
















Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity
Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium
Prepara i tuoi esami
Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity
Prepara i tuoi esami con i documenti condivisi da studenti come te su Docsity
I migliori documenti in vendita da studenti che hanno completato gli studi
Preparati con lezioni e prove svolte basate sui programmi universitari!
Rispondi a reali domande d’esame e scopri la tua preparazione
Riassumi i tuoi documenti, fagli domande, convertili in quiz e mappe concettuali
Studia con prove svolte, tesine e consigli utili
Togliti ogni dubbio leggendo le risposte alle domande fatte da altri studenti come te
Esplora i documenti più scaricati per gli argomenti di studio più popolari
Ottieni i punti per scaricare
Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium
Community
Chiedi aiuto alla community e sciogli i tuoi dubbi legati allo studio
Scopri le migliori università del tuo paese secondo gli utenti Docsity
Guide Gratuite
Scarica gratuitamente le nostre guide sulle tecniche di studio, metodi per gestire l'ansia, dritte per la tesi realizzati da tutor Docsity
Un'analisi dell'evoluzione della legislazione scolastica italiana, dal 1821 alle riforme del XX secolo. Esplora figure chiave come Lodovico di Breme e Balbo, e leggi fondamentali come la Boncompagni e la Casati. Analizza le scuole elementari minori e maggiori, l'istruzione femminile e l'obbligo scolastico. Approfondisce il ruolo della chiesa e le riforme fasciste, fino alle indicazioni nazionali del 2012. Una visione delle trasformazioni nel sistema educativo, evidenziando sfide e innovazioni. Esamina le riforme, l'evoluzione dell'istruzione elementare e secondaria, l'impatto delle politiche fasciste e del concordato del 1929 sull'insegnamento religioso, e l'influenza delle autonomie locali e della scolarizzazione di massa.
Tipologia: Sintesi del corso
1 / 24
Questa pagina non è visibile nell’anteprima
Non perderti parti importanti!
Lo sviluppo dei diritti è legato alla nascita delle principali ideologie politiche dell'età contemporanea, includendo il diritto all'istruzione. L'uguaglianza giuridica introduce la laicità delle istituzioni pubbliche. Si riconosce la libertà di insegnamento, ma si sottolinea la necessità di contrastare il monopolio dell'istruzione detenuto dalla Chiesa nei paesi cattolici. L'istruzione è vista come strumento per ridurre le disuguaglianze sociali, promuovendo la scolarizzazione di massa e una visione unitaria della scuola media. Si considera anche il sostegno agli studenti meritevoli per l'accesso all'università. Dopo la caduta dell'URSS, l'attenzione ai diritti sociali e all'uguaglianza sociale si è affievolita in Occidente. Lo Stato assume un ruolo centrale, estendendosi a tutti i territori.
Le costituzioni di queste repubbliche si ispirano a quelle francesi e sono considerate liberali. Le costituzioni della Repubblica di Bologna e di Napoli si distinsero per l'attenzione all'istruzione dei cittadini. Lo Statuto del Regno di Sardegna e lo Statuto Albertino sopravvivono, ma non menzionano la scuola e l'istruzione pubblica. Il fascismo svuota lo Statuto Albertino, sopprime le libertà civili e trasforma lo Stato italiano in uno Stato monarchico totalitario.
Entra in vigore nel 1848 ed è la seconda costituzione dell’Italia unita, dopo lo statuto albertino.
Si possono distinguere quattro fasi principali: la Monarchia Liberale (1861-1922), caratterizzata dal consolidamento dello stato unitario e da un notevole sforzo per rafforzare la costituzione di scuole su tutto il territorio. Nel 1923, il governo vara con tre decreti la riforma della scuola. Lo Stato educatore, ereditato dal fascismo, viene smantellato, ma la funzione educatrice passa dallo Stato alla società. La scuola si concentra sull'istruzione, guidata dai principi costituzionali. La crisi del legame
matrimoniale e le difficoltà familiari trasferiscono alla scuola compiti educativi eccessivi, causando sindrome da burn out tra i docenti.
