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La Ricerca della Lingua e la Sintassi Innovativa in Verga e De Roberto, Notas de aula de Língua Espanhola

Le tecniche utilizzate da verga e de roberto per affrontare la questione della lingua unitaria attraverso i romanzi novecenteschi. Come questi autori si sono ispirati al regionalismo linguistico e come abbiano innovato la sintassi italiana. Vengono discusse le opere 'i vicerè' di federico de roberto e 'malavoglia' di giovanni verga, e il documento mette in evidenza come l'uso dell'oraleità e della sintassi oralizzante abbiano contribuito a creare una lingua nazionale ed etnificata.

Tipologia: Notas de aula

2018

Compartilhado em 18/06/2018

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STORIA DELLA LINGUA. LEZIONE 22 marzo 2018
Concetto di POLIFONIA nella letteratura del novecento (Possibile tema da poter
sviluppare per un eventuale tesina).
Il concetto di polifonia, ossia parola bivocale, polifonica, è stato poi usato per analizzare
alcuni romanzi e anche nel discorso riportato.
Bisogna analizzare la differenza tra cosa si intende nel romanzo per “voce” e “punto di
vista”, due categorie non perfettamente coincidenti ma due categorie che hanno effetto
soprattutto sulle tecniche del discorso riportato. [Nella prossima settimana verranno
analizzate queste due tecniche attraverso i romanzi novecenteschi, specifici del corso, per
poi passare a Verga e ai Vicerè.]
La ventisettana rispetto alla quarantana ebbe un notevolissimo successo, si può dire che si
imponeva come una chiave di volta nell’affermazione della prosa del romanzo italiano,
molti autori preferirono la ventisettana, a proposito di ciò si è parlato di una sorta di scia dei
promessi sposi proprio perché molti associano il successo della ventisettana al modello dei
promessi sposi e di Manzoni in generale. Più complesso era il caso della quarantana, il suo
monolinguismo e il suo tipo di lingua centripeta. Del luogo comune della storiografia
linguistica si può osservare che al di dell’importanza di Manzoni e del successo dei
promessi sposi la sua menzione linguistica e la quarantana in qualche modo non fu così forte
da poter meritare il primo posto.
Non è un caso che in qualche modo ciò accade anche in un’altra soluzione ugualmente
centripeta, però diversa, cioè la resa del regionalismo linguistico, di una lingua unitaria,
operato da autori del verismo collocati in fase post-unitaria.
È stato osservato come questa riemersione del dato linguistico o regionale della regionalità
linguistica che non riguarda solo il Sud ma anche autori che orbitano intorno al Nord o alla
Toscana, min 11
Manzoni si colloca alla fine di quella che viene definita questione della lingua primo-
ottocentesca in cui era impraticabile un turismo trecentesco, cioè una lingua che guardava al
modello del fiorentino trecentesco, rispetto a queste tradizioni è ovvia l’esistenza di una
modernità di Manzoni. Dall’altro lato, invece, si avverte una sorta di disillusione come se
una volta realizzata mostra le sue contraddizioni.
I romanzi di Verga e di De Roberto si collocano in questo periodo, in particolare i Viceré
sono considerati il capolavoro in cui si affrontano i grandi temi dell’Unità, e del valore
dell’unità rispetto alla Sicilia, come sarà anche dopo il Gattopardo. Viceré è il romanzo più
celebre di Federico De Roberto, ambientato sullo sfondo delle vicende del risorgimento
meridionale, qui narrate attraverso la storia di una nobile famiglia catanese, quella degli
Uzeda di Francalanza, discendente da antichi Viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo
V. Nei Viceré si assiste quindi ad una trasformazione politica che una grande famiglia
siciliana deve affrontare per sopravvivere all’Unità, questa emulsione viene però affrontata
e risolta attraverso ciò che oggi potremmo definire un atteggiamento trasformista in cui tutto
cambia. I Vicerè è un romanzo uscito nel 1894 e poi viene rivisto, sempre a Milano, nel
1920 da un grande editore milanese che è ??? min 16
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STORIA DELLA LINGUA. LEZIONE 22 marzo 2018

