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La collatio, o lex dei, è un testo che mette in contrasto comandamenti mosaici con frammenti di giurisprudenza romana e testi imperiali. L'autore, probabilmente ebreo, vuole dimostrare la superiorità etico-legale della legge mosaica rispetto al diritto romano, senza contraddire i principi fondamentali della civiltà greco-romana. La datazione e l'identità dell'autore rimangono incerte, ma si ritiene che la collatio sia stata composta tra il 294 e il 313, durante il dominio di diocleziano a roma.
Tipologia: Exercícios
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La collatio , o anche denominata Lex dei è un opera dal contenuto giuridico religioso, il cui autore è ignoto lo stesso vale per la data nonché per il luogo di redazione. L’opera pone a raffronto, per ragioni a noi ignote in quanto non dichiarate, taluni comandamenti mosaici con frammenti di giurisprudenza romana e testi imperiali, di argomento apparentemente simile al contenuto dei brani biblici. Al di là di questo mero lavoro di collagge o per meglio dire di copia e incolla, l’autore si astiene da qualsiasi commento o intervento ad eccezioni di 5 brevi passi che avremo modo di esaminare. Struttura del testo: il libro è composto da 16 titoli che trattano in larga maggioranza la materia penalistica, ma anche alcuni argomenti di tipo privatistico. Ciascuna intitolazione ne indica il suo contenuto e ogni titolo si apre con una citazione (annunciata dalla formula: “Mosè dice”) di uno o più precetti biblici tratti da 4 dei 5 libri della torah, corrispondenti in base alla tradizione greco-romana al c.d PENTATEUCO, considerato la primissima parte della bibbia, il libri del Pentateuco trattati nella collatio sono: esodo, levitico, numeri e deuteronomio, a mancare nella collatio è solo la genesi. È opportuno precisare che dalla lettura della collatio sembra che il suo autore possa aver consultato la vulgata editio di San girolamo (finita nel 406). Ad ogni modo in ciascun titolo affianco alla parte riservata al diritto ebraico una sezione quantitativamente più ampia in cui sono riportati brani tratti dai libri di 5 giureconsulti romani che sono rispettivamente: Paolo e Ulpiano i cui brani vengono riportati in misura prevalente e poi abbiamo anche i testi di Gaio, Modestino e Papiniano. La parte relativa alla traduzione dei precetti biblici appare trascurata e piena di stravaganze, infatti si presume che l’autore conoscesse bene il testo della bibbia, tanto da averlo riportato (quanto meno in misura parziale) a memoria, ma che al momento della scrittura della collatio non stesse consultando direttamente il testo biblico. Mentre la parte relativo al diritto romano, tanto nei passi giurisprudenziali, quanto nelle leggi imperiali, mostra un alto grado di precisione dando l’idea di una gran cura nella trascrizione dei brani. Un punto importante da sottolineare è che lo schema dei 16 titoli della collatio sembra richiamare l’elenco degli ultimi 5 dei 10 comandamenti o anche dette in ebraico le 10 parole, elenco contenuto all’ interno della 2° tavola della legge, che comprende secondo la tradizione mosaica gli obblighi verso il prossimo, mentre nella 1° tavola sarebbero invece espositi gli obblighi verso il signore. Ovviamente l’ordine ebraico delle 10 parole è diverso da quello cristiano, presentato da Sant’Agostino, il quale nel presentare il decalogo, pensò di accorpare assieme il 1° e il 2° comandamento ossia: “io sono il signore dio tuo” e “non avrai altri dei”, facendo così passare il 6° precetto “Non assassinare” alla 5° posizione e scorporando il decimo e ultimo precetto in due distinti comandamenti dando vita al 9° comandamento cristiano che consiste nel divieto di non desiderare la donna altrui, mentre il 10° comandamento cristiano consiste nel non desiderare le cose altrui. Tuttavia nella collatio viene seguito l’elenco della 2° tavola della legge il cui schema è quello del decalogo ebraico e non cattolico. Infatti: Da chi è stata scritta la collatio e quando è stata redatta? Non è detto che l’autore della collatio sia lo stesso dell’intera opera, il quale potrebbe aver anche utilizzato una versione già utilizzata da altri a noi non giunta. Non mi sentirei di aderire all’autorevole dottrina – a cui appartiene, tra gli altri, Samuele Rocca – secondo cui il testo dell’opera a noi giunto sarebbe il frutto di una stratificazione di diverse scritture, e la prima redazione risalirebbe all’età dioclezianea (e quindi la legge del 390 sarebbe stata inserita successivamente). I motivi di questo mio scetticismo si possono sintetizzare in un’unica, semplice considerazione: la Collatio, chiunque la abbia scritta, in Il 4° titolo che tratta di adulterio Il 5° che tratta di omosessualità Il 6° che tratta di unioni matrimoniali proibite