A partire dal 1815, gli stati pre-unitari emanano leggi per regolamentare l'istruzione pubblica e privata, basandosi sulle realtà scolastiche ereditate dal passato. L'applicazione delle leggi è influenzata dalla domanda di istruzione. Nella seconda metà del 1700, Maria Teresa d'Austria e Giuseppe II promuovono provvedimenti come la Dichiarazione imperiale e la Riforma dei libri elementari. Nel 1818, il governo del Regno Lombardo-Veneto emana il Regolamento per le Scuole Elementari, ispirato al modello austriaco, che prevede l'istituzione di scuole con gratuità e obbligatorietà per i bambini dai 6 ai 12 anni. Nel 1821 vengono istituite scuole elementari minori, maggiori e tecniche per entrambi i sessi. Le scuole elementari minori forniscono i primi rudimenti del sapere. Le scuole elementari maggiori, presenti nelle città principali, offrono calligrafia, ortografia, grammatica italiana e composizione. Le scuole elementari tecniche preparano ai piccoli impieghi nel commercio e nella burocrazia. L'istruzione pubblica è affidata al clero, con i parroci responsabili delle scuole elementari minori e un ecclesiastico come direttore delle scuole maggiori. Il trattamento economico dei maestri è spesso inadeguato. La scarsità di iniziative pubbliche per le fanciulle favorisce la nascita di istituzioni private come le Clarisse sacramentarie e le Orsoline. A partire dal 1820-21, si assiste alla fondazione di scuole di mutuo insegnamento, basate sul metodo di Lancaster, che utilizzano gli allievi più avanzati (monitori) per istruire i meno preparati (pupilli). Queste scuole vengono messe in crisi dal riordino delle scuole governative e soppresse dal governo austriaco. Nel 1819, il Regolamento degli istituti privati richiede che gli insegnanti privati siano approvati dal governo. Le Scuole di Carità, fondate nel 1804 per istruire i bambini abbandonati, devono adottare nuovi piani di insegnamento. In questo periodo, il potere civile prevale su quello religioso nell'istruzione, utilizzando il clero per controllare ideologicamente le masse. Figure chiave furono Lodovico di Breme e Balbo, che promossero le scuole di mutuo insegnamento, poi soppresse a causa del coinvolgimento di Balbo nei moti del 1821. Negli anni venti, la marchesa Faletti di Brolo istituisce le salles d'asile e la contessa Valperga di Masino crea il Bastin verde per l'infanzia. L'Associazione Agraria, fondata a Torino nel 1842, e la società d'istruzione e di educazione fondata nel 1849 da Gioberti, contribuiscono alla diffusione dell'istruzione. Nel 1845 si attivano le scuole provinciali di metodo per la preparazione dei maestri, con corsi di tre mesi. Nel 1846 viene emanato un decreto per l'apertura di scuole per le aspiranti maestre. Nel 1847 viene presentato al Parlamento subalpino un progetto di legge che affida la pubblica istruzione alla direzione generale del ministero Segretario di Santo incaricato. Carlo Alberto nel 1848 riorganizza la pubblica istruzione degli Stati Sardi, definendo le attribuzioni del ministero e delle altre autorità. La legge Boncompagni accentra allo stato il controllo della pubblica istruzione, prevede una progressiva laicizzazione delle scuole, abolisce privilegi degli ordini religiosi. Si istituiscono in ogni capoluogo di provincia, per la gestione delle scuole elementari della seconda, i consigli provinciali. Il nuovo sistema riafferma l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione primaria, prevede le scuole elementari divise inferiori e superiori e le scuole
L'Istruzione Primaria e dell'Infanzia in Italia:
Un'Analisi Storica
Nel Ducato, l'ordinamento scolastico del 1831, promulgato sotto Maria Luigia, suddivideva le scuole in superiori (o facoltative), secondarie e primarie. Il programma della scuola elementare, strutturato in tre classi, prevedeva l'insegnamento dell'alfabeto, della scrittura, della lettura e della dottrina cristiana, concentrandosi sull'infima classe. Nonostante gli sforzi, la situazione della scuola primaria, sia urbana che rurale, rimaneva insoddisfacente a causa della scarsa preparazione dei maestri, degli ambienti scolastici inadeguati e della mancanza di norme specifiche per l'istruzione femminile. L'introduzione del mutuo insegnamento fu un elemento significativo; a differenza di altri stati, il Ducato promosse attivamente questa metodologia. Un regolamento del 1831, derivante da una disposizione sovrana, istituì scuole primarie ad uso dei comuni e scuole secondarie. Nel 1856, un ulteriore regolamento disciplinò l'istruzione femminile, stabilendo una scuola pubblica gratuita in ogni comune.
Nel Granducato di Toscana, la politica dei successori di Leopoldo, Ferdinando III e Leopoldo II, si distinse per un'ampia tolleranza verso l'iniziativa privata. Nel 1818, fu fondata a Firenze una prima scuola lancasteriana gratuita, contestualmente alla nascita della società per la diffusione del metodo di mutuo insegnamento.
Negli Stati Romani, Papa Pio VII, dopo la restaurazione, si dedicò all'elaborazione di una politica culturale per l'istruzione popolare e alla regolamentazione dell'insegnamento privato. Il Muto proprio del 1816 istituì un metodo generale di pubblica istruzione ed educazione. Leone XII ripristinò la Sacra Congregazione degli Studi, in un periodo in cui l'istruzione elementare versava in condizioni precarie. Una constitutio soppresse le scuole di mutuo insegnamento in tutto lo stato pontificio, conferendo ai vescovi il potere di sanzionare chi continuava ad utilizzare o introdurre tale metodo. Nel 1825, la Sacra Congregazione degli Studi pubblicò il Regolamento delle scuole private elementari, composto da cinque titoli, i primi quattro dei quali riguardavano le scuole maschili. Con l'ascesa al pontificato di Pio IX, la Sacra Congregazione degli Studi avviò un'indagine statistica sulle scuole, con l'obiettivo di incrementare gli istituti rivolti al popolo, tra cui scuole notturne e asili infantili. Durante la breve esperienza della Repubblica Romana, fu sancito il principio del pieno controllo statale sull'istruzione, ma dopo la caduta della Repubblica, il Ministero della Pubblica Istruzione fu abolito e la Sacra Congregazione degli Studi riacquistò i suoi poteri.
