogni studente deve saper e saper fare a conclusione del secondo ciclo di istruzione e formazione per essere cittadino europeo attivo, dotato di varie competenze al fine dell’inclusione sociale; pertanto, esso indica le mete finali dei percorsi formativi intrapresi dallo studente. I profili degli istituti tecnici e professionali distinguono tra un’area di istruzione generale, comune a tutti i percorsi, nella quale vengono sviluppati i quattro assi culturali previsti dall’obbligo di istruzione e un’area di indirizzo specifica; dove vede nel primo biennio un’area riguardante l’istruzione generale che orienta in vista delle scelte future, nel secondo biennio decresce mentre nel quinto anno svolge una funzione formativa tale da consentire allo studente di fare una scelte responsabile in vista dell’inserimento del mondo del lavoro o del prosieguo degli studi. Il profillo dei licei, invece, si articola in cinque aree (metodologica; logico-argomentativo; linguistica e comunicativa; storico umanistica; scientifica, matematica e tecnologica) in cui sono indicati i risultati dell’apprendimento comuni a tutti i licei. Le prime due aree sono trasversali e non vanno ricondotte a nessuna disciplina d’insegnamento, come invece accede per gli assi culturali degli istituti tecnici e professionali. In particolari, gli studenti licei, dopo aver assolto l’obbligo scolastico nel primo biennio, approfondiscono nel secondo biennio le conoscenze e le abilità e maturano le competenze, ed infine nell’ultimo anno è garantita loro la piena realizzazione del PECUP e il raggiungimento degli obittivi specifici di apprendimento.

è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale della scuola, attraverso la quale ciascuna istituzione scolastica si fa conoscere dall’utenza e dalla realtà socio-territoriale. Esprime la progettazione curricolare, educativa ed organizzativa, che le singole scuole adottano nell’ambito dell’autonomia. Il Piano è il progetto di studio e di formazione curricolare, che ogni scuola propone e s’impegna a predisporre in favore della collettività scolastica. Il Piano è elaborato dal punto di vista didattico dal Collegio dei docenti, è proposto con la partecipazione di tutte le componenti presenti all’interno della scuola sulla base degli indirizzi generali di gestione e amministrazione definiti in Consiglio d’istituto, che adotta il POF. La Carta dei Servizi è trasferita nel POF, mentre il Piano Educativo Individualizzato è trasversale al POF. Il Piano Educativo Individualizzato è il documento nel quale sono descritti gli interventi finalizzati alla piena realizzazione del diritto all’educazione, all’istruzione ed all’integrazione scolastica. Il POF deve attuare iniziative individualizzate di recupero e di sostegno in modo da prevedere la costruzione e la realizzazione di percorsi individuali d’apprendimento. Il POF inteso come strumento di progettazione e di gestione si compone di almeno 4 parti essenziali:

  1. la presentazione dell’istituzione scolastica; 2) Le offerte formative ed i programmi delle attività che l’istituto realizza; 3) Il regolamento d’istituto 4) la valutazione. Il POF utilizza i seguenti indicatori: flessibilità rispetto alle scelte; integrazione innovative e coerenza progettuale; responsabilità. Il Piano dell’Offerta Formativa è pubblico ed è consegnato alle famiglie all’atto dell’iscrizione. Il Contratto di Lavoro del comparto scuola ha introdotto le funzioni strumentali al Piano dell’Offerta Formativa per valorizzare la professionalità del personale docente e per realizzare e gestire il Piano dell’Offerta Formativa. Le funzioni strumentali sono identificate con delibera del Collegio dei docenti in coerenza con il Piano dell’Offerta Formativa che, contestualmente ne definisce criteri di attribuzione, numero e destinatari. CURRICOLO L’autonomia didattica s’esprime nel curricolo vale a dire il piano di studi, che deve essere coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi ed indirizzi di studi stabiliti a livello nazionale. La struttura del curricolo si compone di tre livelli: 1) una parte prescrittiva, con le attività e le discipline fondamentali, il monte ore annuale da dedicarvi, gli obiettivi e gli standard d’apprendimento determinati a livello nazionale; 