Concetto di POLIFONIA nella letteratura del novecento (Possibile tema da poter sviluppare per un eventuale tesina). Il concetto di polifonia, ossia parola bivocale, polifonica, è stato poi usato per analizzare alcuni romanzi e anche nel discorso riportato. Bisogna analizzare la differenza tra cosa si intende nel romanzo per “voce” e “punto di vista”, due categorie non perfettamente coincidenti ma due categorie che hanno effetto soprattutto sulle tecniche del discorso riportato. [Nella prossima settimana verranno analizzate queste due tecniche attraverso i romanzi novecenteschi, specifici del corso, per poi passare a Verga e ai Vicerè.] La ventisettana rispetto alla quarantana ebbe un notevolissimo successo, si può dire che si imponeva come una chiave di volta nell’affermazione della prosa del romanzo italiano, molti autori preferirono la ventisettana, a proposito di ciò si è parlato di una sorta di scia dei promessi sposi proprio perché molti associano il successo della ventisettana al modello dei promessi sposi e di Manzoni in generale. Più complesso era il caso della quarantana, il suo monolinguismo e il suo tipo di lingua centripeta. Del luogo comune della storiografia linguistica si può osservare che al di là dell’importanza di Manzoni e del successo dei promessi sposi la sua menzione linguistica e la quarantana in qualche modo non fu così forte da poter meritare il primo posto. Non è un caso che in qualche modo ciò accade anche in un’altra soluzione ugualmente centripeta, però diversa, cioè la resa del regionalismo linguistico, di una lingua unitaria, operato da autori del verismo collocati in fase post-unitaria. È stato osservato come questa riemersione del dato linguistico o regionale della regionalità linguistica che non riguarda solo il Sud ma anche autori che orbitano intorno al Nord o alla Toscana, min 11

Manzoni si colloca alla fine di quella che viene definita ‘ questione della lingua ’ primo- ottocentesca in cui era impraticabile un turismo trecentesco, cioè una lingua che guardava al modello del fiorentino trecentesco, rispetto a queste tradizioni è ovvia l’esistenza di una modernità di Manzoni. Dall’altro lato, invece, si avverte una sorta di disillusione come se una volta realizzata mostra le sue contraddizioni. I romanzi di Verga e di De Roberto si collocano in questo periodo, in particolare i Viceré sono considerati il capolavoro in cui si affrontano i grandi temi dell’Unità, e del valore dell’unità rispetto alla Sicilia, come sarà anche dopo il Gattopardo. Viceré è il romanzo più celebre di Federico De Roberto, ambientato sullo sfondo delle vicende del risorgimento meridionale, qui narrate attraverso la storia di una nobile famiglia catanese, quella degli Uzeda di Francalanza, discendente da antichi Viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo V. Nei Viceré si assiste quindi ad una trasformazione politica che una grande famiglia siciliana deve affrontare per sopravvivere all’Unità, questa emulsione viene però affrontata e risolta attraverso ciò che oggi potremmo definire un atteggiamento trasformista in cui tutto cambia. I Vicerè è un romanzo uscito nel 1894 e poi viene rivisto, sempre a Milano, nel 1920 da un grande editore milanese che è ??? min 16