Nel 1816, fu esteso il Regolamento per le scuole private dei fanciulli di Napoli e del Regno, che stabiliva la gratuità e l'obbligatorietà dell'istruzione primaria. Il provvedimento mirava ad ampliare l'azione della scuola pubblica, imponendo l'obbligo di possedere la matricola, di aver frequentato le scuole primarie e di saper leggere e scrivere. Il Regolamento attribuiva al clero un ruolo centrale nella gestione della scuola pubblica. Il regolamento del 1819 cercò di ripristinare alcune disposizioni liberali, come l'attivazione di scuole primarie in tutti i quartieri di Napoli, l'affidamento della scelta dei maestri alla Comissione di pubblica istruzione e la definizione delle funzioni degli ispettori. Per i domini insulari, nel 1817 la Commissione di Parlamento emanò regolamenti per le scuole primarie, prevedendo l'attivazione in ogni comune di scuole gestite da uno o più maestri, regolate secondo il metodo normale. Furono emanati regolamenti specifici per l'istruzione femminile, che prevedevano l'apertura di scuole gratuite per insegnare a leggere, scrivere, far di conto, catechismo e arti donnesche. I moti del 1820 e 1821 portarono il governo borbonico a una maggiore rigidità nei confronti dell'istruzione pubblica, considerata causa di turbamento. Furono istituite le Commissioni provinciali di Pubblica Istruzione, da cui dipendevano i Rettori de' reali Collegi e Licei. Tra le iniziative degne di nota si segnalano il Piano di riforma per le accademie e i collegi dell'isola nel 1828 e il Metodo e Corso scolastico da osservarsi in tutte le scuole primarie, secondarie, pubbliche e private. Negli anni '40, Mazzetti elaborò un progetto di riforme pel regolamento della pubblica istruzione, che concedeva ampio spazio all'iniziativa privata, formalizzando il ritiro dello Stato dall'istruzione primaria. Questo ritiro non comportò un decadimento dell'istruzione primaria. Dopo la concessione della costituzione, Ferdinando II istituì a Napoli la Commissione provvisoria di Pubblica Istruzione, che elaborò un piano di riforma della scuola primaria e secondaria all'avanguardia, che però non fu mai attuato. Il sovrano, sempre più isolato, cancellò ogni traccia di idea liberale e istituì il Consiglio generale della pubblica istruzione.
Dalla seconda metà del Novecento, si assiste a un crescente sviluppo di istituzioni educative per la prima infanzia in Europa e Nord America. In Italia, interventi sistematici si registrarono solo a partire dagli anni '70. Le strutture per l'infanzia 0-3 anni e 3-5 anni operavano in modo indipendente. Gli ausili aportiani miravano a preparare i bambini all'istruzione elementare, curandone lo sviluppo fisico, intellettuale e morale. Aporti, consapevole che molti bambini non avrebbero avuto accesso all'istruzione, si preoccupava di offrire loro il massimo possibile. A metà degli anni '70 si diffuse il modello Kindergarten frobeliano, visto con diffidenza dalla chiesa, ma con interesse dall'Associazione Pedagogica dei Maestri di Milano. I giardini si diffusero grazie a esperienze pilota come l'asilo per le operaie della Manifattura Tabacchi di Venezia. Negli anni '90, le sorelle Agazzi aprirono la Scuola Mompiano, sviluppando un'attenzione particolare per la musica, l'igiene e le attività domestiche, permettendo l'uso di "cianfrusaglie" nell'educazione. Maria Montessori fondò nel 1907 la Casa
l'educazione, lo sviluppo della personalità infantile, l'assistenza e la preparazione all'obbligo scolastico. Accoglieva bambini dai 3 ai 6 anni, organizzati in sezioni con un massimo di nove e un minimo di quindici bambini. Per la prima volta, lo Stato si faceva carico degli oneri per l'edilizia scolastica.
Gli orientamenti della nuova scuola arrivarono nel 1969, mantenendo il rifiuto dei programmi e identificando l'educazione religiosa, emotiva, morale e sociale come forme dell'opera educativa. Nel 1971 fu denominato il Piano quinquennale per l'istituzione degli asili-nido comunali con il concorso dello Stato. Questo periodo vide una de-istituzionalizzazione dei minori e una nuova attenzione pedagogica all'infanzia.