2) una parte opzionale, che integra il curricolo lasciato all’autonoma determinazione delle scuole con una pluralità di offerte tra le quali gli alunni hanno il diritto di scegliere; 3) una parte facoltativa con l’arricchimento del curricolo attraverso attività e discipline aggiuntive, programmate e realizzate con l’accordo di soggetti esterni alla scuola (enti locali e/o agenzie formative). CURRICOLO VERTICALE/ DIDATTICA PER COMPETENZE La scuola ha il compito di assicurare il successo scolastico e formativo di ciascun alunno attraverso la costruzione di un curricolo verticale strutturato secondo una progettazione formativa e inclusiva. Il curricolo è il piano di studi della scuola, scaturito dalle scelte della comunità scolastica, nel rispetto dell’autonomia. La costruzione del curricolo è il processo attraverso il quale si sviluppano e si organizzano la ricerca e l’innovazione educativa, si delinea con particolare attenzione alla continuità del percorso educativo a partire dai 3 anni. Ogni scuola predispone il curricolo all’interno del Piano dell’offerta formativa con riferimento al profilo dello studente al termine del primo ciclo d’istruzione, ai traguardi per lo sviluppo delle competenze, agli obiettivi di apprendimento specifici per ogni disciplina.

Gli obiettivi vengono calibrati ai diversi stili di apprendimento, con particolare attenzione alle esigenze di tutti e di ciascuno. Quando l’alunno saprà in autonomia utilizzare saperi e abilità anche fuori della scuola per risolvere i problemi della vita, vorrà dire che gli insegnanti hanno praticato una didattica per competenze. Avere competenza significa, infatti, utilizzare anche fuori della scuola quei comportamenti colti promossi nella scuola. Il curricolo verticale per competenze, rimanda all’idea di un apprendimento attivo, a qualcosa che rimane agli alunni anche fuori dalla scuola, si avvale di una didattica interattiva e dialogata all’interno della classe, che non abusa della lezione espositiva, ma sperimenta un metodo di lavoro d’aula basato su capacità metacognitive, sullo sviluppo della laboratorialità, sul clima favorevole per una partecipazione emotiva attraverso situazioni di sfida, dalle quali derivano curiosità, domande, problemi da affrontare. Inoltre, promuove l’apprendimento collaborativo, valorizza le conoscenze e le esperienze degli alunni, e promuove interventi mirati alle singole diversità. Il collegio elabora il curricolo verticale con riferimento ai profili di uscita per le scuole superiori basandosi sulle indicazioni nazionali del 2012 e sulle linee guida. Tutti i docenti del Collegio unitario si confrontano sulle Indicazioni nazionali e condividono le competenze da far acquisire agli allievi alla fine del primo ciclo e le articolano in due grandi categorie:

  1. competenze disciplinari;
  2. competenze per il pieno esercizio di cittadinanza. Le Indicazioni costituiscono, infatti, il quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole; sono un testo aperto, che la comunità professionale è chiamata ad assumere e/o contestualizzare, elaborando specifiche scelte relative a contenuti, metodi, organizzazione e valutazione, coerenti con i traguardi formativi previsti dal documento nazionale. IL CURRICOLO ORIZZONTALE Nel curricolo orizzontale sono state riportate le otto competenze chiave europee, in accordo con i traguardi di sviluppo delle competenze disciplinari, ossia le fondamentali piste formative e didattiche da percorrere, che derivano dalla rielaborazione degli apprendimenti disciplinari e che generano la capacità di utilizzarli anche e soprattutto in contesti extrascolastici. Per ogni disciplina sono indicati i nuclei tematici, che segnalano gli aspetti fondanti e strutturali del sapere. Il curricolo orizzontale evidenzia per le diverse discipline gli apprendimenti ritenuti irrinunciabili, in quanto fondanti, generativi e trasferibili, rispetto ai quali saranno elaborate le prove di verifica intermedie e conclusive. Particolare attenzione è stata posta alla definizione dei traguardi di continuità, negli snodi formativi di passaggio fra Infanzia, Primaria e Secondaria di primo grado. Nella predisposizione del curricolo orizzontale si è inteso:
  • adeguare la proposta formativa ai bisogni culturali degli alunni;