adulterio Il 1° titolo della collatio (unico titolo ad essere distinto in due paragrafi) Il 2° titolo che tratta delle lesioni personali gravi Il 3° titolo che tratta dell’uccisione del servo da parte del padrone Il 12° titolo che tratta della morte provocata tramite incendio
-L’8° - 9° titolo rispondono al 9° comandamento “non dare falsa testimonianza. -Meno chiara l’eventuale corrispondenza del titolo 15 che tratta del divieto di pratiche magiche e divinatorie, che potrebbe corrispondere al 6° Comandamento, il divieto di omicidio (considerando la possibilità di dare la morte con la magia nera, o anche gli evocati sacrifici umani), o magari con il 2° o 3° comandamento (divieti di idolatria e blasfemia: ma si andrebbe così alla prima Tavola della Legge, non alla seconda) -Mentre il 16° titolo tratta della successione intestata, la corrispondenza ad uno dei comandamenti sembrerebbe mancare, a meno di non volere vedere un velato richiamo all’ultimo Comandamento (“Non desiderare”, nel senso che ciascun erede deve volere solo i beni a lui designati, e non quelli destinati agli altri). Il 7° titolo che tratta del furto di oggetti Il 10° che tratta del deposito L’11° che tratta di ABIGEATO, ossia furto di animali Il 13° che tratta del furto di terra Il 14° che tratta di asservimento abusivo
comandamento “Non rubare”
qualsiasi epoca, una volta sfociata (e lasciata incompiuta) nella composizione che ci è arrivata, rappresenta, in ogni caso, un testo innegabilmente grezzo e di nessun pregio formale. Se qualcuno, trovatola in epoche successive, ci avesse voluto mettere mano, la avrebbe magari completata e rifinita, o riscritta ex novo, ma inserirci unicamente qualcos’altro, lasciandola per il resto così com’era, nella condizione di incompletezza e disordine che conosciamo, non avrebbe avuto nessun senso. Ad ogni modo molti studiosi hanno elaborato una propria tesi su chi fosse l’autore della lex dei e quando quest’ultima sia stata redatta. La maggior parte degli studiosi, a cominciare da Volterra, ritiene probabile che la paternità della Collatio, o Lex Dei, debba essere attribuita ad un ebreo. Oggetto di discussione è invece la datazione e il luogo di composizione dell’opera. Volterra si è occupato prevalentemente dell’autore della Collatio, datandola intorno al 4° secolo, precisamente tra il 302 e il 324, e sostiene che il trattato è uno dei primi rari esempi di paragone sistematico tra i due sistemi giuridici diversi, quello ebraico e quello romano. Levy non presenta prove inconfutabili che l’autore della Collatio fosse ebreo, ma dimostra chiaramente che questa non fu scritta da un cristiano. E infatti concentra l’attenzione su una serie di brani, focalizzati su vari provvedimenti promulgati da Roma che, pur presentando una certa concordanza con l’antica legislazione biblica, avrebbero gravemente offeso la nascente sensibilità cristiana. Un esempio è dato dalla norma giuridica che autorizzava il matrimonio tra un uomo e la figlia del proprio fratello: tale norma, sancita dai giuristi romani, in seguito sarebbe divenuta un reato punibile con la pena di morte agli occhi dei giuristi imbevuti da un nuovo spirito cristiano. Rabello, il giurista piu’ importante che negli ultimi anni ha dedicato diversi studi alla Collatio, sostiene che il trattato è stato composto da un ebreo, tra il 294 e il 313, sotto il dominio di Diocleziano a Roma. Rabello infatti sostiene che l’uso del latino, così come la conoscenza della Vulgata Vetera, sia la principale indicazione che l’autore abbia composto il trattato a Roma. Tuttavia è Rutgers che ha dimostrato in modo convincente la paternità ebraica della Collatio. Secondo tale studioso non vi è alcun dubbio che l’autore della Lex Dei fosse un ebreo, la cui lingua madre era il latino, e che probabilmente vivesse a Roma, ma egli data l’opera piu’ tardi, e cioè tra il 394 e il 398. Lucrezi sostiene che, considerando una datazione tardiva, la prima data che si può sostenere è il 390. In tale anno infatti Valentiniano, Teodosio, e Arcadio emanarono una legge contro la prostituzione maschile, menzionata nel titolo 5 della Collatio. Inoltre Lucrezi suggerisce come possibile datazione per l’opera l’anno 398, poiché in quell’anno Arcadio e Onorio sancirono una legge che mirava a limitare l’attività dei tribunali rabbinici. Così l’autore ebreo della Collatio avrebbe sentito la necessità di evidenziare l’analogia tra la legge ebraica e quella romana. Inoltre, poiché nella Lex Dei vi è un esplicito riferimento al Codice Teodosiano, è possibile sostenere che l’anno 439 debba considerarsi come il termine post quem. Lucrezi mostra la sua preferenza per una datazione non anteriore al 5° o addirittura al 6° secolo, in quanto il latino utilizzato per la traduzione del testo del Pentateuco è chiaramente piu’ moderno rispetto alla lingua utilizzata per la trascrizione delle fonti classiche della giurisprudenza romana. Inoltre Lucrezi sostiene che una possibile datazione della Collatio si estende fino all’alto Medioevo, precisamente tra la fine dell’8° e la prima