La legge riconosceva l'infanzia come presenza storica e la proteggeva, assicurando pari opportunità formative. Tuttavia, a cinque anni dall'entrata in vigore, solo il 10% dei nidi erano stati attivati, si assisteva a una divaricazione tra Nord e Sud, e l'asilo nido pubblico aveva alti costi di gestione.
A partire dagli anni '70, emerse una nuova immagine del bambino, basata su acquisizioni socio-psico-pedagogiche. La scuola mantenne la sua autonomia educativa e didattica. La pedagogia mostrò una nuova attenzione alle istituzioni pre-scolastiche, in particolare ai modi in cui i comportamenti cognitivi e affettivi dei bambini potevano essere corroborati al di fuori della famiglia. A metà degli anni '80, i costi dei nidi divennero difficilmente sostenibili.
La legge 285 individuava servizi educativi, ludici e di aggregazione sociale per bambini e servizi per l'assistenza a bambini da 18 mesi a 3 anni. Questi servizi potevano essere auto-organizzati dalle famiglie e non dovevano sostituire gli asili nido previsti dalla legge 1044 del 1971. L'accesso agli asili nido era consentito a poco più del 6% della popolazione 0-3 anni. I servizi dovevano essere organizzati su tempi medio-lunghi, con frequenze di due o tre volte alla settimana e flessibilità di orari. I centri per le famiglie avevano l'obiettivo di sostenere le esperienze di genitorialità.
Nel 2000, un'indagine censiva la presenza di 3008 nidi e servizi integrativi. Nel 2003, il ministro Moratti definì le norme generali sull'istruzione, in cui
la scuola dell'infanzia triennale concorre all'educazione dei bambini, contribuendo alla loro formazione integrale e realizzando la continuità educativa. Le indicazioni nazionali del 2004 rappresentano il primo gradino del percorso di maturazione dello studente. La scuola dell'infanzia rafforza l'identità personale, l'autonomia e le competenze dei bambini, ma rimane importante la priorità della famiglia e del territorio. Il portfolio assume importanza ai fini della decisione dell'iscrizione anticipata alla scuola primaria.
Nelle nuove indicazioni del 2007, l'apprendimento nel ciclo 3-14 anni avviene attraverso campi di esperienza, con traguardi e obiettivi di apprendimento definiti in relazione al termine del terzo e del quinto anno della scuola primaria. Le indicazioni nazionali del 2012 riprendono la struttura del 2007, ampliando la parte introduttiva e mantenendo il binomio traguardi per lo sviluppo delle competenze e obiettivi di apprendimento.
Nei primi anni del XXI secolo, si è assistito a una regolamentazione regionale più attenta sugli asili nido e alla riproposizione degli asili aziendali. L'asilo nido deve garantire cura, formazione, socializzazione e sostegno alle famiglie, in particolare a quelle monoparentali. Lo Stato definisce con le Regioni e gli enti locali i criteri generali per la realizzazione degli asili nido.
La vera rivoluzione è avvenuta nel biennio 2015-2017 con il riordino del sistema scolastico. La legge 107 del 2015 e la legge 65 del 2017 riconoscono pari opportunità di educazione, istruzione e cura ai bambini dalla nascita ai 6 anni. Le sezioni primavera accolgono bambini tra i 24 e i 36 mesi. Per dare continuità al sistema 0-6, si costituiscono poli per l'infanzia che accolgono più strutture educative. A seguito della progressiva estinzione del sistema integrato, si superano gradualmente gli anticipi di iscrizione alla scuola dell'infanzia statale.
La Scuola Elementare e la Legge Casati
La legge 3725 del 1859, nota come legge Casati, centralizzava l'istruzione pubblica sotto il controllo ministeriale. Le università erano a carico dell'erario, gli istituti tecnici a province e stato, e le scuole elementari ai comuni.
Le scuole elementari di grado superiore dovevano essere garantite nei comuni con più di 4.000 abitanti. I governi di destra mantenevano l'obbligo per i padri di provvedere all'istruzione dei figli, ma il municipio poteva
per le scuole elementari nelle province meridionali e nelle isole. I nuovi programmi del 1905 riflettevano il progresso degli studi pedagogici e superavano l'ispirazione positivistica di Gabelli. Il fanciullo doveva conoscere il mondo attraverso i sensi e l'intelletto, con un approccio progressivo.
La pedagogia neo-idealistica vedeva la scuola come costruzione spirituale, non come mera trasmissione di sapere. La Prima Guerra Mondiale accusò la scuola di non alimentare il senso di appartenenza nazionale. La scolarizzazione elementare si legò al nazionalismo, poi valorizzato dal fascismo. La riforma Gentile del 1923 riaffermò il ruolo preminente dello Stato nell'educazione nazionale. Vari Regi Decreti riordinarono l'istruzione media e elementare. Gentile, con una visione unitaria, voleva scuole statali "poche ma buone", aprendo spazi all'iniziativa privata. L'obbligatorietà dell'istruzione religiosa era vista come un vantaggio per lo Stato. La religione era intesa come "philosophia inferior", propedeutica alla maturità filosofica. Non si trattava di sopprimere la religione, ma di reinterpretarla. L'istruzione magistrale divenne un istituto secondario superiore. Ogni istituto magistrale doveva avere un giardino d'infanzia annesso.