  • migliorare la qualità e l’efficacia delle azioni;
  • costruire un modello progettuale valido e organizzato basato sull’informazione, sulla condivisione e sulla conseguente azione. LE COMPETENZE CHIAVE DI CITTADINANZA La competenza può essere concepita come l’insieme delle conoscenze, delle abilità, degli atteggiamenti che consentono a un individuo di ottenere risultati utili al proprio adattamento nell’ambiente sociale e che si manifesta come capacità di affrontare e padroneggiare i problemi di vita attraverso l’uso di abilità cognitive sociali. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo
  • fornire una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute;
  • stabilire un linguaggio comune per la descrizione della salute e delle condizioni ad essa correlate;
  • rendere possibile il confronto fra i dati raccolti in Paesi, discipline sanitarie e servizi diversi;
  • fornire uno schema di codifica sistematico per i sistemi informativi sanitari. In parole semplici, fornisce un modello di riferimento che permette di codificare un’ampia gamma di informazioni relative alla salute. Il modello PEI è basato sulla classificazione dell’ICF. Delineare un esempio sintetico di PDP volto a sviluppare nello studente la seguente capacità: riconoscere le proprie attitudini relazionali nel contesto scolastico. Lo studente in questione frequenta la classe seconda in un istituto tecnico industriale - Indirizzo Tessile Sistema Moda, presenta difficoltà di lettura, di calcolo e di scrittura, risulta disadattato e non ben inserito nel contesto classe. A seguito di una valutazione diagnostica, richiesta dalla famiglia, ai sensi delle Legge 170/2010, allo studente è stata certificata l’esistenza di disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia, discalculia e disortografia). La diagnosi redatta da uno specialista è stata consegnata formalmente dalla famiglia in segreteria. Pertanto è redatto un PDP da parte dal Consiglio di Classe, in accordo con la famiglia, al fine di personalizzare l’apprendimento dell’alunno e portarlo al raggiungimento del successo formativo. Il PDP indica la diversificazione delle metodologie dei tempi e degli strumenti nella progettazione del lavoro della classe. I percorsi individualizzati e personalizzati indicati nel PDP devono favorire l’inclusione dell’alunno all’interno della classe e il raggiungimento degli obiettivi didattici. Al Consiglio di Classe compete l’osservazione pedagogica, ovvero la raccolta di informazioni sugli aspetti cognitivi, emotivo, comportamentali e relazionali dello studente. Il Consiglio di classe definisce gli interventi didattici e individua le strategie e le metodologie per realizzare la piena partecipazione degli studenti con BES al normale contesto di apprendimento. Nel caso di specie le strategie attuate nel PDP sono rivolte a promuovere processi metacognitivi per sollecitare nell’alunno l’autocontrollo e l’autovalutazione dei propri processi di apprendimento. Per far acquisire fiducia in se stesso e autostima è importante la gratificazione e l’incoraggiamento di fronte ai successi e la valorizzazione di quanto il ragazzo è in grado di fare. Tali strategie sono indirizzate, altresì, a favorire l’apprendimento collaborativo ai fini dell’inclusione, incentivando la didattica di piccoli gruppi e il tutoraggio tra pari. Le misure dispensative e gli strumenti compensativi inserite nel PDP sono rapportate alle capacità individuali e all’entità del disturbo. Particolare attenzione deve essere prestata durante le lezioni evitando la lettura ad alta voce e la scrittura sotto dettatura. E’ importante, altresì, evitare di assegnare una quantità eccessiva di compiti per casa ed evitare di effettuare più prove di verifica in tempi ravvicinati. Tra gli strumenti compensativi rientra la possibilità di utilizzare un computer dotato di programma di video scrittura e di correttore ortografico e sintesi vocale. Inoltre l’alunno durante lo studio potrà avvalersi dell’utilizzo di mappe concettuali, calcolatrici e appunti. La valutazione e la verifica degli apprendimenti devono tenere conto delle specifiche situazioni soggettive dell’alunno. Pertanto sono adottati gli strumenti dispensativi e compensativi più idonei. E’ opportuno programmare le verifiche con anticipo, diminuire il numero degli esercizi e valutare le prove prestando maggiore attenzione al contenuto e non alla correttezza formale. E inoltre importante favorire un clima di classe sereno e tranquillo. La famiglia condividendo le linee elaborate nel PDP instaura con i docenti un rapporto di reciproca collaborazione, in particolare sostiene la motivazione e