Perché guardiamo anche i Malavoglia? Anche nei Malavoglia, anche se in modi diversi, viene realizzata quella soluzione compatta e centripeta che, secondo Testa, permette di ammettere questi romanzi attorno ad una linea sulla quale i componenti medi operano attraverso soluzioni centrifughe. Uno degli elementi base della scrittura di Manzoni era quello di non staccare troppo tra voce narrante e dialogato, far si che ci fosse una lingua omogenea. Il dialogato in seguito però assume un suo carattere, questa non è la scelta di Verga perché lui appare uno scrittore in cerca di lingua e non è un caso che non si tratti di un fiorentino o toscano. Infatti, alla luce di ciò stato osservato che gli scrittori siciliani sono generalmente in cerca di lingua, per loro l’acquisizione dell’italiano passa per via libresca e per il soggiorno delle grandi città continentali, innanzitutto Milano e ovviamente Firenze. Quindi c’è questa sorta di aspirazione all’italiano. Tra gli autori siciliani, infatti, si notano delle scelte linguistiche non consapevoli in cui il sicilianismo o l’elemento locale o il mancato e il perfetto controllo della lingua letteraria è dovuto proprio al fatto che si tratta di uno scrittore in cerca di una lingua. Quindi, in alcuni casi, si osserva una mancata adesione ad una soluzione del fiorentino, non per scelta ma in modo inconsapevole. A fronte di questa incertezza iniziale degli usi, per Verga e De Roberto la partita letteraria deve essere giocata sul fronte nazionale, si ha una celebre affermazione che Verga fa in cui afferma che ‘ siamo scrittori che dobbiamo fare i colti con una nazione, con Firenze, Roma ecc.. ma anche con la Francia’ (Zolà ecc..). La soluzione compatta di Verga in realtà è una soluzione in cui si scrive decisamente in italiano, in cui l’elemento linguistico locale è molto ridotto. Ci sono alcune singole parole che possiamo definire sicilianismi schietti, singole parole che sono siciliane, ma si tratta di termini che designano referenti locali come ad esempio le unità di misura, oppure oggetti che non hanno un’altra simile designazione in lingua, come ad esempio PARANZA -> Imbarcazione con la quale si pesca. Semmai l’effetto di regionalità che pure il romanzo realizza viene ottenuto per altra via, Verga ad esempio utilizza tecniche narrative per ottenere questo effetto e utilizza anche espressioni e modi di dire che vengono trasposti dal dialetto all’italiano, come dei CALCHI. Ad esempio : “Devono mangiarseli i vermi” per giurare su una verità. L’elemento fondamentale su cui Verga analizza la rappresentazione di una lingua è l’utilizzo dell’ORALITA’, della sintassi oralizzante, con una estensione e con una frequenza mai realizzata da nessun autore prima. Quindi a volte leggendo Verga si ha l’impressione che lui stesso fosse consapevole delle sue soluzioni, per esempio, davanti alla presenza massiccia di ‘ che polivalente ’, cioè il che generico che ha una funzione di legame subordinativo, un ‘che’ congiunzione (usato ad esempio in “vieni CHE fa freddo”) rispetto alle congiunzioni causali. Un ‘che’ che sembra smarrire (mettendo in confusione) il suo statuto e diventare intermedio tra CHE congiunzione e CHE relativo. In realtà il tipo del CHE POLIVALENTE, queste strutture sono PALITALIANE, quindi Verga sembra inconsapevole del fatto che i modi sintattici che lui adotta e che per lui sono dei CALCHI in dialetto, sono in realtà così significativi perché sono palitaliani, hanno un raggio di azione nazionale, sono comprensibili perché il ‘che polivalente’ è un tratto caratteriale. Quindi si tratta di utilizzare un’oralità tipica dell’italiano parlato. (come dice sempre TESTA)