Tra il 1925 e il 1929, si istituì l'Opera Nazionale Balilla (ONB) per l'educazione fisica e morale della gioventù. Nel 1929, il Ministero della Pubblica Istruzione divenne Ministero dell'Educazione Nazionale. Fu abolito il Libro Unico di Stato. Si rese obbligatoria la compilazione del Giornale di classe. De Vecchi accentuò il carattere militaresco dell'educazione, epurando i maestri non allineati. Furono emanati provvedimenti per la difesa della razza, escludendo insegnanti e alunni ebrei dalle scuole statali. Si consentì l'istituzione di sezioni separate per alunni ebrei e la gestione di scuole da parte della comunità ebraica. Il ministro Bottai, con la Carta della scuola, mirava a sostituire il gentilialesimo con una teoria del fascismo adatta a uno stato totalitario. Si voleva restaurare la disciplina e portare la scuola sul piano dell'impero. Età scolastica ed età politica coincidevano. La GIL rispondeva direttamente al Partito Nazionale Fascista. La frequenza alle lezioni e la partecipazione alle attività della GIL divennero obbligatorie. Il percorso post-elementare si articolava in scuola artigiana, scuola per lavoratori specializzati e scuola unica con insegnamento del latino.
Dopo il 1943, i ministri della pubblica istruzione smantellarono i simboli dell'educazione fascista. Nei territori liberati, si mutò l'asse culturale della scuola elementare. Ferretti proponeva una scuola fondata sul libero sviluppo dei fanciulli. L'occupazione tedesca rese vano il tentativo di organizzare una resistenza a livello d'istruzione elementare. Si incoraggiò la revisione dei libri di Stato. I Programmi di studio del 1934 semplificarono i programmi, lasciando più spazio all'arte magistrale. Si tentò di stendere nuovi programmi con il sostegno di intellettuali rifugiati in Svizzera. Il
programma elaborato dalla Commissione didattica consultiva prevedeva la rifondazione spirituale dell'Italia. Il passaggio dalla scuola elementare fascista alla repubblica fu tutt'altro che lineare. Si indicava un programma politico che impegnava lo Stato a rendere effettivi la pari dignità sociale e l'uguaglianza economica.
L'Istruzione in Italia nel Dopoguerra
L'articolo 8 della Costituzione sancisce l'obbligatorietà e la gratuità dell'istruzione inferiore per almeno otto anni. L'articolo 33 riconosce il diritto di enti e privati di istituire scuole, bilanciato dall'affermazione del ruolo dello Stato nella definizione delle norme generali e nella creazione di scuole statali. Questa convergenza di intenti favorì il dialogo tra le diverse forze politiche. Nei governi centristi guidati da De Gasperi, il Ministero della Pubblica Istruzione fu costantemente affidato alla Democrazia Cristiana (DC). Nel 1947, fu istituita una commissione d'inchiesta per valutare le condizioni della scuola. Il ministro riconobbe la necessità di un ampio consenso per la riprogettazione del sistema scolastico. L'inchiesta suscitò un notevole interesse tra insegnanti e opinione pubblica. Il Partito Comunista Italiano (PCI) e il Partito Socialista Italiano (PSI) si opposero all'ingerenza confessionale cattolica nella scuola, cercando il sostegno delle forze di sinistra e laiche. Si assistette allo sviluppo di un'editoria specializzata e al radicamento del sindacalismo, che ebbero un ruolo significativo nel dibattito culturale. Nel 1947, il ministro Gonella promosse l'istituzione della scuola popolare per combattere l'analfabetismo e completare l'istruzione dei giovani adulti dai 12 anni in su, offrendo corsi per coloro che non avevano la licenza media.
Nel 1949, furono resi pubblici i risultati dell'inchiesta, che evidenziarono la volontà di insegnanti e studenti di ripristinare il prestigio della scuola attraverso il recupero della sua funzione selettiva. Per adempiere al principio costituzionale dell'obbligo scolastico di otto anni, la maggioranza dei docenti propose corsi post-elementari come naturale prosecuzione della scuola di base. Nel 1951, Segni sostituì Gonella al Ministero, orientandosi verso un'azione di ordinaria amministrazione. La Pubblica Istruzione dovette affrontare la duplice sfida della ricostruzione materiale e spirituale del Paese. Il maestro elementare, figura chiave nel processo di socializzazione, mantenne la sua centralità fino agli anni '70, quando fu messa in discussione dalla diffusione della televisione. La sua importanza derivava dal fatto che i cinque anni di istruzione obbligatoria rappresentavano spesso l'unica opportunità di contatto con un sapere formale e strutturato. Gli strumenti di lavoro dell'insegnante elementare comprendevano attività di aggiornamento e riviste specializzate, utilizzate dalla maggior parte dei maestri. Anche l'attività sindacale fu rilevante, con la presenza di diverse sigle come Sinascel, Cisl, SNASE e SNUSE.