l’impegno del figlio, lo incoraggia per permettergli di acquisire un maggior grado di autonomia e autostima. LA CLASSE Per conseguire una reale inclusione scolastica, la risorsa principale ed essenziale sono i compagni di classe, gli unici in grado di determinare rapporti di solidarietà e d’interazione di cui finiscono per giovarsi tutti gli allievi e non solo quelli in difficoltà. La classe, infatti, è una vera “comunità” di relazioni quando all’interno è caratterizzata da: senso di appartenenza, stima reciproca, possibilità di contribuire con le proprie capacità, esistenza di diritti e responsabilità per il benessere degli altri. Cooperare significa lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni. All’interno di situazioni cooperative l’individuo singolo cerca di perseguire risultati che vadano a vantaggio suo e di tutti i collaboratori. Alternanza scuola-lavoro L’alternanza scuola lavoro, introdotta in Italia con la legge delega 53/2003 e resa obbligatoria con la Legge della buona scuola del 2015, rappresenta una metodologia didattica innovativa del sistema di istruzione rivolta agli studenti del secondo biennio e del quinto anno della scuola secondaria di secondo grado. In altri termini, gli studenti alternano periodi di studio in aula e forme di apprendimento in contesti lavorativi. La finalità è quella di far aumentare negli studenti la motivazione allo studio, di orientarli e guidarli nella scoperta delle vocazioni personali e degli stili di apprendimento sia di far acquisire le competenze necessarie spendibili, in un futuro, nel mondo del lavoro. Attraverso le esperienze dell’alternanza-scuola lavoro, lo studente acquisisce zione di competenze chiave come apprendere in autonomia, interagire in vari contesti, essere imprenditori di se stessi. In generale, tale metodologia possiamo dire che risponde anche al pensiero dello psicologo Bruner, il quale sostiene che l’attività conoscitiva consiste in un processo di datti che provengono dall’esperienza al punto che si rende necessario educare il soggetto con i dati che scaturisco dall’esperienza e non soltanto dalla cultura. SALVAVITA La finalità della scuola dell'autonomia è far conseguire il successo formativo ad ogni alunno. Secondo l'impostazione scolastica tradizionale, l'insegnante doveva essere responsabile esclusivamente della propria disciplina, che gestiva restando chiuso e isolato nel suo sapere. Egli, inoltre, doveva essere immagine di autoritarismo, utilizzando l'”arma” della valutazione come strumento per ottenere rispetto e come espressione del suo giudizio. La scuola dell'autonomia richiede oggi al docente di svolgere ruoli di mediazione culturale, di socializzazione, di promozione di processi (tra cui l'apprendimento), di valutazione, di orientamento. Compito fondamentale della scuola attuale è promuovere la formazione ai valori e favorire processi di apprendimento. Apprendere non è soltanto memorizzare, cioè conservare dati e informazioni ed imparare, ma soprattutto è acquisire sempre nuovi atteggiamenti e comportamenti; perciò alla visione statica tradizionale bisogna sostituirne una dinamica, alla visione nozionistica una operativa, all'acquisizione di dati l'elaborazione degli stessi e la produzione di nuove informazioni, all'accumulo di conoscenze la produzione di nuove. L'apprendimento è un processo attraverso il quale il soggetto, elaborando le proprie esperienze, modifica il proprio comportamento e le proprie conoscenze per adattarsi in maniera autonoma alle sollecitazioni provenienti dal suo stato personale e dall'ambiente. Secondo questo quadro, l'insegnante deve avere diversi requisiti, come preparazione didattica, capacità di comunicazione con gli altri, competenza in campo psicopedagogico, aggiornamento continuo, capacità organizzative, atteggiamento problematico e critico verso ciò che si