nell’uso della dislocazione a destra? Quale elemento vuole trasferire attraverso questo ricorso insistito della dislocazione a destra? Perché Acitrezza è inserito in un contesto già noto, quindi in realtà non è Verga che non ha finezza linguistica, piuttosto Verga è molto attento ai fenomeni della sintassi e si accorge che la dislocazione a destra è la struttura attraverso cui lui può non solo dare un’indicazione linguistica e stilistica ma può trasferire un dato antropologico, cioè il carattere CHIUSO di questo ambiente in cui si parla per frasi fatte, per stereotipi, per proverbi in cui tutti i personaggi hanno un soprannome. Primo dato importante: contrariamente a quell’idea di una letteratura regionale dal punto di vista linguistico e stilistico va osservato che i risultati più significativi dei Malavoglia non sono tanto in una dialettalità superficiale quanto piuttosto in quello che possiamo definire un'operazione stilistica in cui la dialettalità agisce come struttura profonda. La lingua è allo stesso tempo nazionale ed etnificata e quindi Verga vuole trasferire un italiano che doveva a quell’altezza cronologica essere intellegibile a tutti, ecco perché decide di non usare troppi sicilianismi, o utilizzare solo quelli che nel contesto sono facilmente comprensibili. Il vero luogo in cui Verga è innovativo è la SINTASSI, è là che lui raggiunge innovatività e inventività, addirittura Verga compie una rivoluzione semplicemente usando la sintassi del parlato che non aveva trovato di certo descritta nelle grammatiche italiane, e proprio perché mai descritta e mai ritenuta sintassi c’è stato questo equivoco e si è pensato che chissà dove l’avesse presa quella struttura sintattica, e invece si trattava solo di sintassi dell’italiano parlato. Non si tratta solo di struttura della sintassi del parlato ma di una vera e propria ideazione di una dimensione orale, perché questo è un universo chiuso che va raccontato attraverso una cultura dell’oralità. Come fa Verga? L’onnipresenza del che, per il quale passa in rassegna una quantità di usi diversi, anche veramente molto marcati. Verga utilizza non solo i soprannomi ma anche detti, calchi siciliani, sistema delle anafore. In una prima fase Verga ha abbondato di spiegazioni, delle chiose, delle glosse. Quando inizia il romanzo ci sono una serie di descrizioni dei personaggi, queste descrizioni sono fatte in modo tale che il narratore non faccia altro che trasferire e condividere orizzonte culturale e sistema valoriale dei personaggi, quindi per esempio la prima persona Ntoni, viene descritta come piantata sui larghi piedi come il David di Michelangelo, Verga corregge e dice che è piantato sui ‘piedacci’ che sembrano pale di fico d’India. Quindi differenza tra i due paragoni, si passa da una similitudine colta ad una molto più leggera. Il secondo aspetto è che Verga aggiunge dei nomignoli locali (inserendo proprio una chiosa). La voce narrante non può staccarsi troppo dal punto di vista e dal sistema dei personaggi, anche se ci sono degli scatti tra voce narrante e personaggi, ma diciamo che questa fusione è resa possibile solo dalla compattezza e dall’uso dell’INDIRETTO LIBERO che serve proprio a far emergere la dimensione corale. Inoltre ci possono essere vari casi interessanti di ciò che possiamo definire sicilianismo semantico cioè prestito semantico, inteso come utilizzo di una risorsa già presente nell’italiano. Tuttavia questa parola che nel significante è italiana, viene usata con significato di un’altra lingua. Es: stella, non solo astro ma anche diva del cinema, è una caratteristica semantica che viene dall’inglese STAR e ha questo significato anche come diva del cinema. Quindi la parola del significante, già esistente, viene usata prendendo dei significati da un’altra lingua, questo può accadere anche nei dialetti. Per sicilianismo

semantico questo può essere un aspetto di difficoltà nel testo di Verga perché la parola che noi leggiamo per esempio ha una accezione che noi non riconosciamo perché non riconosciamo la presenza del siciliano. Se siamo lettori meridionali ce ne accorgiamo di più perché alcuni sono tratti genericamente meridionali, un esempio è la non perfetta sovrapposizione tra SAPERE e CONOSCERE, questo uso del verbo secondo un uso dialettale non coincidente con quello dello standard. Questi sono aspetti importanti ma l’aspetto interessante è l’uso del DISCORSO INDIRETTO LIBERO. È stato osservato che il mutamento di scena del Mastro Son Gesualdo, ambientato in un luogo in cui l’elemento aristocratico borghese è forte, questo emerge in una dimensione di fortissimo dialogato in cui i punti di vista questa volta non compatti emergono in questi dialoghi molto presenti nel Mastro. Quindi da un lato è vero che esiste una scelta di entità linguistica che ritorna anche nel Mastro, tuttavia è vero che qui questa dimensione si fa più plurivoca perché abbiamo vari personaggi, ambiente borghese ostile al mastro, tutto questo IATO linguistico, sociale e culturale viene reso linguisticamente in due modi :