Un cambiamento nella politica scolastica si verificò con l'avvento della Seconda Repubblica. Il quadro normativo più rilevante per la scuola elementare fu introdotto dal ministro Berlinguer, che promosse l'autonomia amministrativa, didattica e organizzativa delle istituzioni scolastiche, pur mantenendole all'interno di un unico sistema scolastico nazionale. Nell'ottobre 2001, la revisione del Titolo V della Costituzione stabilì che le norme generali sull'istruzione erano di competenza esclusiva dello Stato, mentre l'istruzione era materia di legislazione concorrente. La legge 53 del 2003, promossa da Letizia Moratti, riordinò i cicli, cancellando quanto approvato dalla coalizione di centrosinistra e introducendo una scuola d'infanzia e un primo ciclo d'istruzione 3+5, con la possibilità di anticipare l'iscrizione alla prima classe. Successivamente, Pieroni modificò le indicazioni nazionali, richiamando i programmi della scuola elementare del 1985 e gli ordinamenti della scuola dell'infanzia del 1991. Gli ultimi provvedimenti di rilievo riguardano la stesura delle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione del 2012. Nel 2014, il presidente del consiglio Matteo Renzi presentò un programma di riforma per una "buona scuola", focalizzandosi su argomenti di studio e organizzazione gestionale.
L'istruzione secondaria classica, insieme all'università, aveva una posizione preminente nella legge Casati. La consapevolezza dell'importanza dell'istruzione secondaria era condivisa dalle élite politiche e culturali del nuovo regno. L'incapacità dello Stato di fondare e gestire adeguatamente l'istruzione portò ad affidarla alla Chiesa. La "Storia della letteratura italiana" di De Sanctis nacque come testo per le scuole secondarie, fondando un genere volto a definire una tradizione nazionale. Il regolamento generale della facoltà di lettere e filosofia del 1885 prevedeva una licenza biennale che abilitava all'insegnamento nelle prime tre classi del ginnasio e delle scuole tecniche. L'antologia di Carducci e Brilli definì un genere contro cui si schierarono i sostenitori del ritorno ai testi integrali. La statalizzazione della rete dell'istruzione secondaria fu un processo graduale, legato alla domanda di istruzione ginnasiale da parte dei ceti dirigenti locali. Il legislatore concesse ai comuni di aprire ginnasi solo in caso di adempimento degli obblighi di offerta di scuole elementari. L'età della sinistra storica vide la ricostruzione di una rete di scuole gesuitiche, espressione della separatezza di alcune élite urbane rispetto al nuovo stato. La professionalizzazione dell'apparato della Pubblica Istruzione incrinò le modalità di egemonia massonica tipiche della stagione crispina. L'aumento delle classi aggiunte rispetto ai ruoli organici fu il risultato di spinte connesse a usi impropri da parte dell'utenza, come il parziale completamento del ciclo degli studi secondari.
L'Evoluzione dell'Istruzione Secondaria in
Italia
La commissione reale presieduta da Boselli documentò un impegno nell'ordinamento degli studi secondari, ma senza un forte sostegno politico. L'amministrazione scolastica ritornò a una struttura gerarchica, eliminando le rappresentanze elettive dei docenti. L'esame di Stato fungeva da ostacolo per limitare l'accesso all'istruzione secondaria. L'istruzione classica era privilegiata, con programmi incentrati sull'insegnamento storico-letterario delle lingue antiche e moderne. La riforma Gentile valorizzò il concorso a cattedra, ma emersero distorsioni legate alla valutazione dei titoli scientifici, spesso più utili per i concorsi che per la ricerca. La creazione del liceo scientifico fu un elemento di questa riforma.
Gli anni '30 videro il consolidamento delle scuole cattoliche, specialmente nell'istruzione magistrale, grazie a case editrici come Sei e Editrice La Scuola. Nel 1930, il ministero introdusse l'insegnamento della cultura militare nelle scuole secondarie, un aspetto poco studiato storiograficamente. Della Carta della Scuola, solo la parte relativa alla scuola media inferiore fu attuata, grazie a Nazareno Padellaro. Gli effetti a lungo termine delle leggi razziali sull'istruzione secondaria necessitano ancora di un'analisi approfondita.
Negli anni '50, persisteva il divario di genere e non si registrò un aumento significativo della frequenza scolastica. Nel 1968, la cultura del Concilio e le opportunità della scuola di massa faticavano a farsi strada. Aldo Moro, ministro dell'istruzione dal 1957 al 1959, riconobbe l'importanza del ruolo educativo della scuola per il consolidamento delle istituzioni democratiche e lo sviluppo economico. L'equilibrio tra secondarietà e obbligo scolastico era complicato da scelte non normative come le discipline opzionali e le classi differenziali.