metà del 9° secolo. A tale periodo infatti risale il piu’ antico dei tre manoscritti che ce ne riportano il testo, ossia il codice di Berlino, gli altri due manoscritti sono il codice di Vienna e il codice di Vercelli. Lo scopo della collatio: È evidente che lo scopo principale della Collatio sia apologetico. Ma se il fine principale è stato quello di dimostrare il primato assoluto della Legge Mosaica, il suo scopo secondario, invece, è stato quello di dimostrare che la legge ebraica non fosse in contrasto con la legge romana. L’autore della Lex Dei vuole sostenere che gli insegnamenti etico-legali, che traggono la loro origine nella Legge Mosaica, sono antecedenti e superiori alla tradizione legale che caratterizza il diritto romano, ma che questi non sono in contrasto tra loro. Come nelle precedenti opere apologetiche, anche la Collatio dimostra l’antichità e la superiorità degli insegnamenti di Mosè. Inoltre il primato della Legge Mosaica sul diritto romano non contraddice i principi fondamentali della civiltà greco-romana. Secondo Rutgers, un ulteriore scopo della Collatio era quello di dimostrare il primato della Legge Mosaica all’interno del dibattito tra il nascente Cristianesimo e l’ebraismo. L’autore dello scritto, secondo la maggior parte
Fine VIII – inizi IX secolo La seconda nascita del testo è rappresentata dal momento in cui qualcuno lo ha salvato dall’oblio a cui era destinato, attribuendogli qualche interesse e trascrivendolo nel Codice di Berlino. Dopo di che, lo scritto è stato inserito in altre due raccolte, i Codici di Vienna e di Vercelli risalenti alla fine del IX e all'inizio del XI secolo. Ma in tutti questi anni, la Collatio, continua ad essere uno scritto ignorato, avvolto da un lungo silenzio. Il lungo silenzio viene meno soltanto nel 1572, quando il giurista ed editore francese Pietro Pithou decide di pubblicare un testo che aveva occasionalmente trovato - alcuni anni prima – in una vecchia biblioteca in Francia. Da quel momento la Collatio viene menzionata e citata da vari studiosi, soprattutto di ambiente ecclesiastico. 1901 La situazione cambia allorchè, a seguito degli imponenti rivolgimenti storici dei secoli XVIII e XIX – la Rivoluzione Francese, le guerre napoleoniche, la Restaurazione, il sorgere degli stati nazionali – gli studi del diritto rompono l’egemonia precedente esercitata dalla Chiesa, prefiggendosi nuovi obiettivi e attingendo a nuove sollecitazioni culturali: tra cui alcune importanti scoperte archeologiche e documentali, che avrebbero dimostrato che il diritto antico non era soltanto quello romano, la cui presunta unicità aveva a lungo rappresentato un assioma potere assolutistico. Ma ciò che rappresentò un momento di svolta negli studi giuridici fu la scoperta nel 1901, durante gli scavi archeologici a Susa, capitale di Ebla, del Codice di Hammurabi : una stele di basalto nera contenete una raccolta di leggi attribuite al sovrano di Babilonia, che regnò tra il 1728 e il 1686 a.C._. Si da il via agli studi sulla la Collatio sul punto che in età antica esistevano legami di interdipendenza tra le diverse tradizioni giuridiche : al testo viene dato il “titolo” di “prima opera di diritto comparato della storia”. 1930 Una data che ha segnato una svolta negli studi sulla Lex Dei è anche quella della pubblicazione, nel 1930, di una memoria presentata nel 1928 presso l'Accademia del Lincei, da parte del giovane studioso Edoardo Volterra, su presentazione del giurista Pietro Bonfante, dedicata alla Collatio. E fu proprio Volterra ad introdurre l'ipotesi che l'autore non fosse stato un cristiano ma un ebreo, che avrebbe avuto diretta conoscenza della Torah, e, che se tale opera fosse stata scritta con un intento di apologia religiosa, questa andrebbe accostata all'interno del pensiero e della religiosità ebraica e non cristiana. Il dopoguerra A partire dagli anni '60 diversi autori in diversi paesi dell'Europa, si accostano alla Collatio pubblicando innumerevoli monografie, saggi scientifici ed edizioni critiche. Tutti incuriositi dall'incertezza della realizzazione dell'opera, della sua data di redazione e dell'identità dell'autore. E tutti hanno cercato di dare risposte alle famose 5 w del “modello di Lasswell” : who, what, when, where, why. Ogni autore, naturalmente, ha esposto le sue ipotesi. Il nuovo secolo L’interesse verso la Lex Dei in questi primi anni del XXI secolo non accenna a diminuire. Anzi, sembra un'ennesima rinascita della Collatio. Diverse le ricerche sul testo a cui diversi autori cercano di dare risposta : il modo in cui sono stati scelti e sistemati i brani mosaici, la qualità della traduzione, i passi di Paolo, Ulpiano, e degli altri giuristi, l'ordine in cui sono proposti, le costituzioni diocleziane, i brevi interventi in prima persona del collazionatore. La piccola Collatio si è ormai guadagnata il suo posticino negli scaffali dei “grandi” del passato e lì, verosimilmente, resterà.