  1. Scelta narrativa
  2. scelta di stile, cioè l’assoluta preminenza del dialogato che diventa la struttura portante per rappresentare questa plurivocità e i punti di vista ostili in cui i personaggi si scoppiano. Si è notato che nell’incipit del primo capitolo della seconda parte la dimensione di ascesa sociale viene resa immediatamente con le voci che si affollano e si fanno la guerra durante l’asta per le terre comunali. Quindi il sistema di voci diventa sempre più ricco e più complesso. Queste voci possono essere rese con il discorso diretto, l’indiretto libero viene usato soprattutto quando Gesualdo comincia ad avvertire questo distanziamento. La plurivocità è presente anche in De Roberto, anche se sottovalutato nella prosa narrativa fine 800. I Viceré sono un campionario di elementi linguistici disparati, c’è un gusto in cui De Roberto mette in scena i testi, lingue e stili, arriva anche alla parodia. Abbiamo anche le lettere in un italiano che si potrebbe definire popolare, scritte in italiano scorretto e sgrammaticato ad un padrone. Capacità di caratterizzare la parola del personaggio non limitata al discorso diretto ma assorbita dalla voce narrante ma quando si avvicina al personaggio assume tratti stilistici. Per questi romanzi quindi è importantissima la riflessione sul punto di vista e sulla voce perché De Roberto crea delle zone testuali in cui potremmo dire si fa un semi-discorso del personaggio, in cui si ha un influsso della parola del personaggio su quella del narratore. De Roberto usa questa tecnica, come dice BACTIN?, perché solo così la voce narrante può anche staccarsi ironicamente dai personaggi. La voce narrante può giocare con queste voci, può prenderle in giro, può ironizzare, può fare il verso a questa dimensione sentimentale, leopardeggiante. Così la parodia viene applicata soprattutto ai personaggi nobiliari che si pongono in una dimensione di assoluta distanza rispetto agli altri. Quindi possiamo parlare di TIC LINGUISTICO cioè di stilizzazione attenta dei tipi linguistici in cui sia i personaggi alti che bassi vengono immediatamente caratterizzati, ad esempio il tipo con CI attualizzante viene usato per le cameriere, l’uso della preposizione A secondo il dialetto siciliano (Per amicizia A noi), l’accusativo preposizionale.

che si presta a divaricazione dei punti di vista. Ciò che cambia nel 600 è la particolare attenzione tra la politica e la catastrofe naturale di cui si coglie da un lato la dimensione estetica della catastrofe, e dall’altro il nesso tra dimensione politica e catastrofe perché a partire dal 600 questo diventa un argomento di pubblico interesse. De Roberto coglie il nesso cruciale esistente tra dimensione delle idee e delle voci in occasione delle catastrofi. Come viene narrativamente costruito questo incastro di voci? Sicuramente il discorso indiretto libero. All’inizio però abbiamo un attacco abbastanza classico, sintassi nominale, e poi una serie di elementi. Oltre all’indiretto libero abbiamo anche il discorso diretto libero, i puntini sospensivi che indicano le pause del parlato, DDL non sappiamo a chi attribuirlo, ma in seguito compare nel testo “la povera gente seguiva…” quindi questa è una tecnica narrativa che crea suspense. Dopo si passa all’indiretto libero, perché tutte le interrogative ed esclamative sono attribuibili ad una voce. Non solo non abbiamo “la gente diceva che” ma abbiamo anche troppe interrogative che non si prestano ad essere usate nel diretto libero. In seguito ritorna il discorso diretto libero con “esclamavano” (rigo 26). Si ha un’alternanza tra DDL e DIL, alternanza tra tecniche narrative che serve a mostrare questa contrapposizione di punti di vista. Inoltre possiamo anche notare come emerge dal DDL una serie di termini tecnici.

“VI VEDO SCALPITARE, ci vediamo mercoledì” cit.

Francesca

Viceconte