La scuola riformata affrontò le difficoltà legate ai docenti della classe media, spesso portatori di una religiosità perbenista. Dal convegno di Frascati emerse la proposta di un'unitarietà della scuola riformata, che portò a diverse proposte di legge. L'aumento del numero di insegnanti nella scuola secondaria superiore diluì l'influenza dei docenti della classe media e favorì la nascita di avanguardie impegnate, ma anche una crescita non programmata delle strutture.
prepararsi all'esame. L'insegnamento elementare coinvolgeva sempre più donne, e le scuole normali divennero un'opportunità di riconoscimento sociale. La legge Gianturco istituì scuole complementari triennali annesse alle scuole normali femminili. La legge Daneo-Credaro, con la vocazione statale alla gestione delle scuole elementari, fu la risposta legislativa all'aumento della domanda e dell'offerta di istruzione. La scuola cresceva come sistema e gli insegnanti sembravano proiettati verso un maggior riconoscimento sociale.
Le idee di Gentile maturarono attraverso un dibattito sulla scuola. Il fascismo raccolse i frutti di questo dibattito attraverso la collaborazione del gruppo idealista di Gentile. Il sistema, una volta messo a punto, richiese aggiustamenti e mediazioni. Il riordino della scuola elementare prevedeva un corso di 5 anni preceduto da uno preparatorio triennale, la scuola materna. L'abilitazione a lavorare nelle scuole materne si otteneva attraverso percorsi triennali chiamati scuole di metodo e poi scuole magistrali. Le scuole magistrali durarono fino alla fine del secolo. La scuola media triennale introdotta da Bottai portò alla disarticolazione del corso magistrale inferiore. La combinazione 4+3 diventò 3+4, con la scuola media che si evolse in istituto magistrale quadriennale.
Gli studi pedagogici in università nacquero per i diplomati magistrali, utili a insegnanti di pedagogia e scuole magistrali per ottenere la laurea. La legge 689 del 1904 previde corsi di perfezionamento per diplomati magistrali, istituiti come scuole pedagogiche presso le facoltà di Lettere e Filosofia. L’RD 736 del 1923 istituì istituti superiori di magistero di Roma e Firenze, chiudendo le scuole pedagogiche. Il consolidamento delle professionalità educative per la prima infanzia ha seguito il suo corso: la legge 107 del 2015 ha esteso agli educatori di nido il principio della formazione universitaria. La legge Iori ha regolamentato le figure professionali dell'educatore socio-pedagogico e del pedagogista.
Negli ultimi anni, la formazione tecnica e professionale è stata collocata nell'ambito delle risorse umane, in rapporto all'adattamento a condizioni di incertezza, flessibilità e mobilità. Si è passati dal dispositivo rigido della mansione a un approccio più flessibile.
La Scuola del Lavoro nella Fondazione
dell'Italia Unitaria
Il nuovo stato italiano, nella seconda metà dell'Ottocento, dedicò un'attenzione limitata, frammentaria e contraddittoria all'istruzione tecnica e professionale. Questa divenne un simbolo delle difficoltà incontrate dall'istruzione tecnica nella prima fase della riforma proposta da Casati.
La legge Boncompagni distinse, nel Regno di Sardegna, gli studi classici dai corsi speciali, ovvero le scuole tecniche, destinate ai giovani che si preparavano all'esercizio di professioni per le quali non era necessario lo studio universitario. Già nel linguaggio si evidenziava una svalutazione dell'istruzione tecnica rispetto agli studi classici. L'istruzione professionale venne affidata ad altri ministeri, delegando di fatto la responsabilità della cura di queste scuole.
La legge Berti adeguò tardivamente i vincoli all'obbligo d'istruzione a 9 anni. Alla differenza imposta dalla localizzazione si aggiunse l'attivazione di corsi e scuole da parte di congregazioni religiose. La forbice tra le due tipologie di scuole si allargò considerando l'estrazione sociale degli iscritti. Con il Regio Decreto (RD) 347 del 1861, gli istituti tecnici di secondo grado furono assegnati al nuovo ministero per l'agricoltura, l'industria e il commercio, insieme alle scuole di operai, le scuole speciali per agricoltura, industria e commercio e altre scuole.
Il RD 1712 del 1865, con l'intento di accentuare il carattere pratico degli istituti tecnici, ne ridefinì il nome in istituto industriale professionale. Si verificò una discrasia tra sistemi informativi e realtà formative, per cui molte sezioni non videro mai la luce, e le intenzioni di specializzazione si spensero sulla presunzione di poter far sorgere industrie non ancora esistenti nel paese a partire dalla scuola.
Con Coppino, la durata dell'iter scolastico degli istituti fu uniformata a quattro anni, con la definizione di tre indirizzi: fisico-matematico, agrimisura, commercio e ragioneria.
Nel 1878 e nel 1880, con due circolari di Cairoli e Miceli, si segnò l'ingresso dello Stato nella cura e nell'organizzazione dell'istituto professionale, stabilendo che i costi di apertura e mantenimento dei nuovi istituti professionali sarebbero stati coperti dall'erario statale per il 40%. Furono individuate tre tipologie di scuole: scuole di arti e mestieri, scuole d'arte applicata all'industria e scuole speciali. Queste scuole divennero il percorso di studi più appetibile per i ceti popolari e la piccola borghesia.
Si realizzò il definitivo distacco dal governo dell'economia di una parte consistente delle scuole professionali inferiori e superiori con quelle tecniche. La Carta della Scuola, pubblicata nel 1939 con Bottai, portò alla nascita di istituti nazionali di formazione professionale extra scolastica per settori di attività.
La grande trasformazione economica degli anni '50 e '60 fu gestita con una struttura formativa tripartita: istruzione tecnica, istruzione professionale, formazione professionale. La più grande innovazione del dopoguerra fu l'intervento sulle istruzioni di base a carattere generale con la riforma della scuola media unica del 1962. La legge 1859 del 1962 coordinò e rese coerente l'obbligo di istruzione a 14 anni con un'offerta formativa uguale per tutti.
Gli anni '70 furono anni di intensa discussione e riflessione sulla riforma della scuola secondaria e sulla posizione relativa di istruzione tecnica e professionale. Nonostante venissero avanzate proposte per il raccordo fra istruzione tecnico professionale scolastica e la formazione professionale regionale, nessuno rimise in discussione la distribuzione di competenze fra stato e regioni.
L'attuale tripartizione fra istruzione tecnica, istruzione professionale e formazione professionale è l'esito di un lungo processo di formalizzazione sul piano normativo. L'istruzione generale classica, scientifica e in parte anche tecnica è chiaramente definita dalla legge Casati, mentre la professionalizzante dei percorsi formativi è meno evidente.
Sul piano istituzionale, in Italia, sin dall'unificazione è stato abbastanza chiaro cosa si intendesse per istruzione tecnica, mentre per lungo tempo è rimasta meno definita la distinzione tra essa e l'istruzione e la formazione professionale. La formazione professionale riguarda prevalentemente i corsi di addestramento o di perfezionamento, le esperienze formative di preparazione diretta al lavoro manuale ed esecutivo, in cui la dimensione teorica risulta assai limitata. L'istruzione professionale, come categoria, non sarebbe troppo diversa dalla formazione professionale, se non per una maggiore quota parte di formazione tecnica teorica specifica, per una più chiara e stabile definizione dei livelli di classificazione della qualificazione del lavoro e per una struttura organizzativa più definita dell'offerta formativa.
L'istruzione professionale, facendosi scuola, si stacca progressivamente, sul piano istituzionale e organizzativo, da quei circuiti locali o corporativi che l'avevano accomunata alla formazione professionale. L'istruzione tecnica mantiene sempre la sua originale caratterizzazione scolastica ancorata all'educazione nazionale.
Già nel 2000 la riforma della scuola Berlinguer ipotizzava la liceizzazione dell'istituto tecnico, introducendo l'obbligo formativo fino a 18 anni. La liceizzazione dell'istruzione tecnica venne però congelata dalla legge Bersani nel 2007, che mantenne distinti dal percorso liceale gli istituti tecnici e professionali.
L'emergere dello Stato moderno ha portato a un intervento sempre più evidente del potere politico nella fondazione degli atenei, nel loro mantenimento economico e nella qualità della formazione professionale. A cavallo dell'Ottocento iniziò il rinnovamento delle istituzioni universitarie nei maggiori paesi. Con Napoleone l'università divenne la corporazione degli insegnanti nelle scuole secondarie.
L'Età Liberale e la Mancanza di Riforme
Dopo la proclamazione del Regno d'Italia, la legge Casati fu estesa a tutto il territorio nazionale, ma divenne subito oggetto di critiche e tentativi di modifica. L'integrazione delle sedi universitarie esistenti nel nuovo sistema avvenne senza direttive univoche riguardo all'accesso, alle tasse, alla frequenza e alla permanenza post-laurea. Il ministro Bocelli propose un piano di uniformazione dei programmi di studio e di verifica del profitto, con l'obiettivo di dare maggiore autonomia agli atenei nella selezione del personale, nella proposta dei programmi e nella gestione finanziaria. La formazione dei docenti emerse come una questione centrale nella politica universitaria. Le scuole di perfezionamento rappresentavano uno sbocco per i diplomati degli istituti tecnici.
La Riforma Gentile
Un intervento di riforma generale fu possibile solo con il governo formatosi alla fine del 1922. Il numero degli studenti nell'istruzione superiore diminuì alla fine del decennio. Successivamente, negli anni '20, l'attenuazione della selezione in entrata nelle scuole medie e la difficoltà dell'esame finale portarono a un nuovo aumento del numero degli studenti. La reazione del mondo universitario alle leggi razziali fu raramente di solidarietà verso le vittime. Alcuni studiosi colpiti da tali leggi trovarono impiego all'estero.